News 11 Mar 2014

Dark Souls II – Recensione

Per Aspera, Ad Astra. È questo il mantra che riecheggia nella mente di ogni giocatore della serie “Souls” che si rispetti. In un’era di barre della vita auto-rigeneranti, di boss definiti tali unicamente per via del loro design e di giocatori accompagnati per mano da sviluppatori sempre più simili ad un giovane che si ritrova improvvisamente padre, le cui coccole ed attenzioni rischiano più di soffocare, che accudire, il proprio pargolo, From Softwaretratta i suoi utenti come il più insensibile dei sergenti tratterebbe i nuovi arrivati in caserma, accogliendoli con dei kindly reminder a base di estrema difficoltà e di un’incertezza perenne che si avvinghia ad essi come la più bramante delle fauci, per ribadire che qui non si scherza mica, che nessuno ti ha obbligato, e soprattutto, che nessuno sta facendo i salti mortali per trattenerti.

Ed è proprio questo, inutile dirlo, il punto di forza della serie, nata con un acerbo Demon’s Souls, smussata fino alla spietata perfezione con Dark Souls, ed ora pronta a condannare ancora una volta i propri adepti con una formula familiare ma non per questo più semplice da tenere a bada, accoliti da dare in pasto ad un ecosistema ancor più crudele e infame, senza troppe remore.

Stretto ancora una volta il Patto, sarà davvero dura sciogliere l’incantesimo.

Chi ha giocato il precedente capitolo lo sa: Dark Souls ha uno dei tutorial più sadici di sempre. Senza una guida (spirituale, cartacea o digitale), è facile perdersi d’animo sin dalle prime battute, prendere il pad (o ciò che ne rimane) e scaraventarlo nel più buio dei baratri della propria stanza. La crudeltà di From Software è però, come il Diavolo, nei dettagli, e non nego di aver perso la fiducia, all’inizio di questa seconda infernale traversata, dopo soli 10 o 15 secondi. Una prima morte (ed annesso trauma) ancor più rapida rispetto al passato, frutto però dell’avventatezza di chi scrive, del suo automatico e meccanico colpire tutto ciò che si muove su schermo senza essersi degnamente presentato al nuovo padrone di casa. Niente prigione, questa volta, ma una sorta di altare nel bel mezzo di un vuoto cosmico antistante ad una peculiare struttura; di familiare c’è però il non comprendere il perché della nostra missione, il nostro ritrovarci lì, “in the middle of nowhere“, ma anche e soprattutto la condizione di anonimato, accentuata dalla schermata di creazione del personaggio che tarda a farsi vedere, tenuta in ostaggio, un po’ come il nostro destino, da tre misteriose figure.

Le Guardiane del Fuoco non tardano a ricordarci della maledizione che tormenta gli esseri vuoti, della morte “apparente” utile solo a privarci di tutte le anime faticosamente conquistate, e della prigione, stavolta “spirituale”, nella quale un non-morto è costretto a vagare per l’eternità. Avete sempre desiderato l’immortalità? E se la vostra immortalità fosse un loop continuo di sofferenza, disperazione, incertezza e scelte sbagliate? Il vostro tanto ambito desiderio rimarrebbe tale? Nei panni di un nuovo eroe senza nome e con una storia tutta da scrivere e forgiare, il nostro scopo è quello di peregrinare per la vasta terra di Drangleic, conquistare le Grandi Anime custodite da dei feroci guardiani e raggiungere Vendrick, il Re, per spezzare la nostra maledizione una volta per tutte.

