Che sia per scelta o per caso, siamo naturalmente portati ad eleggere le storie più incredibili come parte integrante dei nostri miti culturali. Avventure da cui non possiamo sfuggire, fonti e tasselli impiantati in quelli che sono i nostri anni più formativi: sì, perché prima di pronunciare ai nostri figli una sola parola su religione, filosofia, arte o scienza, insegniamo loro l’incantato, il bene e il male, l’eroe e il cattivo. Questo perché le fiabe insegnano a fronteggiare torti e ingiustizie, a superare le avversità, a crescere. Non parlano al pubblico dall’alto al basso, ma lo elevano con tutta la sua fantasia che mai come ora è reale.
Di questi tratti l’attuale mondo dell’intrattenimento per ragazzi è pieno, dalle pellicole Pixar ai classici Disney o all’operato di Miyazaki. Nonostante l’intrinseca cross-generazionalità, i videogiochi non sono mai stati abili nel capitalizzare questa tradizione. I titoli pensati per target giovani si esauriscono nei tie-in, in blandi strumenti educazionali e, solo di recente, in esperienze orientate al gameplay. L’ultima creazione di SCE Japan tuttavia non si limita a intersecare queste categorie, ma si candida ad essere l’esperienza ludica più simile ad una fiaba interattiva. Una fiaba fatta di burattini (Puppeteer, infatti, significa burattinaio), magnificamente capace di toccare il cuore.
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Lo ameranno: chi crede ancora alle fiabe, i platformisti alla ricerca di qualcosa di nuovo
Lo odieranno: chi cerca una sfida spietata, gli hardcore tutto gameplay e poca narrazione
E’ simile a: Little Big Planet
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Titolo: Puppeteer
Piattaforma: PS3
Sviluppatore: SCE Japan
Publisher: Sony
Giocatori: 1 – 2 (Co-op Offline)
Multiplayer : Assente
Lingua : Completamente in Italiano
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Silenzio in sala!
Sipario, azione. Non è infatti un caso se ci troviamo in un piccolo teatrino, dalle quinte rosse fuoco e dagli ingranaggi in vista. Solcare la scena è compito di Kutaro, un ragazzo privato della propria anima e condotto sulla Luna nei panni di un burattino di legno dal perfido Re Orso. L’enorme e vile mammifero ha infatti usurpato il trono della legittima proprietaria, la Dea della Luna, frantumandone la Pietra Lunare e assegnandone i frammenti ai propri animaleschi generali. Con l’aiuto della burbera strega Ezma Potts, il fidato micio Ying Yang e l’instancabile principessa Pikarina, il povero Kutaro dovrà sconfiggere il peloso avversario e annessi tirapiedi, riunificare i numerosi pezzi del gioiello e, non ultimo, ricondurre a casa la proprio anima. E sì, prima che possiate obiettare sull’effettiva semplicità del tessuto narrativo, sappiate che tutto questo è raccontato con uno slancio emotivo così dirompente e genuino da rendere le gesta del pupazzo “senza testa” una fiaba senza tempo per tutti, abile nell’emozionare lo spettatore atto dopo atto.
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Diamoci un taglio!
Le meccaniche base di Puppeteer brillano di luce propria. L’arma più importante di Kutaro è Calibrus, un paio di forbici magiche capaci non solo di far fettine dei vari nemici, ma anche di tagliare abilmente ogni pezzo di carta o tessuto nello scenario. Considerando che ogni “sforbiciata” dà all’eroe una leggera quantità di moto, tagliuzzare il setting diviene una componente fondamentale dello stesso movimento, grazie a cui farsi strada negli oltre 20 livelli (divisi in sette atti) di cui si compone l’avventura.
La fisica di gioco richiede un fisiologico warm-up, ma una volta digerita offre un delizioso cambio di ritmo dai classici tropi del platform, gettando sulla bilancia degli scenari dall’ottimo design e una serie di boss-fight magari non troppo complesse, ma memorabili e brillanti. Altro aspetto cruciale di Puppeteer è la capacità del suo protagonista di cambiare la propria testa. Nel corso del playthrough il giocatore stana dozzine di teste alternative da “equipaggiare” (di queste, tre al massimo saranno attive), ciascuna a tema differente. Alcune, il cui recupero è obbligatorio, assegnano a Kutaro dei poteri speciali (lo scudo dell’eroe, il gancio del pirata, le bombe ninja e la carica del lottatore), ma la maggior parte ha valenza di collezionabile, funge da chiave per sezioni segrete e, cosa più importante, regala punti. Ad ogni danno subito perderemo la testa correntemente sulle spalle – che resterà al suolo per una manciata di secondi, prima di scomparire e lasciar spazio alla prossima nella riserva. Perdere tutte e tre le teste si traduce nel perdere una vita.
La domanda, a questo punto, riguarda il come trovare suddette teste. Semplice, basta usare l’onnipresente compagno di viaggio volante (Ying Yang nel primo atto, Pikarina nei sei successivi). In termini prettamente funzionali, il nostro alleato è una sorta di puntatore del mouse da controllare con lo stick analogico destro e capace, previa la pressione del dorsale R2, di investigare tra i punti d’interesse disponibili su schermo. Molte volte verremo premiati con animazioni curiose e una pioggerella di frammenti lunari, l’equivalente delle Miyamotiane monete che donano una vita per 100 pezzi raccolti; un po’ meno frequentemente, invece, metteremo le mani sull’ambita testa. Da segnalare l’ottima realizzazione delle location, che invoglia il giocatore alla ricerca quasi al punto da distrarlo dall’obiettivo principale.
