Colonia – Fin dal suo primo annuncio, il gioco Dying Light ha suscitato un certo interesse tra la stampa specializzata ed il pubblico, poiché sembrava allontanarsi dai canonici giochi con zombie e prendere una strada differente da quel Dead Island che Techland aveva sviluppato per le console old-gen qualche anno fa.
In molti hanno pensato che si trattasse esclusivamente di una naturale evoluzione del primo titolo, con la semplice aggiunta di un’esplorazione più libera ed articolata grazie alle doti atletiche dei personaggi principali ed un ciclo giorno/notte in grado di donare maggior realismo alla progressione.
La demo cooperativa che abbiamo provato a porte chiuse ci ha dimostrato letteralmente il contrario: Dying Light è un gioco completamente diverso da Dead Island. Certo, ne mantiene alcune delle caratteristiche imprescindibili, come la possibilità di fabbricare armi personalizzate e la crescita evolutiva del protagonista, ma per il resto si distacca dal filone scanzonato della produzione del 2011, la quale proprio qui alla gamescom ha presentato la prima dimostrazione giocabile ufficiale tramite il nuovo studio di produzione Yager.
La missione cooperativa che abbiamo giocato si ambientava dentro un palazzo con un solo altro giocatore (ma la versione finale del gioco potrà contare fino a 4 giocatori): il nostro obiettivo era quello di piazzare una bomba e farla detonare una volta fuori dall’edificio. Dopo l’epidemia, le cui cause sono lungi dall’essere conosciute, l’intera rete elettrica è saltata e bisogna armarsi di torcia anche di giorno per esplorare gli androni abbandonati degli stabili. Il sistema d’illuminazione è reso meravigliosamente: la nostra fonte di luce riflette con cura i particolari di un mondo caduto in disgrazia, mentre corpi morti ma in qualche modo tornati in vita si cibano nella penombra di qualche povero diavolo rimasto intrappolato in quell’inferno.
La luce ovviamente attira gli zombie, che senza tante cerimonie iniziano a barcollare incerti verso di noi. Nell’inventario abbiamo a disposizione alcune armi per il corpo a corpo, di cui una incendiaria e decidiamo di metterla subito alla prova per testarne l’efficacia. L’effetto è sorprendente, in quanto non solo si limita a bruciare i nemici colpiti, ma questi ultimi passano il fuoco agli zombi vicini, generando in pochi attimi una vampata micidiale. Ovviamente la morte non è istantanea e per qualche secondo i non-morti avvolti dalle fiamme continuano ad attaccarci, resi ancora più pericolosi dalla loro condizione. Il calcio è un buon metodo per allontanarli e sfruttare quel poco tempo per recuperare energie o scappare in un posto sicuro, aspettando che la carbonizzazione faccia il suo effetto.
Grazie alla potenza del nuovo motore grafico e l’architettura delle nuove console, Dying Light stupisce anche dal punto di vista visivo, con modelli poligonali realistici e ricchi di particolari tutti differenti. Difficilmente noterete uno zombie identico ad un altro, forse a causa di un generatore casuale che mescola i volti ed i corpi martoriati, garantendo una varietà visiva senza precedenti nel genere. La ricerca di pezzi di ricambio e risorse è fondamentale per riuscire a creare l’armamentario che più ci aggrada e difatti le modalità di raccolta sono identiche a quelle viste in Dead Island, anche se durante la demo purtroppo non è stato possibile approfondire questo aspetto del gioco.
La mini-mappa posta in alto a destra dello schermo indica con precisione il punto dove dobbiamo arrivare e questo ci permette di esplorare il resto dell’edificio: l’oscurità avvolge i protagonisti come una cappa venefica e l’angoscia inizia a prevalere sui nostri già provati stati d’animo. Se uno zombie saltasse d’improvviso fuori da una porta? Se diventassero semplicemente troppi per un ambiente così ristretto? Semplice intuire quanto la cooperativa sia fondamentale e quanto invece sia rischioso –per gli altri e per sé stessi- addentrarsi da soli in posti sconosciuti isolandosi dalla sicurezza di gruppo.
