News 16 Set 2014

Destiny – Recensione

Da che mondo è mondo, le aspettative più grandi sono state foriere dei principali disastri. Ne soffre il cinema, la musica, la letteratura e, chiaramente, anche i videogiochi. E ammettiamolo, le aspettative su Destiny erano andate ben al di là dei livelli di sicurezza dell’hype. Non è infatti un caso se, pur avendo infranto ogni record immaginabile di incassi al lancio nelle sole prime 24 ore, l’ultimo progetto firmato Bungie abbia attratto magneticamente a sé le ire di moltissimi giocatori già all’avvio dei server. Critiche per un always online come sempre contestatissimo, per una lentezza eccessiva nel caricamento, per un’offerta di contenuti incapace di tenere fede a quanto promesso da campagne marketing che entreranno nella storia.

Inutile dirlo, anche le nostre aspettative per Destiny hanno continuato a salire sino al giorno del suo rilascio. Dopo esserci gettati a capofitto nella beta, raggiungendo rapidamente il level cap ed esplorando ogni angolo accessibile della contenuta mappa di gioco disponibile, ci siamo avventurati nella release definitiva pieni di buone speranze, pronti ad essere stupiti da quella che, sulla carta, prometteva di essere l’esperienza shooter definitiva. Ma non sempre le cose vanno come devono e Destiny, nel suo complesso, offre esattamente quello che abbiamo sperimentato durante lo scorso test: poche sorprese di buon livello centellinate quasi con avarizia e un set enorme di meccaniche che lavorano in modo simile, se non identico, tra loro. Ovvio, tutto ora si amplifica e si spinge ben oltre gli stretti confini terresti: ma è davvero abbastanza per un titolo che, da solo, sta tenendo il peso della next-gen sulle proprie spalle?

Ancora una volta, dipende tutto dalle proprie aspettative. Chiunque stesse aspettando l’avventura sci-fi definitiva con sceneggiatura profonda e colpo di scena facile ne uscirebbe irrimediabilmente deluso; idem dicasi per chi in Destiny vedeva il lasciapassare per enormi passeggiate a spasso per un universo quasi infinito. Faremmo però un errore madornale se lasciassimo influenzare il nostro giudizio, e il nostro divertimento, da quello che avremmo voluto vedere in Destiny: e se osservato con un minimo di razionalità è vero, l’ultima creatura di Bungie avrà anche dei difetti nemmeno troppo celati, ma rappresenta uno degli sparatutto rolistici migliori attualmente disponibili sul mercato.

Che lo sviluppatore americano sia uno dei più talentuosi nel panorama sparatutto è assodato già da tempo: ma con Destiny l’asticella è stata alzata ulteriormente. Destiny è un MMO atipico, la cui struttura portante si basa sulla coesistenza di una componente rolistica complessivamente tradizionale e una seconda, dichiaratamente FPS, rasente la perfezione. Armi alla mano, la fase combat è quanto di più frenetico e divertente si sia visto sinora. Ogni arma è sensibilmente diversa e offre un approccio peculiare all’attacco, che viene trasmesso al giocatore come se la stesse impugnando davvero: trovare un’arma che si adatti alla perfezione con il proprio stile di gioco è gratificante, oltre che fondamentale per procedere.

Le dinamiche shooting rappresentano il cuore del combattimento di Destiny, e non c’è dubbio che incarnino uno degli aspetti meglio riusciti della produzione. Dovremo combattere contro numerose razze aliene, ciascuna delle quali recanti pericolosi punti di forza e talloni d’Achille decisivi nelle battaglie. Alcuni Caduti, ad esempio, tollerano poco i colpi alla testa, laddove il mostro meccanico di Venere (il famigerato Hobgoblin) si trasforma in un mucchio inerme di metallo se colpito al centro del busto. Nulla che non sia stato già visto da altre parti, ma la combinazione delle sparatorie appena citate con la necessità di doversi muovere costantemente all’interno del teatro di lotta dà vita a battaglie serrate e avvincenti.

