Il fattore prezzo rappresenta da sempre uno dei tasti più dolenti nella stesura di una recensione. Trattandosi di un’analisi puramente soggettiva, per quanto obiettiva essa possa essere, non sempre si ha la fortuna di poter ricorrere a metri di giudizio comuni, quali sono quelli atti a valutarne grafica o gameplay. Se per questi esistono delle linee guida grossomodo standardizzate, il discorso cambia drasticamente quando si parla di portafoglio: nessun recensore può infatti sapere quanto una persona sia disposta a pagare uno specifico gioco, quanto quell’ammontare rappresenti per lei e, soprattutto, quanto l’investimento possa essere ripagato in rigiocabilità. Questo preambolo serve soltanto ad introdurre una cosa probabilmente ovvia: per quanto lo possiate cercare, difficilmente troverete qualcuno così ardito da affermare che il rapporto longevità/prezzo di Metal Gear Solid V: Ground Zeroes sia ragionevole. Ma alla fine della fiera, è davvero così importante il prezzo?
Con le dichiarazioni delle ultime settimane e altre immancabili perle a ridosso della data di uscita di GZ, Konami e Hideo Kojima hanno fatto tutto il necessario per scavarsi da soli una comoda fossa e sedercisi comodamente dentro. Non che la comunicazione sia uno dei punti forti di Hideo, per carità, ma considerando la delicata situazione pre-lancio di Ground Zeroes caratterizzata più dal dubbio e dall’incertezza che dall’attesa, qualche sparata in meno e un paio di spiegazioni in più avrebbero sicuramente aiutato. Sì, perchè già dal suo annuncio l’ultima creatura di Kojima Productions pareva incapace di dichiarare la propria mission. Cos’è Ground Zeroes? Poco più di una demo a pagamento, come affermano i detrattori del designer, o un esperimento in stile Prologue simile a quello di Gran Turismo (come affermano Publisher e sviluppatore)?
MGSV Ground Zeroes rappresenta a tutti gli effetti un prologo al VERO Metal Gear Solid V, quel The Phantom Pain su cui si sa ben poco, che molto probabilmente riusciremo ad adocchiare al prossimo E3 ma che, nel bene o nel male, difficilmente vedremo nelle nostre console prima del 2015. Ground Zeroes non offre un estratto di gioco del capitolo principale, né tantomeno prende in prestito locations o elementi da quest’ultimo: si tratta piuttosto di un ponte, un anello di giunzione tra due ideologie di design antitetiche, lo stealth lineare della vecchia scuola Kojima e l’open world totale che caratterizzerà le ambientazioni di The Phantom Pain.
Un assaggio, pertanto, dell’evoluzione della filosofia stealth secondo uno dei suoi creatori più illustri. Una premessa tanto allettante quanto fumosa, incapace però di distogliere lo sguardo dal punto focale della diatriba: Ground Zeroes costa 40€ sonanti e, per concluderne la “campagna” principale, non richiede nemmeno due ore. Inutile spendere ulteriori righe sulla polemica legata al pricing di tale IP – cose dette e ridette più volte – disponibile ad un prezzo ridotto in formato digitale su PSN e Xbox Live: sappiate soltanto che, nella nostra prova, abbiamo impiegato un ora e 14 minuti per raggiungere i credits.
Ma partiamo da uno degli aspetti meglio riusciti di GZ, l’impianto tecnologico e il tanto decantato FOX Engine. La versione PS4 da noi testata vanta pieno supporto allo standard FullHD (cosa che non succede su Xbox One, dove la risoluzione rimane a 720p), con frame rate ancorato a 60 fotogrammi al secondo e un sistema di illuminazione sontuoso e magistrale, che unito ad una gestione degli eventi atmosferici di prim’ordine sembra voler dare un senso alla tanto abusata espressione “next-gen”. Il risultato, inutile negarlo, è estasiante sin dal filmato introduttivo – mettici la grafica, mettici il taglio cinematografico alla Kojima e il gioco è fatto – anche se, più ci si addentra in Camp Omega, più si scorgono alcune piccole imperfezioni. Alcuni asset, ad esempio, regalano un numero di poligoni non sempre eccelso (cespugli e rovi, nelle inquadrature ravvicinate, stonano non poco): lecito pensare si tratti di una conseguenza dovuta alla condivisione di parte del materiale con le versioni PS3 e Xbox 360. Lo stesso discorso si presta all’interattività di Snake con Camp Omega: vedere che soltanto alcune porte possono essere forzate mentre altre rimangono inviolabili non è così in linea con la rivoluzione open abbracciata dal designer. Un “dettaglio” legato alla natura multipiattaforma e cross-generazionale del titolo, costretto a girare in modo ottimale anche su hardware meno performanti.
