Era il 4 marzo dell’anno 2000 quando in Giappone usciva ufficialmente PlayStation 2, quella che ad oggi è stata la console più venduta di sempre. Sono passati ben vent’anni, un periodo che ha visto trasformarsi l’industria videoludica e il nostro modo di giocare. Alcuni di voi non erano ancora nati, altri probabilmente non si erano ancora persi in questo fantastico mondo, per cui potremmo raccontarvi delle memory card da 32MB, del lettore DVD incorporato, del logo girevole sul carrello o di tante altre curiosità.
Quello che faremo invece per celebrare questi 20 anni di PS2, sarà raccontarvi di 10 giochi che in qualche modo hanno segnato le nostre vite, in particolare dei redattori di GameSoul. Perché per quanto siamo qui a festeggiare “la PS2”, quello che conta veramente sono i giochi, quelli che in questo caso abbiamo giocato proprio su questa console, e che probabilmente porteremo con noi per il resto della nostra vita.
Buon compleanno ancora PS2, e grazie per i giochi che ci hai regalato.
Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 3
A cura di Marcello “Mark” Crescini
Non avendo mai avuto una PS2 veramente mia, ho dovuto affidarmi a quella del mio cuginetto per capire cosa mi stavo perdendo. È per questo che mi sono goduto maggiormente i titoli multiplayer rispetto a quelli single player, con continue partite uno contro uno senza alcuna possibilità o voglia di stancarsi.
Uno di questi era Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 3, sempre portato in giro anche nella casa in montagna per un po’ di sana azione post-sciata. Il suo roster era qualcosa di immenso, tanto allora quanto oggi, con diverse versioni di ogni personaggio per poter ripercorrere tutta la saga di Dragon Ball. Si rischiava addirittura di fare esplodere i pianeti con una Genkidama, capite?!
Tutto ciò che serviva erano personaggi al massimo livello (alcuni mai nemmeno visti prima), luci stroboscopiche da attacco epilettico immediato, qualche merendina sparsa sul tavolo e le solite urla dei genitori per farci smettere. Ad oggi non so nemmeno se siamo riusciti a usare tutti quei personaggi e mi piange un po’ il cuore a sapere che non c’è alcun modo per riprovarci su una PS4.
Final Fantasy X
A cura di Andrea Baiano Svizzero
Il mio primo approccio con la serie di Final Fantasy avvenne proprio con Final Fantasy X, su PS2. Ironico poi pensare che mi sia stato prestato da un amico, più grande di me e grande appassionato di giochi di ruolo giapponesi. Final Fantasy X è il motivo per cui amo questa serie, magari anche uno dei motivi per cui amo i videogiochi: per le storie che sono capaci di raccontare. Tidus che osserva le rovine di Zanarkand, con la musica di Uematsu in sottofondo, e decide di raccontare la sua storia al giocatore; ecco, quello è sicuramente uno dei momenti che non dimenticherò mai.
Insieme alla prima danza del trapasso di Yuna, o alla indimenticabile scena nel lago del Bosco di Macalania. Final Fantasy X mi ha mostrato per la prima volta come raccontare il rapporto tra due personaggi. Final Fantasy X è un po’ il mio primo amore, anche perché i giochi di ruolo sono il mio pane e il titolo SquareSoft (non ce la faccio troppi ricordi) è uno dei j-rpg a turni più belli di sempre. E mi frega poco se manca la world map: sì, l’ho detto.
God of War
A cura di Antonio Armento
Devo ammettere di non aver giocato ogni titolo in voga dell’era PS2, una generazione in cui sono stato particolarmente selettivo in merito a quali esperienze videoludiche dovessi vivere. Però è lucido in me il ricordo del giorno in cui mi recai in negozio a comprare God of War, uno dei videogiochi che attendevo con un hype smisurato, alimentato certamente dalle dozzine di riviste del settore che leggevo in quel periodo.
Non l’avevo prenotato (madornale errore) e qualche anno fa le probabilità di rimanere a secco al D1 erano assai probabili, ma in un torrido pomeriggio estivo del 2005 la fortuna fu dalla mia facendomi accaparrare l’ultima copia esposta. Arrivai a casa dopo il lavoro e fu uno tsunami di emozioni: azione frenetica, mitologia greca, luoghi mistici e soprattutto nessuna possibilità di redenzione del protagonista. Potrei dilungarmi, ma mi limito a riassumere tutta quella incredibile avventura con una frase di Kratos in cima alla montagna più alta di tutta la Grecia: “Ora non c’è più speranza!”.