Una trama semplice ed asciutta, non troppo ambiziosa, originale o memorabile, come da tradizione, arricchita però da un background come sempre misterioso ed intrigante, forse un po’ meno rispetto al passato, ma sempre interessante da scoprire per bocca delle anime in pena che troveremo lungo l’irto cammino sapientemente assemblato da From Software. Nei più remoti angoli del mondo di gioco, al tepore dei falò o nelle buie segrete di qualche fortezza, apprenderemo la storia di questo regno e di quelli circostanti, delle condizioni di miseria e delle tragedie che han spinto molti ad avventurarsi in questa landa di esseri vuoti, in cerca di fortuna, gloria, o di una morte prematura. Pellegrini, combattenti, maghi o vili ladri, tutti pronti a darci una mano (per il giusto prezzo), ad illuderci, a fuggire da un destino troppo malvagio, ad offrirci il proprio sostegno e quando serve, la propria lama, o semplicemente ad ignorarci come un’entità immonda merita, senza un perché.

E l’incertezza, l’insicurezza, sono ancora una volta alla base dell’intera esperienza di questo nuovo capitolo: perché questa porta non si apre? Dove mi porterà questo ponte? Chi c’è dietro quel muro di nebbia? Farò bene ad unirmi a questo Patto? Come un neonato, il giocatore dovrà avanzare gatton gattoni, scottarsi, perdere tutto e combattere fino all’ultimo per riprendersi ciò che ha faticosamente guadagnato, facendo del concetto di “trial & error” una vera ragione di vita. Un approccio che sin dagli albori della serie ha favorito lo svilupparsi di una community compatta, severa e fedele, ricca di giocatori pronti a spalleggiarsi, a suggerire, ad aiutarsi a vicenda sui forum e nel gioco stesso grazie a strumenti offerti dal team come dei messaggi da imprimere sul terreno, segnali che indicano una via pericolosa, un tesoro segreto, o un baratro nel quale far finire i più sprovveduti, così come delle macchie di sangue che mostrano gli ultimi secondi di vita di un giocatore morto di recente nel preciso punto in cui le troverete, un desolante e feroce reminder che la vita è preziosa che dagli errori si deve sempre trarre un importante insegnamento per non commetterli di nuovo.

Data l’estrema complessità delle meccaniche che danno vita ad un titolo così indomabile, ritengo sia opportuno e produttivo snodarne i punti focali seguendo un preciso filo conduttore: lo sforzo di From Software di rendere questo nuovo Dark Souls più accessibile e meno frustrante, senza però ridurre o anche solo sfiorare l’elevato tasso di difficoltà che tanto ha colpito (in ogni senso) i tantissimi seguaci sparsi nel mondo, ormai totalmente rapiti dalla loro imbattibile formula. Il team infatti, con rigore tipicamente nipponico, recupera ancora una volta la tradizione che accompagna questa spietata saga trasformando l’antica follia di Demon’s Souls nel delicato equilibro di questo nuovo atto, correggendo di capitolo in capitolo tutti quegli elementi ai limite dell’insopportabile. L‘essenza ostica è infatti mediata da un buon numero di trovate che, forse con il sadico scopo di svilire l’orgoglio del più indomito dei giocatori, spingono l’entità umana dietro il pad a scendere a compromessi per rendere l’inferno che gli viene proposto un qualcosa di più accogliente.

Si parte dalla creazione stessa del personaggio e dalla scelta della classe, una “responsabilità” che l’utente si incarica di tenere sott’occhio lungo tutta l’avventura: le statistiche e i numerosi (e nuovi) valori ad esse collegati (dall’agilità alle resistenze elementali o di stato), aumentabili di un solo punto per ogni livello acquisito, influenzeranno nel bene e soprattutto nel male l’intero play-style, spronando il giocatore a compiere ogni scelta accuratamente. Crearsi un guerriero e plasmarlo in modo che possa dominare i miracoli (la “magia” secondo From Software) tralasciando però forza o destrezza non è mai una decisione saggia, così come non lo è portare al massimo tali valori trascurando però la quantità di punti vita o soprattutto l’energia, il fiato, finendo col trovarsi con una macchina da guerra fuori gioco dopo una spadata e una parata, senza forse neanche le forze per prodigarsi in un contrattacco. La novità, o forse con un po’ di sana cattiveria possiamo chiamarla “compromesso”, è che in qualsiasi momento, a patto di possedere uno specifico oggetto, sarà possibile recarsi presso le misteriose anziane che ci hanno accolto nella fase introduttiva ed azzerare tutte le stats, ridistribuendo i punti e stravolgendo un personaggio anche con 40 o 50 ore di gioco sulle spalle. Una boccata d’aria fresca nel caso vi ritrovaste con un alter ego troppo sbilanciato, sopratutto nel caso in cui abbiate perso un po’ troppe volte la concentrazione e un’altra delle novità introdotte vi conduca ad un punto morto.