Parlando di narrazione, gli accadimenti di Ground Zero risalgono al 1975, immediatamente dopo quanto narrato in Peace Walker. Protagonista di questo “antefatto” è chiaramente Big Boss, il leggendario Naked Snake di MGS3, impegnato in una missione di infiltrazione e recupero in una prigione cubana dal sapore di Guantanamo. Obiettivi di Snake sono il giovane Chico e Paz, anch’essi volti noti già conosciuti proprio in Peace Walker, rapiti e torturati da una misteriosa organizzazione chiamata XOF (vi ricorda nulla?). La storia di GZ rappresenta ovviamente la punta di un iceberg molto più profondo, The Phantom Pain appunto, il cui villain sarà presumibilmente incarnato da Skull Face, misterioso individuo che fa una fugace apparizione nel filmato introduttivo per poi sparire. A tal riguardo, GZ offre solamente due cutscene, introduzione e filmato conclusivo, di durata consistente ma – per fortuna – non esagerata. Non si tratta certo di filmati brevi, ma appaiono come delle semplici interruzioni se paragonate agli standard video di Metal Gear.
La sceneggiatura, intensa e drammatica specie negli ultimi minuti, soffre tuttavia dell’assenza di un vero e proprio finale: Ground Zeroes non finisce, o meglio finisce dove inizierà The Phantom Pain abbandonando un giocatore sconvolto proprio sul più bello. Manca una conclusione al tutto, manca un epilogo anche solo temporaneo: si ha come l’impressione di aver assistito alle sequenze “pre-titoli di testa” di un film di spionaggio e, raggiunta la sigla, si finisce per sbattere il muso contro una scritta che recita: “bene, ora aspetta almeno un anno per vedere che succede dopo”.
La recitazione fortunatamente non delude, ed è impossibile non plaudere la prova di Kiefer Sutherland nei panni di Snake. Non che ci fossero particolari dubbi vista la caratura dell’attore, ma il risultato va oltre le aspettative più rosee. Meno convincente è il doppiaggio, in carico allo stesso attore ma lontano anni luce da quello originale di David Hayter: poco da fare, magari Hayter non vale la metà di Sutherland in quanto prestanza scenica ma la sua voce, quel suono ruvido che mescolava dizione impeccabile e espressioni quasi da cartone animato, si adattava quasi naturalmente allo stile “peculiare” dei dialoghi di Kojima. Sutherland mette del proprio per doppiare Snake ma il risultato è diverso, poco da fare, non colpisce al cuore come la performance Hayter. E considerando un doppiaggio dei personaggi secondari non sempre eccellente, si corre il rischio di rendere il tutto meno credibile, meno “vero” rispetto al passato. Sono sfumature, ma non passano inosservate ai fan della saga.
Voce del protagonista a parte, il gameplay di Ground Zeroes è senza dubbio la novità principale. Le meccaniche stealth, già notevolmente semplificate nel corso dell’evoluzione del franchise (giocatevi prima MGS4 poi MGS e fatemi sapere), sono state rese ulteriormente più accessibili. Per certi versi pare di intravedere un cenno di quella deriva action che ha caratterizzato gli ultimi Splinter Cell, più votati all’attacco che alla furtività. In Ground Zeroes non vedremo certo Snake arrampicarsi su pareti come un novello Auditore, anche se imbracciare il mitra e sparare senza remore rappresenta un’alternativa non certo impossibile.
La prima cosa che balza all’occhio è l’assenza di alcuni degli elementi più iconici della saga. Niente più scatoloni o barili dove nascondersi, niente indicatore di mimetismo, niente informazioni su quanto siamo “nascosti” agli occhi degli avversari: sarà dunque necessario osservare, ascoltare, prevedere le ronde dei soldati nemici e anticiparne i movimenti per sgattaiolare in sicurezza verso l’obiettivo (ovvio, se l’approccio stealth è il vostro preferito). Il classico radar viene sostituito dall’iDroid, mostruoso dispositivo all in one (disponibile anche come Compaion App per iOs e Android) che permette di ricevere informazioni sulla missione, osservare dinamicamente la mappa (le informazioni che estorceremo interrogando i nemici vengono automaticamente aggiornate e “disengate” sulla mappa) e persino chiamare un elicottero per l’eventuale recupero di prigionieri. Snake è inoltre dotato di un nuovo binocolo, che gli permette di ascoltare conversazioni a distanza e di taggare i nemici come in Splinter Cell. Proprio come in quest’ultimo, sarà inoltre possibile eliminare velocemente una guardia nemica che ci ha individuati sfruttando un particolare effetto slow-motion: una strizzata d’occhio nemmeno troppo velata al TPS, testimoniata anche dall’introduzione delle coperture dinamiche. Gli avversari, dal canto loro, appaiono più reattivi, con una vista che non si limita ai 2 metri davanti a loro e una memoria, finalmente, migliore di quella del vostro pesciolino rosso.