GTA San Andreas
A cura di Lorenzo “Kobe” Fazio
Vestiti oversize, G-Funk in sottofondo, una fittizia Los Angeles da esplorare. Per un ragazzo di diciassette anni con la passione per il rap, GTA: San Andreas rappresentò un sogno ad occhi aperti, l’irripetibile occasione di immergersi in un momento storico recente, eppure abbastanza remoto da essere percepita come un’epoca d’oro perduta per sempre. Nei primi anni duemila la diatriba tra West e East Coast si era già consumata (tragicamente) e i due campioni di una rivalità senza esclusione di colpi, rispettivamente Tupac e The Notorious B.I.G., influenzavano il mercato musicale contemporaneo solo con album postumi.
L’epopea di C.J., esagerata e bizzarra, fu a tutti gli effetti l’iperbolica drammatizzazione romanzata della vita dei “self-made millionaire”: giovani nati e cresciuti nel ghetto che non senza violare le regole, non senza rischiare la vita, alla fine ce l’avevano fatta. Più che per il suo gameplay, per la simpatia di certi personaggi e per l’inferno che era possibile scatenare muniti di futuristico jetpack, GTA: San Andreas fu l’irripetibile occasione di vedere con i propri occhi scorci e situazioni solo immaginate ascoltando montagne di dischi hip hop.
Guitar Hero II
A cura di Pasquale Lello
Nei videogiochi ho sempre cercato l’avventura in cui immedesimarmi, il sogno da trasformare “in realtà”. Ma le avventure non sono solo quelle fantasy, possono essere realistiche quanto irrealizzabili. E proprio una di queste mi viene alla mente ricordando PS2: parlo di Guitar Hero. Chi non si è sentito una rock star impugnando quella chitarra di plastica? Chi non ha scoperto band che mai avrebbe ascoltato? Chi non va a ripescarsi quelle playlist su Spotify? Io non dimenticherò mai quella domenica di tanti anni fa, quando decisi di mostrare ai clienti Guitar Hero II.
Inizialmente erano un paio di persone, poi una decina, poi non sono più riuscito a contarle: erano lì ad assistere al mio “concerto” e io ad esaltarmi suonando Nirvana, Rage Against the Machine e Foo Fighters. Chiusi con Free Bird, la cosiddetta “canzone infinita”, quella che fu un’esperienza unica, resa possibile solo grazie a PS2 e uno dei giochi di una serie che per il suo enorme successo fu bruciata troppo in fretta, proprio come la vita di tante rock star. Ma che come tale resterà sempre dentro me.
Metal Gear Solid 3
A cura di Amedeo Davit
Ve la faccio molto semplice. Nel 2004 ero adolescente: i pomeriggi si passano con gli amici, sui libri o con la PS2 a giocare con Snake. Dopo il controverso Metal Gear Solid 2, Hideo Kojima ha deciso di rapire il mio cuore creando qualcosa che nella saga tactical espionage action non si era mai visto: un prequel sulla gioventù di Big Boss. Me l’ha fatta, quel Kojima. Ha creato un’opera unica (non ho aggiunto “d’arte”, ma ci arriveremo) che sembra uno strano ibrido fra un film di spionaggio degno di Ian Fleming ambientato durante la Guerra Fredda e un gioco d’azione stealth di nuova generazione.
Quel 1964 visto dagli occhi di uno dei game designer più visionari della storia videoludica ha cambiato la mia vita. Metal Gear Solid 3 è il viaggio di un eroe costretto a cadere, obbligato a mentire, uccidere e combattere per una nazione senza più valori, dove bene e male non sono niente altro che parole utilizzate per giustificare un’atrocità facendola passare per patriottismo. Un’incredibile opera d’arte, perché di questo si tratta, che culmina in un campo di fiori bianchi macchiato di sangue. Ricordo ancora i miei occhi spalancati dopo aver finito la prima run, mentre la canzone “Snake Eater” di Cynthia Harrell mi entrava in testa senza più uscirne.
Resident Evil 4
A cura di Alessandra Borgonovo
È difficile, per una console speciale come PS2, scegliere un gioco che abbia significato più degli altri. Ma da appassionata di horror e survival horror, trovandomi a decidere, non potevo che ricadere su Resident Evil 4: rivoluzionario non solo per la serie in sé ma per tutto il genere degli sparatutto in terza persona, è un’esperienza che porta bene il peso degli anni e ancora oggi consiglierei a chiunque di provare – è anche su PS4, ci sono poche scuse.