Il respawn limitato è infatti croce e delizia, un altro cambiamento che può rivelarsi un utile strumento per semplificarvi la vita, ma allo stesso tempo rischia di diventare un incubo per i giocatori meno caparbi ed esperti. Questo perchè una delle feature più “incredibili” della serie è sempre stata la personalissima reinterpretazione del concetto di checkpoint, che prendono le sembianze di falò, anch’essi protagonisti di un importante stravolgimento del quale parleremo a breve. Una volta accesi, è possibile lasciarsi pervadere dal tepore di una flebile fiamma, che scalda il cuore e guida l’anima in pena dei giocatori dopo l’ennesima morte, fungendo da punto di ripristino (indipendentemente dal punto in cui si era arrivati) tanto della sua condizione di (semi)vita, quanto, soprattutto, dei suoi avversari. La quasi totalità dei nemici tornerà infatti al suo posto, vanificando, in un certo senso, tutta la fatica riposta nel farsi strada tra fendenti e magie, e in passato la cosa non aveva fine, favorendo il grinding (quando si sentiva la necessità di salire di livello) e il farming (nella speranza di trovare qualche possente arma o armatura).

In questo nuovo atto, complice anche la rinnovata struttura del mondo di giocoil respawn si limiterà ad un certo numero di volte, diverso da nemico a nemico e da zona a zona, portando con sé un grande pro e un grande contro. Il grande contro è collegato al rischio di non bilanciare correttamente il proprio personaggio e alla leggerezza del giocatore: come molti sanno, morire comporterà la perdita totale delle anime, valuta di gioco necessaria per acquistare e potenziare l’equipaggiamento o per salire di livello, e l’unico modo per recuperare il malloppo faticosamente guadagnato è quello di tornare nel punto dell’ultima morte e toccare la propria macchia di sangue senza farsi nuovamente annichilire, pena la sparizione totale e definitiva delle anime precedentemente in possesso. Il rischio è quindi quello di lasciar correre troppe volte e sprecare, letteralmente, troppe preziosissime anime, ritrovandosi con un mondo di gioco totalmente deserto, un personaggio per nulla bilanciato e doversi necessariamente affidare al riazzeramento delle statistiche (se e quando possibile), se non ad un nuovo salvataggio con una classe differente.

Il grande pro sta invece nella possibilità di grindare e farmare come in passato senza buttare ore ed ore nella stessa location, ripulendo al contempo il tragitto che ci separa dal boss di turno e potersi concentrare su di esso con vita al massimo e senza nessuna distrazione. Boss che, come da tradizione, vi massacreranno con qualche colpo ben assestato, ma che con la giusta strategia, una concentrazione quasi ascetica e magari l’aiuto di uno spirito evocato (a patto di essere umani) tra i guerrieri e viandanti incontrati qua e là, potrete restituirgli pan per focaccia. La strategia del “ripulire” le zone è favorita anche dal rinnovato level design, con un mondo di gioco ancor più labirintico e intricato, fatto di scorciatoie, di leve che aprono chissà qualche porta, di chiavi da scovare e oggetti in bella vista ottenibili non prima di essere spremuti per bene le meningi ed aver esplorato a fondo ogni anfratto.