La mappa di gioco è di dimensioni generose, ma non offre alcuna indicazione sulla posizione di Chico e Paz: toccherà al giocatore muoversi al suo interno, analizzando informazioni e indizi utili a stanarli. Il COME vorrete farlo è un fattore puramente personale: la componente Action di Ground Zeroes ben si presta alle dinamiche open world del titolo, e permette un ventaglio maggiore di possibilità offensive, approcci e immancabili cambi di programma. Potrete attaccare a testa bassa, aggirare l’ostacolo per colpire alle spalle, usare proiettili stordenti oppure attirare l’attenzione sparando in una specifica area per muovervi con maggior libertà sfruttando lo spostamento ostile. Scegliere se stordire i nemici piuttosto che ucciderli, nasconderne i corpi o lasciarli in bella vista dipenderà ovviamente dallo stile di chi gioca, fermo restante che più saremo silenziosi, maggiori saranno le possibilità di riuscire nella missione. Certo è che senza scatoloni, gadget ultra-tecnologici e, non ultima, senza poter bussare sui muri per attirare l’attenzione dei soldati le fasi stealth rischiano di diventare meno profonde e prive di uno spazio di soluzioni tattiche articolato.
Terminata la missione principale, sarà possibile cimentarsi in cinque missioni secondarie (le prime quattro – Elimina la minaccia dei giustizieri, Salvataggio agente segreto, Acquisizione informazioni riservate, Distruzione postazioni antiaeree – comuni per ciascuna piattaforma, la quinta invece diversa da utenza Sony a Microsoft) che spostano il focus su aspetti specifici del gameplay, siano essi il combattimento o la furtività, e sulla backstory (interessanti retroscena su Ground Zeroes, Camp Omega e la sempre ricca letteratura di Kojima). Ciascuna di queste, caratterizzata da un breve filmato introduttivo e da credits dedicati, difficilmente ruberà più di 40 minuti per essere portata a termine: inutile sottolineare che, già al secondo playthrough, i giocatori più abili potranno chiudere il cerchio in nemmeno 15 minuti. Se la versione Xbox One offre una missione incentrata su Raiden con qualche riferimento a Snatcher (vecchio titolo MSX di Kojima), quella da noi provata su PS4 offre più di qualche richiamo al primo, indimenticabile Metal Gear Solid. Ma se anche voi seguite da anni l’epopea di Snake e siete attenti estimatori di Kojima, già saprete che l’autoreferenzialità non è mai stata un problema.
In Conclusione…
La polemica legata a Metal Gear Solid V: Ground Zeroes difficilmente si estinguerà una volta raggiunti i credits. Hideo Kojima non rinnega il passato ma lo trasforma, evolvendolo in base ai gusti e alle necessità di un pubblico in costante mutamento, forse non più pronto ad accettare i dogma dello stealth che nel corso degli anni la saga di Metal Gear ha scritto (e riscritto) col fuoco. La rivoluzione open world c’è e si fa sentire, e nonostante la legittima diffidenza iniziale essa si lega in maniera armoniosa con le novità introdotte nella componente gameplay. Un gameplay che si dimostra sì solido e giocabile, confermandosi accessibile anche dai meno avvezzi del genere ma, forse, un po’ troppo incline allo sparo facile piuttosto che allo scivolare nell’ombra dietro le spalle avversarie.
La deriva action di GZ è innegabile (si pensi alla slow mo per eliminare le guardie allertate), e per quanto si sposi alla perfezione con la concezione open world del titolo di Kojima, il ridimensionamento del gameplay effettuato (niente indicatore di mimetismo/hiding, niente scatoloni, non si bussa più alle pareti) sacrifica sensibilmente la componente stealth del titolo… Certo, finire GZ come fantasma è ancora possibile (e faticoso), ma si tratta essenzialmente di aspettare il momento buono per passare da una copertura all’altra senza la profondità, ad esempio, riscontrata in Snake Eater. Se lato narrativo siamo di fronte ad una storia di sicuro impatto, con momenti epici e altri altrettanto struggenti, l’assenza di una conclusione – riassumibile con un To Be Continued in The Phantom Pain, unita all’assenza di una boss fight memorabile (uno dei marchi di fabbrica di Kojima Production) e di anche un solo cenno ad un Metal Gear tradiscono in parte lo spirito più puro della Saga.
Il vero problema, purtroppo, va ricercato nelle strategie di marketing abbracciate da Konami e Kojima stesso: vendere a 40€ un assaggio, un’introduzione fugace di quello che più in là sarà sicuramente un successo epocale è una scelta non solo opinabile, ma anche terribilmente rischiosa. E ok che difficilmente supererete il 10% di completamento raggiunti i credits la prima volta, che Ground Zeroes tracima segreti e che chiunque ambisca al perfect score troverà pane per i propri denti – il tutto a favore di un reply value non certo irrisorio. Ground Zeroes finisce troppo rapidamente sul più bello, rimandandovi più in là per vedere il resto: e posto che spetta a voi decidere se l’esborso richiesto sia o meno giustificato, dal canto nostro non possiamo certo chiudere un occhio sul rapporto quantità/prezzo di gioco. Nemmeno se dall’altra parte del bancone c’è Hideo Kojima.
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