Coinvolgente e inquietante sotto certi aspetti, con i suoi ganado armati di motosega e i regenerados che ti facevano venire i brividi lungo la schiena a suon di ansiti rauchi, è per me il capolavoro indiscusso della saga, a cui peraltro dobbiamo anche il successo del remake di Resident Evil 2 che ne eredita alcuni aspetti. Ricordo che lo volevo talmente tanto, all’epoca, da chiederlo a mia zia per il compleanno pur sapendo che lei era contraria a regalarmi videogiochi. Quello è stata la sola eccezione e per questo ha un valore ancora più inestimabile.
Shadow of Rome
A cura di Icilio Bellanima
Shadow of Rome non era un gioco perfetto, e lo dimostra la sua scomparsa pressoché totale dai radar. Eppure a distanza di 15 anni esatti lo ricordo ancora con estremo piacere: un’avventura ambientata nell’antica Roma che mescolava azione a base di gladiatori (con tanto di corse sulla biga) nei panni di Marco Vipsanio Agrippa, e sezioni stealth da svolgere impersonando un giovane Ottaviano Augusto, desideroso di saperne di più sulla morte di Caio Giulio Cesare.
Uno sfondo narrativo affascinante e suggestivo, un’atmosfera unica in ambito gaming (per l’epoca, ma non solo), e un mix di generi e meccaniche ludiche (come la possibilità di sottrarre i vestiti a soldati e senatori e spacciarsi per loro!) che ne impresse il nome sul mio cuore, così come su quello di una nicchia di appassionati che, nemmeno troppo segretamente, ancora spera in un seguito, un remake, un reboot, anche una semplice remaster. Di gemme (grezze o meno) del passato Capcom ne ha tante (chi ha detto Dino Crisis?), ma se potessi scegliere, Shadow of Rome sarebbe in cima alla lista dei remake a cui la software house nipponica dovrebbe lavorare. Soprattutto dopo aver visto quanto di buono è stato fatto con Resident Evil 2!
Shadow of the Colossus
A cura di Giada Mattiolo
Shadow of the Colossus non è un gioco che ricade nei classici canoni: è un action ma non richiede grandi riflessi o abilità, è un RPG ma non ti racconta la sua storia fino all’ultimo. È un viaggio, che io ho affrontato da adolescente su PS2 e che ancora ricordo con grande affezione. Niente potrà mai farmi dimenticare la meraviglia provata all’apparizione del primo Colosso, la fatica nel trovare il giusto modo di abbatterli uno ad uno e l’incredibile soddisfazione dopo ogni vittoria. Altro che Davide e Golia, io ho abbattuto 16 Colossi con una spada e un cavallo neanche troppo intelligente (scherzo, ti voglio bene Agro)!
Ciò che ricorderò sempre è però il modo in cui il gioco mi ha fatto dissociare dal protagonista e allo stesso tempo parteggiare per lui. Colosso dopo Colosso diventa sempre più chiaro come la storia andrà a finire e la determinazione di Wander non era certo la mia: avrei voluto fermarlo ad ogni passo… ma non è così che le storie epiche finiscono, giusto? Nessun eroe rinuncia a metà, qualsiasi sia il prezzo da pagare: è questo che li rende eroi.
Silent Hill 2
A cura di Carlo Maria Baranzini
Silent Hill 2 non è un gioco. O meglio, non solo e non del tutto. Non lo è l’amore, anima del titolo Konami, cuore pulsante nascosto (ma mai troppo) dalle dense ed iconiche volute di una nebbia eterna, eterea, amica e letale. SH2 è innanzitutto un non luogo che posso visitare quando voglio, un “tempio dei ricordi” come scrive Mary a James nella lettera – postuma – da cui tutto ha inizio. Nel labirinto infinito di stanze, strade e corridoi che compone la logora trama di questo sogno/incubo si nasconde un pericolo mortale, qualcosa di più oscuro e antico della morte stessa… Eppure eccoci lì, arrendersi non è un’opzione: abbiamo un appuntamento. L’amore può confondere, farci vedere volti nella nebbia.
Non possiamo farne a meno, ci accontentiamo di seguire Maria per dimenticare Mary ma è un’evasione momentanea, ingannevole quanto gli orrori nascosti tra le ombre. Il cuore sa sempre cosa vuole, non possiamo che ascoltarlo e remare verso la verità, qualunque essa sia. Questo è Silent Hill 2 per me. Un capolavoro!
[wp-tiles post_type=’post’ posts_per_page=5 orderby=’date’ order=’DESC’]
Commenti