Trovato il luogo dove armare l’esplosivo, ci dirigiamo in fretta verso l’uscita, sfruttando un buco nel pavimento e continuando per i condotti fognari appena sotto i nostri piedi. Pochi minuti (e molti zombie) dopo, usciamo all’aria aperta appena in tempo per notare il sole svanire dietro l’orizzonte. Questo è un altro dei dettagli importanti della produzione Techland, in quanto l’alternanza tra il giorno e la notte non è solo un orpello tecnico per far contenti i puristi del realismo, ma condiziona in modo significativo il gameplay e la vita stessa dei giocatori. Gli sviluppatori infatti ci avvertono che durante le ore più buie, i cosiddetti Night Hunter prendono il controllo della città. Si tratta di creature più veloci e più forti dei normali zombie, tanto da non poter essere uccisi con le armi convenzionali, ma solo allontanati con una torcia ad ultravioletti per fortuna dotazione di ogni Runner. Nel caso la connessione online del gioco venga lasciata aperta durante la campagna, è possibile che un giocatore –esterno al gruppo cooperativo- subentri nella partita come Night Hunter; in questo caso inizia un match competitivo, durante il quale i runners sopravvissuti devono ritrovare i bozzoli di Hunters ed eliminarli prima che il processo di crescita sia completo. Durante l’estenuante ricerca notturna, un singolo Night Hunter darà la caccia agli umani, cercando di impedire la distruzione delle sue uova.
Questa variazione inaspettata ci ha lasciati stupefatti, in quanto i ritmi di gioco cambiano in modo forsennato. Non solo sfuggire dal Night Hunter rappresenta uno dei momenti più ansiogeni e spaventosi dell’intera demo, ma è sviluppata in maniera ineccepibile. La torcia illumina giusto quel tanto che basta a farci intuire la scorciatoia da seguire, mentre il nostro sesto senso (attivabile con la pressione di un tasto) ci permette di capire la posizione del nemico sulla mappa. Non che questo sia rassicurante, poiché nell’oscurità più totale, sapere che un gigantesco mostro sia a pochi metri da noi non fa altro che generare maggiore angoscia. Durante la prova ci è capitato di soccombere all’aggressione dell’Hunter; il respawn è immediato, ma il numero di vite è limitato per tutta la squadra, quindi è meglio evitare di essere catturati. Arrivati nei pressi dei nidi, eliminare i bozzoli non è difficile, purché non si perda troppo tempo.
Alla fine siamo riusciti a distruggere tutti i nidi presenti sulla mappa ed a tornare sani a salvi alla base. Posati i joystick e le cuffie, siamo lentamente riemersi nel mondo reale ed il nostro battito cardiaco è tornato a ritmi normali.
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Le differenze che rendono Dying Light un gioco unico piuttosto che un banale sequel, sono proprio i maggiori punti di forza dell’intera produzione. Il gameplay non è stato riscritto da zero, ma alcuni movimenti sono stati semplificati permettendo ai giocatori di effettuare salti ed acrobazie più atletiche rispetto alla norma. Non aspettatevi il parkour di Mirror’s Edge, sia chiaro, ma è un’introduzione a nostro avviso ben strutturata, che aumenta la profondità di gioco, consentendo un’esplorazione verticale molto più semplificata. La modalità competitiva (posto che sia l’unica e ne dubitiamo) è semplicemente travolgente: combinare con tanta semplicità single-player e multiplayer non è da tutti, ma Techland ci è riuscita senza sforzo. Anche tecnicamente il gioco ci ha convinto, anche se purtroppo è stato provato su PC e resta da vedere se manterrà gli stessi standard qualitativi anche sulle console di nuova generazione.
Aspettiamo trepidanti maggiori informazioni sull’avventura principale, la cui trama è ancora oscura, e sul sistema di crafting, che non è stato ancora mostrato nel dettaglio. Manca ancora tanto all’uscita –prevista per febbraio 2015- ma Dying Light supera a pieni voti il test della gamescom 2014, candidandosi ad uno dei giochi più attesi da tutta la redazione.
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