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Rabbia, sangue e tanta frustrazione…
Chi avrebbe mai detto di potersi trovare nel sotterraneo di un museo, completamente addobbato a tema Dark Souls II? Di certo non io, fino a martedì scorso… In quel di Milano ho avuto l’occasione di provare uno dei titoli più attesi di questo 2014, un gioco che ha promesso, fin dalle prime notizie al riguardo, scintille a livello di gameplay ed emozioni, pretendendo però che la vera anima da hardcore gamer uscisse fuori per farsi spremere fino all’osso e successivamente essere utilizzata come tappeto per pulirsi i piedi.
Cosa intendo?
Qualcosa che va oltre il concetto di un banale “secondo capitolo del seguito spirituale di Demon’s Souls“… Qualcosa che cattura la concentrazione del giocatore e ne alimenta la passione videoludica tanto quanto la rabbia… Qualcosa di buio pesto in cui non si vuole accendere la torcia per non trovarsi davanti chissà quale creatura aberrante pronta a distruggerci…
Dopo una breve presentazione a cura di Takeshi Miyazoe, riguardante le varie migliorie apportate a questo capitolo, si passa ai fatti senza tanti convenevoli. Sul grande schermo il proiettore mi permette di osservare il gameplay giocato direttamente dal producer: dapprima un allegro giro a piedi nei pressi di un falò che offre un rifugio, una sicurezza, e culla il PG con le sue calde fiamme, successivamente coinvolto in un insieme di scontri interrotto regolarmente dalla scritta “You Died“, ovvero “Sei morto“, “Kaput“, “Fine“. A voi la scelta della traduzione, il succo rimane lo stesso.
A questo punto la domanda che ci si pone è “È davvero così impegnativo o Miyazoe-san non è abbastanza bravo?“. Alcune postazioni PS3 daranno la possibilità a tutti i presenti di provare a fare meglio e tirare fuori gli attributi. Si dia il via, dunque, ad una nuova partita…
Subito mi accoglie un filmato introduttivo, skippato prontamente per fiondarmi al centro dell’azione, e successivamente ho la possibilità di effettuare un velocissimo tutorial. Talmente veloce che non è presente: c’è solo il mio personaggio sullo schermo, la luce della Luna che va ad illuminare enormi colonne di pietra, un silenzio cupo e totale ed io che guardo altri giocatori in attesa di qualche risposta. Non è il caso di precisare che anche gli altri si stavano guardando intorno tentando di capirci qualcosa…
Dopo una decina di minuti abbondanti dedicati a memorizzare bene tutti i comandi del DualShock, inizio ad avventurarmi in questo ambiente fatto di ombra e silenzio, tentando di trovare l’uscita con una foga pari a quella di una persona che soffre di claustrofobia e che è rimasta bloccata dentro un ascensore immobile. Oh, ecco finalmente la luce di una piccola casa nel bosco!
A questo punto parte la vera e propria personalizzazione del protagonista, che inizia con una semplicissima scelta del nome, passando dall’aspetto fisico, curato e particolareggiato bene, fino ad arrivare alla scelta di una delle molte classi utilizzabili: tra il semplice guerriero armato di tutto punto, ma mai abbastanza, e il più raffinato chierico, la quantità di statistiche personali è davvero enorme, così come tutte le altre voci di inventario & co. che più in là si potranno esplorare.
Una volta creato il nostro eroe ad-hoc, cosa di routine ed estremamente piacevole per un amante degli RPG, si passa all’esplorazione di un piccolo accampamento immerso nel Sole pomeridiano. Gli ambienti sullo sfondo lasciano veramente a bocca aperta, ma è ancora più stupefacente il fatto che tutta questa tranquillità calda e soleggiata non mi trasmetta, appunto, alcuna serenità nell’animo. I sensi continuano ad essere allertati e il dito freme sul grilletto destro, pronto a menare fendenti contro qualsiasi cosa che abbia una barra rossa sopra la testa, ovvero una creatura che minaccia l’incolumità del mio PG. Per adesso niente felici scritte “Sei morto” sullo schermo, ma la sensazione che il Tristo Mietitore ti stia guardando sorseggiando un tè prodotto con i frutti dell’abro (cercate pure Abrus precatorius su Internet) è tangibile.
Il gran finale? Decido di andare in una zona che il signor Takeshi aveva definito con una frase del tipo “Non andateci, è meglio” pronto a raccogliere la sfida e a dimostrare che un po’ di esperienza me la sono fatta con altri videogame di questo tipo, oltre ai precedenti Demon’s e Dark Souls. Pessima idea, ma la spiegherò con frasi corte, spezzate e consecutive. Freccia che mi trapassa il cranio. Morte. Ritorno nella zona, parecchio alterato. Un colpo nemico schivato, il secondo no. Morte. Ulteriore ritorno nella zona, sempre più alterato. Ultima freccia piantata nel petto. Morte. Passo il DualShock a chi è in attesa del proprio turno, alzandomi di scatto.
In conclusione, definirlo un gioco in cui mettersi d’impegno andrebbe bene se volessi sminuirlo tantissimo. Qui si parla di sfide, di quelle sfide che a mio avviso fanno sudare freddo la fronte e le mani dei veri giocatori, coloro che, come me, pensano che il gaming odierno sia un po’ troppo “accompagnato per mano” e che sentono la mancanza di lanciare il pad verso la cristalleria più vicina per scaricare a terra tutta la tensione accumulata. Questa è solo un hands on di una partita di un’ora, sia chiaro, ed è verissimo che in così poco tempo non ci si può fare un’idea completa e a tutto tondo, ma comunque la pensiate, il 14 marzo per me sarà il giorno in cui From Software regalerà a PC, Xbox 360 o PlayStation3 qualcosa di brutale, convulso, claustrofobico, hardcore e stupendo, ancora più del primo capitolo.
Le premesse ci sono tutte e sono “fuckin’ good“, se mi concedete il termine.
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