La tentazione di schivare ogni forma di (non)vita in circolazione è sempre in agguato, ma non è una strategia che può funzionare in un gioco del genere, e i nuovi falò, con i quali sin dall’inizio avrete la facoltà di teletrasportarvi presso qualsiasi altro checkpoint abbiate scovato (la cui disposizione, in alcuni frangenti, mi ha lasciato un po’ perplesso), vi permetteranno di pianificare al meglio le vostre esplorazioni.

Tralasciando la scomoda forzatura di dover necessariamente tornare un gran numero di volte a Majula per poter salire di livello grazie all’Araldo di Smeraldo, sarà vostra premura spostarvi e tornare spesso in questo “Nexus” (usando termini volutamente Demon’s Souls-iani), centro della regione dal quale si snodano le vie principali, in quanto molti mercanti e personaggi, una volta scoperti qua e là, si ritroveranno tutti lì pronti ad offrirci i loro servigi (dal fabbro alla venditrice di miracoli), ma la conseguente possibilità di “cambiare aria” a nostro piacimento che l’innovazione del teletrasporto comporta è forse l’elemento che più di tutti riduce quella frustrazione che ha spinto molti ad abbandonare la nave nel precedente atto. Nel primo Dark Souls bastava infatti essere a corto di qualcosa per dover tornare dalla prima faccia amica incontrata chissà dove, e soprattutto, era necessario ancor più di ora avanzare alla cieca, lasciandosi massacrare dal primo mob della zona per capire se fosse il caso o meno di proseguire, almeno per il momento, mentre in questo secondo capitolo potremo sondare il terreno, avanzare per qualche falò, e squagliarcela quando il gioco si fa troppo duro, portando la nostra lama altrove.

E grazie all’IA nuova di zecca non ci vorrà molto prima che ciò accada: come se ce ne fosse bisogno, i nemici sono ancor più schizofrenici ed imprevedibili, spietati, sempre pronti ad esplodervi ad un palmo di naso nel caso in cui non li massacriate prima voi, a pietrificarvi, avvelenarvi e maledirvi, e il loro rinnovato cervello (unitamente all’elevato numero di mostracci che troverete) vi renderà vittime di trattamenti sempre più sadici, tra colpi alle spalle (che tra l’altro, saranno più complessi da sferrare) e accerchiamenti davvero frequenti, nei bel mezzo dei quali un colpo andato a vuoto o la minima distrazione non tarderanno a mostrarvi l’ormai familiare schermata di Game Over. Il bello è che stiamo parlando dei mob più semplici e banali…ma è altrettanto vero che tornare nelle zone più ardue qualche ora dopo con un personaggio più potente ed esperto regalerà, ancor più che in passato, una sana dose di fiducia e appagamento, come ogni singola azione, lotta o decisione in questo gioco.

Saranno però le distrazioni e le leggerezze a sentirsi ancor più che in passato, grazie anche ad un’altra novità tanto “gradita” quanto malsana: la diminuzione della barra della vita. Ogni morte non solo comporterà la momentanea perdita di tutte le sudatissime anime, ma anche la riduzione di una percentuale di PV, fino ad un massimo del 50%, percentuale pronta a scendere ulteriormente a tutti quei giocatori macchiatisi di troppi peccati, ovvero di invasioni indesiderate segnalate (e punite) direttamente dal gioco stesso e non più dalle vittime, le quali, grazie al rinnovato sistema di Patti ancor più focalizzato sull’esperienza online, potranno rispondere all’assalto con l’aiuto dei fantasmi blu, entità che fanno il paio con quelle bianche (bot e umani), i cui “segni” si trovano quasi sempre nei paraggi di un boss. Tranquilli: basterà utilizzare (con parsimonia) l’effigie umana, sostituta delle molteplici umanità che era possibile accumulare nel primo Dark Souls, per tornare al 100%, ma nel mentre dovrete affidarvi ad un healing system anch’esso profondamente rivisto per poter sopravvivere agli orrori e le insidie di Drangleic.

