Colonia – Non è affatto un caso se il titolo di Best of E3 2014 sia andato a The Phantom Pain. L’attesissimo ritorno di Hideo Kojima alla serie che lo ha consacrato all’Olimpo del Game Design e la nuova concezione di un open world mescolato alle leggi di chi lo stealth game l’ha inventato anni or sono rappresentavano un biglietto da visita troppo invitante per relegare il nuovo capitolo della saga Metal Gear ad un misero “secondo posto” tra le scelte della stampa. Se poi aggiungiamo una grafica avveniristica, una colonna sonora targata Mike Oldfield (e divenuta rapidamente suoneria di gran parte dei giornalisti accreditati in fiera) e una direzione artistica sublime, che culmina in una regia da far morire di invidia blasonati registi della California bene, non serve molto impegno per capire per quale motivo questo The Phantom Pain rappresenti uno dei titoli dalle più alte vette di hype mai raggiunte.
Che fossero in moltissimi ad attendere spasmodicamente il quinto episodio “numerato” della serie di Snake e soci, a conti fatti, si sapeva già da parecchio tempo. L’arrivo sul mercato di Ground Zeroes, nonostante le polemiche legate ad una longevità risicata e un fattore rigiocabilità non certo trascurabile ma incapace di giustificarne la limitatezza contenutistica, ha rappresentato un primo segnale prepotente per i talenti di Kojima Productions, subissati dalle richieste di un fandom di proporzioni planetarie desiderosi (per non dire ossessionati) di posare le mani sul nuovo tassello di una delle saghe più apprezzate di sempre. Aspettative enormi per un titolo che, sulla carta, sembra essere persino maggiore: e inutile dire che le premesse per un risultato ai limiti dell’epico ci sono già tutte.
Dopo il nostro primo assaggio lo scorso giugno siamo tornati una seconda volta nel mezzo del deserto afghano, per affrontare la medesima missione di infiltrazione e recupero (non più di ostaggi, questa volta, bensì di documenti di intelligence) in un modo del tutto differente dal precedente. Non più un’incursione diurna con tanto di tempesta di sabbia: questa volta si sceglie l’oscurità, la notte e le sue mille possibilità di passare inosservati ad occhi poco attenti. Raggiunto l’avamposto incriminato (seguendo una strada inedita che, oltre a ricordarci come collegare una capra ad un sistema Fulton ci ha fatto conoscere un gruppetto di lupi selvatici), ricorrendo all’utilizzo del già celebre Phantom Cigar il tempo è corso velocemente sino alle quattro di mattina. Al di là del fattore oscurità, l’approccio notturno garantisce un pattugliamento meno intenso in termini numerici, seppur più attento, che in una situazione diurna: essendo parte delle guardie ritirata negli alloggi, c’è un maggior margine di movimento all’interno della base.
Passano pochi minuti prima di assistere alla prima vera novità di gameplay: qualora dovesse essere individuato in “modalità scatolone”, Snake può rizzarsi in piedi (sempre rimanendo sotto la propria copertura) e distrarre la guardia di turno con l’immagine di un’avvenente donna in bikini stampata sul cartone. La guardia, inebetita dalla paradisiaca visione, si muoverà distratta nella nostra direzione e potrà facilmente essere abbattuto. Quanto mostrato nella conferenza Sony di ieri, a quanto pare, era uno scherzo soltanto a metà.
Tra un abbattimento silenzioso e una manciata di passaggi stealth più tradizionali di quello appena presentato, Snake si fa strada sino all’obiettivo di questa missione, il recupero e l’invio a Mother Base di un prezioso documento di Intel. Peccato che il diversivo creato poco prima per spostare l’attenzione delle pattuglie lontano dal piccolo ufficio abbia allertato la sicurezza, che ha spedito un elicottero munito di faro per individuare eventuali pericoli. Impossibile dunque fuggire con una jeep, una fuga che assumerebbe i connotati di un suicidio programmato. Tuttavia possiamo usare il Fulton Recovery System in un modo non propriamente consono: basta appiccicare del C4 con un timer alla suddetta jeep, aspettare che l’elicottero nemico si fermi esattamente sopra il veicolo e, soltanto a questo punto, collegare la Jeep al Fulton. Risoltato, una bomba su quattro ruote sparata verso il velivolo nemico che, prima ancora di poter reagire, viene investito dall’esplosione.
Pur trattandosi di un espediente volutamente scenografico, quanto appena descritto testimonia l’esistenza di uno spazio di soluzioni estremamente aperto. Non solo sono disponibili più strade per raggiungere un medesimo obiettivo, ma in The Phantom Pain sarà possibile utilizzare in modi completamente differenti set di oggetti in nostro possesso per creare diversivi, armi o – come in questo caso – abbattere la resistenza avversaria e darsi alla macchia, comodamente in sella ad un cavallo che ci conduce sino al nostro elicottero.
Ma non è ancora finita. Come successo nel corso dell’E3, ci ritroviamo nuovamente a Mother Base – o meglio, in una Mother Base diversa, come testimoniato da uno stemma inconsueto che tappezza ogni angolo della struttura. Basta poco per accorgersi di essere di fronte ad un’inedita modalità competitiva online: sarà infatti possibile raggiungere la base di un qualsivoglia giocatore connesso e fare razzia delle risorse da lui guadagnate nella campagna principale, cercando ovviamente di eludere la sorveglianza nemica (pena il fallimento della missione) che, quasi cinicamente, può essere spedita ala nostra Mother Base e automaticamente convertita alla nostra causa.
Ancora una volta, una trovata brillante e di assoluto impatto, che rimescola le carte della sfida multigiocatore reinventando una modalità fuori dal coro e che, ne siamo certi, farà penare non poco i fedelissimi di Kojima. Kojima che, inutile dirlo, si riconferma un geniaccio diabolico: ricordate l’attacco alla nostra Mother Base lo scorso Giugno? Esatto, la già citata demo E3 che si concludeva sul più bello senza che potessimo rispondere all’offensiva nemica. Ora provate un po’ ad indovinare il legame tra lo Snake di due mesi fa e quello odierno, che compare dal nulla armato di lanciamissili e pone termine alla tentata incursione nella SUA Mother Base. Quando si dice non lasciare nulla al caso…
Difficile dunque esprimere un giudizio su Metal Gear Solid V: The Phantom Pain in una manciata di parole. La nuova creatura di Hideo Kojima è prodigiosa sotto ogni punto di vista: dalla narrazione alla scenografica, dal taglio cinematografico delle cut scene al comparto tecnologico, MGS V reclama a gran voce un posto nella storia del videogioco abbattendo ulteriormente il già labile confine che separa l’universo del gaming elettronico da quello del cinema. Raramente ci siamo imbattuti in titoli capaci di emozionare il giocatore in questo modo, di trasmettere concetti forti come morte, sacrificio e vendetta con un’espressività così profonda e toccante.
La rivoluzione del gameplay introdotta da The Phantom Pain, un mix perfettamente riuscito di dinamiche open world e meccaniche squisitamente stealth che attingono a piene mani dal glorioso passato della serie, fuga i leciti dubbi iniziali su una commistione non propriamente naturale di questi due univers: stealth e free roaming convivono armoniosamente, anzi riescono persino ad offrire nuovi spunti e interazioni inediti (l’utilizzo del Fulton Recovery System, ad esempio) che donano ulteriore profondità all’esperienza di gioco. Ma se dall’altra parte dello schermo virtuale c’è un certo Hideo Kojima, forse non c’è nemmeno troppo di che stupirsi.
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