La tenacia dei nemici, quando si tratta di attaccare e far uscire dalle coperture, fa sì che parte del combattimento si sviluppi lungo la componente verticale e, parallelamente, obbliga il giocatore alla ricerca perenne di una posizione vantaggiosa da cui scatenare l’inferno. Proprio per questo la fluidità della lotta è una caratteristica portante di Destiny, che permette con estrema naturalezza di entrare/uscire dalle coperture per saltare su piattaforme sopraelevate grazie ai sovrumani salti dei Guardiani e, da qui, sfruttare la posizione. Si avverte l’impressione di aver sempre e comunque un’alternativa, una moltitudine di opzioni buone durante la battaglia sia che ci si ritrovi a distanza, sia nel cuore della lotta.

Premendo i dorsali R1 e L1 quando la barra del “super colpo” è carica attiveremo la tecnica speciale del nostro alter ego. La tipologia del colpo varia a seconda della classe selezionata in fase di scelta del personaggio e, una volta superato il livello 15, in base alla ramificazione prescelta: lo Stregone, ad esempio, può scagliare un colpo energetico offensivo utile contro i boss di media/grossa taglia oppure aumentare per un breve lasso di tempo le proprie stat, muovendosi con più facilità quando la presenza nemica si fa più intensa. Parlando più da vicino di classi (e di aspetti più MMO-oriented, di cui Destiny rappresenta un’insolita rielaborazione), sarà possibile scegliere tra tre tipologie di Guardiani differenti: il Titano – che predilige l’armamento pesante e ha un debole per le scazzottate corpo a corpo, il Cacciatore – l’incarnazione spaziale del classico Rogue – e lo Stregone, l’equivalente in tunica futuristica dell’immancabile Mago. Non esiste alcun vincolo sulle armi che i Guardiani possono imbracciare, ma armature, attacchi melee e abilità speciali dipendono esclusivamente dalla classe prescelta. Il che rende questa decisione tutto tranne che trascurabile.

Indipendentemente dalla strada che vorremmo percorrere, la crescita del Guardiano rappresenta una meccanica accessibile e coinvolgente. Il meccanismo è quello del più classico degli RPG, con un sistema a punti esperienza che premia l’uccisione degli avversari e il completamento delle missioni sino a raggiungere una specifica soglia per “livellare” allo stadio successivo. L’alternanza di sfide PVP e di missioni PVE garantisce una crescita veloce al PG, che potrà fare affidamento su nuove tecniche, perk e armamenti (speciali, rari e leggendari) i cui parametri fondamentali (forza, disciplina, intelletto) sono più vantaggiosi.

La facilità nel livellare il Guardiano, tuttavia, rischia di rappresentare uno dei punti più dolenti per i puristi dell’MMO rolistico. Lo shooter sci-fi di Bungie offre un primo level cap a 20, con una seconda ramificazione di abilità resa disponibile una volta raggiunto il livello 15. Raggiungere quest’ultima non porta via al giocatore più di otto/dieci ore, a cui dovrete sommarne un massimo di cinque per raggiungere il soft cap citato. Sfruttando la generosità delle ricompense nelle sfide PVP, che offrono un quantitativo spropositato di exp (sproporzionato se confrontato con le ricompense PVE) alle volte indipendentemente dalla vittoria o sconfitta del giocatore, il tempo richiesto si riduce ulteriormente.

Ben più complicato, tuttavia, è expare dal ventesimo al trentesimo livello: la crescita del Guardiano è legata esclusivamente all’equip di oggetti (caschi, stivali, armature e quant’altro) che presentino una stat legata alla luce. Maggiore sarà il “quantitativo” di luce presente nei nostri armamenti, più facilmente saliremo di livello. Sulla carta, questo sistema si presenta interessante e innovativo, rivestendo di ulteriore importanza la fase di loot. Peccato che sia proprio il loot ad apparire tutto tranne che bilanciato in questi frangenti: non sarà così raro imbattersi in una sequenza di drop fortunati in successione rapidissima per poi passare intere ore a grindare sterilmente senza raccogliere niente di utile.