Le cinque (o più) fiaschette Estus che venivano automaticamente ricaricate ad ogni sosta presso il falò andranno infatti conquistate sul campo (partirete con una sola), e per sopperire a questa mancanza, soprattutto nei primi frangenti, sarà possibile affidarsi ad una preziosa novità come le gemme vitali, le quali ripristinano meno vita, più lentamente e sono consumabili da acquistare, ma potranno essere utilizzate anche in movimento, decisamente più comode sopratutto durante le concitate battaglie. E tra le novità legate al falò c’è anche la possibilità dibruciare degli speciali oggetti, con conseguenze importanti: dal potenziamento delle fiaschette, alla riduzione delle invasioni online, fino al rafforzamento di tutti i nemici in circolazione, i quali saranno più ardui da uccidere, ma la quantità di anime ottenute vi renderanno un po’ meno faticosa l’impresa. I preziosi checkpoint avranno inoltre a che fare con l’equipaggiamento, ripristinando la condizione di utilizzo senza bisogno di recarsi necessariamente dal fabbro (il quale potrà riportarle in vita nel caso in cui doveste distruggerle del tutto), un elemento anch’esso da non sottovalutare. Uno dei valori da tenere d’occhio, come se tutto quel che è stato detto sinora non bastasse, è il peso sopportabile, che non si riferisce, come, ad esempio, in Skyrim, al massimo quantitativo di oggetti trasportabili, ma all’ingombro delle singole armi, scudi (entrambi per un massimo di 3 tra cui scegliere rapidamente) ed armature indossate: se ignorato, vi ritroverete con un personaggio lento, sempre senza energia o in alcuni casi inamovibile! Oltre ad uno slot extra di scelta rapida delle armi, avrete infine la possibilità di utilizzare ben quattro anelli, il doppio rispetto al passato, in modo da personalizzare ulteriormente il vostro play-style grazie al gran numero di utilissimi gioielli che troverete.

Tra sofisticate trovate di gameplay, bilanciamento generale e nuovi modi per torturare i poveri giocatori, sembra che quei guasconi di From Software abbiano trovato il tempo anche di dedicarsi al comparto puramente tecnico e artistico, anche in questo caso, pur senza strafare, lasciando un’ottima impressione. L’impatto visivo non è troppo dissimile da quanto visto in passato, con il nuovo engine che preferisce limitarsi a regalare qualche dettaglio “extra” (le fiamme, il movimento dell’erba o delle vesti indossabili) a favore di un frame-rate sempre un po’ appesantito, ma decisamente più stabile rispetto a quello del primo Dark Souls, con cali meno frequenti (ma pur sempre presenti) e una maggiore fluidità, trasmessa anche alle animazioni e allo stesso gameplay, con comandi più reattivi e una legnosità scrollata quasi del tutto di dosso. Molto più puliti ed ordinati anche i menu, decisamente più intuitivi, ma qualcosina in più nella schermata d’acquisto, sopratutto di armi ed armature (sopratutto per il confronto con l’equip in possesso) poteva essere fatto. Se qualche fenomeno di clipping e non troppo frequenti glitch grafici stonano col quadro generale, rimane però la componente artistica della serie a lasciare ancora una volta  a bocca aperta, con gli stilemi dark-fantasy pienamente rispettati non senza piacevolissime variazioni sul tema, ed è apprezzabile, soprattutto, il tentativo di offrire una Drangleic più aperta e “civilizzata” rispetto all’asfissiante Lordran.