Ma è proprio l’ambizione ad essere paradossalmente il punto più ”debole” del titolo. Di cose nascoste con sadismo tra i variopinti fondali ce ne sono a palate, e il desiderio di trovarle tutte rischia di rallentare non poco il progredire del giocatore, forzandolo spiritualmente a scansionare ogni centimetro. Si sa, i platform danno il meglio quando obbligano chi gioca a pirotecnici funambolismi tra una morte probabile e una praticamente certa, e mescolare queste carte con il vecchio pixel hunting determina un inevitabile rallentamento nella frenesia della ricetta ideale. Va tuttavia sottolineato come il costo del perfect score, quantificabile nel dover ripetere più volte gli stessi livelli in perfetto “metroidvania mood”, raramente induce noia o frustrazione, e garantisce al titolo una rigiocabilità al limite dello stellare. Dopotutto le fiabe sono fatte per essere raccontate più e più volte.
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Onore ai tecnici …
Una rappresentazione teatrale non sarebbe un successo se dietro alle quinte non esistesse un gruppo di tecnici affiatati ed esperti. Ed è proprio quanto accade in Puppeteer, che vanta un impianto tecnologico vibrante capace di ricreare splendidamente l’istrionismo del palcoscenico. Dialoghi e narrazione sono dilaganti, accompagnano ogni movimento ma non stancano mai. Ce n’è per tutti i gusti: dall’umorismo vagamente puerile alle digressioni dal retrogusto educativo, passando per quell’humor ammiccante più adatto ad un pubblico adulto. Ugualmente impressionante è la direzione artistica del titolo SCE Japan, che veicola con invidiabile maestria la tradizione nipponica del teatro Bunraku.
L’avventura di Kutaro è un poetico excursus sul palcoscenico, incorniciato da signorili tende di un rosso acceso e dalle luci dei riflettori e accompagnato dalle risate, dagli applausi e dai rantoli di un pubblico invisibile ma onnipresente. Ogni oggetto incontrato è creato a mo’ di elemento di scena o burattino, impartendo al tutto un’evocativa sensazione di materialità. Attraversando le location che separano dalla battaglia contro il Re Orso i set cambiano dinamicamente, con tanto di pezzi di scenografia che cadono e fondali che si alternano in risposta a precisi comandi di un meccanismo a ruote dentate. Una gioia per gli occhi, apprezzabile anche nel 3D stereoscopico supportato dal titolo.
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Spalle comiche …
Una delle aggiunte più gradite di Puppeteer, a fianco di un single player ragionevole che si assesta intorno alle sette ore, è la componente cooperativa. Il primo giocatore indossa i panni di Kutaro, lasciando al secondo quelli dell’assistente volante. Per amore di praticità il control scheme di quest’ultimo è quanto di più semplice si possa pensare, e si esaurisce nel solo stick sinistro, nel tasto X e nel dorsale destro. Fosse tutto qui saremmo di fronte ad un di quelle coop “master-slave” che spesso si vedono nell’attuale showbiz videoludico (ricorderete l’approccio di Super Mario Galaxy, ad esempio); lo sviluppatore ha invece creato un’esperienza a due nel vero senso del termine, che riconfigura e calibra i parametri di ogni scenario per la presenza di un secondo giocatore. Ciò che ne deriva è un set di meccaniche completamente inedita per il compagno di viaggio, che spazia dalla raccolta di nuove teste al collezionare frammenti lunari da consegnare poi a Kutaro, dalla distruzione di ostacoli al partecipare attivamente alle boss fight. Il secondo giocatore potrà persino prendere parte ai QTE, fermo restante che un suo errore non pregiudica in alcun modo la partita del collega: d’altronde tutti siamo utili, ma mai indispensabili. Infine, e forse è la cosa più importante, la coop di Puppeteer è rivolta a giocatori di ogni età e di ogni esperienza, dai bambini non ancora in grado di controllare Kutaro agli adulti nel cui curriculum campa trionfale battaglia navale. Ma non devo certo dirvi io che non si è mai troppo vecchi per vivere una favola.
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BIS! BIS ! – In conclusione…
Puppeteer è una fiaba delicata, dedicata a chi ha la capacità e la voglia di sedersi e osservare a bocca aperta l’avventura di un giovanotto chiamato a diventare eroe. Certo, la sua morale non rappresenta nulla di nuovo, ma l’eleganza e la delicatezza che alimentano la narrazione delle gesta di Kutaro – unite ad un gameplay squisitamente peculiare – rendono Puppeteer un titolo unico nel suo genere, una parentesi onirica e sospesa nel tempo in un settembre ricco di blockbuster multimilionari. Difficile non appassionarsi ad un burattino goffo che lotta per la salvezza della Luna, e della propria anima, con un paio di forbici. Magiche, come magico è l’universo che si dipana dinnanzi agli occhi di chi sa guardare un po’ più in là dello schermo e, perché no, di tornare nuovamente bambino, quando tutto può diventare una bellissima fiaba e, soprattutto, basta un pizzico di immaginazione per essere dei veri eroi.
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