Non c’è niente di meglio che riprendere fiato godendosi il misterioso panorama di Majula, illuminata da un triste e perenne tramonto, o gustandosi le acque di Heide con le sue strutture gotiche, perdersi nelle fitte foreste o addentrarsi in dedali di legno e pietra, sperando di trovare quanto prima una via d’uscita. E come sempre anche i nostri avversari, tra qualche vecchia conoscenza e nuove, temibili creature, ci terrorizzeranno in più di un’occasione ben prima di averci sferrato il primo colpo, tra minotauri armati fino ai denti, altissimi e severi cavalieri, o rapidissimi zombie, specchio della loro precedente vita, tra soldati, condottieri e pirati, ora un po’ più credibili senza quel ridicolo effetto ragdoll (ma le posizioni imbarazzanti di certi cadaveri vi strapperanno più di una risata). Saranno però i boss a incutere il più atroce terrore, in pieno rispetto della tradizione, mediamente meno mastodontici, ma non per questo meno temibili, orribili, disgustosi e spesso bardati con pazzesche corazze.

Grande cura è stata riposta anche negli effetti sonori, dal tintinnio delle corazze, fino ai gorgoglii dei nemici circostanti, l’unica nostra “campana d’allarme” in qualche buia caverna o in qualche più ariosa foresta (non si può mai star tranquilli), con ogni singolo suono o rumore certosinamente posizionato a regola d’arte per enfatizzare ulteriormente la tensione e l’oppressione che ogni pixel di questo titolo trasuda. Non male anche i pochissimi accompagnamenti musicali presenti, mai invasivi e piacevolmente atmosferici, seppur rari.

In conclusione…

In netta controtendenza, From Software spezza l’incantesimo che vede grandi serie perdere la retta via dopo qualche capitolo, nel tentativo di racimolare qualche nuovo fan e perdere il rispetto (e il denaro, di conseguenza) dello zoccolo duro. Le voci di un possibile ammorbidimento, le quali hanno intimorito più di un seguace, verranno spazzate via dopo qualche minuto di gioco, per quanto sia palese lo sforzo del team di introdurre (con successo) alcune lievi ma importanti novità tutte a favore, questo sì, di una maggiore accessibilità (un concetto ben diverso). Ma qual è il risultato di questo lavoro di “smussamento” di meccaniche così complesse?

Quel che abbiamo tra le mani è un titolo sicuramente grezzo dal punto di vista tecnico, palesemente old-gen anche e soprattutto grazie ad un frame-rate appesantito ma nonostante tutto piacevolissimo da vedere, grazie al reparto artistico del team sempre in grado di regalare un immaginario fresco ed originale, ma è il bilanciamento dell’esperienza a rendere il proprio tempo passato con Dark Souls 2 ancor più sopraffino, appagante e meno frustrante, con una concezione della difficoltà fondamentalmente “scalabile” senza bisogno dei limitati feticci ludici vecchi di 30 anni che alla prima avversità costringono il giocatore a sminuire il proprio valore appiattendo l’intera esperienza di gioco passando da “Normale” a “Facile”: da una parte, il giocatore più smaliziato ed esperto troverà un gioco dannatamente arduo, con alcune sequenze più banali (in particolare qualche sporadico boss) ma sempre pronto a strappar via sino all’ultimo respiro, con il grado di sfida che il più feroce e audace degli hardcore gamer sta cercando, mentre chi dei precedenti Souls è solo riuscito a scalfirne la superficie, mollando la spugna troppo presto, avrà a disposizione tutti i mezzi per rendere la traversata un po’ meno asfissiante, ma comunque estremamente appagante.

Rappresenta lo step introduttivo per chi è rimasto affascinato dalle tante voci favorevoli su questa saga ma non ha mai trovato il coraggio di gettarsi a capofitto nella mischia? Non proprio: stiamo pur sempre parlando di un titolo ostico, profondo e perfetto nella sua capacità di smontare le certezze e la fiducia del giocatore. È il giocatore stesso a dover decidere se è pronto ad investire sangue (digitale), sudore e lacrime nell’ennesimo grande titolo targato From Software, non in grado di emulare per intero l’impatto emotivo del suo illustre predecessore, ma assolutamente meritevole di attenzione e di onori da parte degli amanti degli RPG in cerca di sensazioni realmente forti.

Voto: 8,5/10

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