Non fosse ancora chiaro, il PVE di Destiny è pieno di cose da fare. Dalle missioni principali all’esplorazione, passando per le missioni cooperative e gli Assalti, c’è sempre qualcosa da fare per progredire nello sviluppo dell’eroe e, più di ogni altra cosa, per ottenere un equipaggiamento sempre migliore. L’esplorazione gioca dunque un ruolo tutto tranne che secondario, nonostante un loot non sempre all’altezza. L’universo di gioco è articolato in tre pianeti (Terra, Marte, Venere) e un satellite (la Luna), caratterizzati ciascuno da un’enorme mappa open world che ospita la totalità dei livelli, variandone di volta in volta l’entry point o il percorso da seguire. Il backtracking c’è, è evidente, ma nel complesso non infastidisce eccessivamente il giocatore. La natura MMO traspare dunque anche da questa struttura di gioco, rigorosamente aperta (chiunque provenga da WoW capirà perfettamente di cosa stiamo parlando) e piena zeppa di zone secondarie segrete, il più delle volte pattugliate da creature esageratamente potenti che, di norma, richiedono un livellamento ulteriore prima di essere affrontate. Manca un po’ la varietà nelle differenti location, che offrono sostanzialmente le medesime missioni al netto di boss differenti o di orde via via più insistenti. Il ritmo non manca affatto, e specie alle difficoltà maggiori difficilmente sarà possibile portare a casa la pagnotta in una sola run senza mangiare un po’ di polvere. Peccato che la magia finisca rapidamente, sostituita da una sorta di routine reiterata sì avvincente, ma meno stupefacente di quanto si poteva immaginare sulla carta.

Ancor meno convincente, duole dirlo, è l’impianto narrativo. L’universo creato da Bungie è sì intrigante, ma i suoi retroscena non vengono praticamente svelati durante tutto il playthrough (che difficilmente supererà le 20 ore di gioco, perfezionamenti esclusi). Effettivamente è un peccato che Destiny non sfrutti al 100% il proprio potenziale narrativo: i cattivi sono cattivi, i buoni sono buoni, c’è un’entità minacciosa (l’Oscurità) che vuole far calare il sipario sull’unica sorgente di vita (il Viaggiatore) e poi c’è il nostro alter ego, risvegliato dalla morte da uno Spettro spedito dall’Oratore che comanda la Torre (l’immancabile hub social, base delle dinamiche massive di Destiny) e ben lieto di accollarsi sulle spalle la lotta per la salvezza dell’universo.

La prima svolta inaspettata avviene all’incirca a metà della storia con l’introduzione di un paio di nuovi personaggi e, finalmente, un’introspettiva meno superficiale su chi e cosa sia coinvolto in quella che, a conti fatti, è una battaglia millenaria. Bastano però un paio di nuove missioni per far riprecipitare il tessuto narrativo nel “qualunquismo” precedente, in un plot “episodico” contestualizzato all’interno del livello che porta rapidamente il giocatore allo scontro finale, senza mai dargli un quadro completo della situazione.

Le mancanze narrative vengono nascose soltanto in parte dalla natura always online del titolo, incline per definizione all’interazione con gli altri utenti sia che si tratti di PVE sia e soprattutto nel PVP nel Crogiolo. E anche nei balli di gruppo alla Torre, ovviamente. La componente cooperativa, come avevamo anticipato, è l’ulteriore fiore all’occhiello del titolo Bungie. Prendete un paio di amici e anche la sola esplorazione delle enormi mappe sembrerà meno monotona, con una maggior attenzione dedicata alla pianificazione e al coordinamento dell’attacco, specie nelle boss fight più intense e nei famigerati Assalti.

Le missioni Assalto vengono sbloccate al progredire della storia. Si tratta di missioni facoltative lunghe (alcune superano l’ora di gioco) articolate su un numero variabile di orde e boss fight. Tuttavia, l’assenza di originalità in queste istanze è un peso che si fa sentire anche dai giocatori più agguerriti. Giocare di squadra è divertente e dona un quid in più al tutto, ma il riproporre ossessivamente il medesimo pattern (elimina gli alieni piccoli, sopravvivi all’orda, ammazza quello grosso sfruttando l’aiuto del tuo compagno di squadra) alla lunga sbiadisce quella patina accattivante che scorgevamo all’inizio. Non che non sia divertente avventurarsi negli Assalti: semplicemente, finiscono per stupire prima del previsto.

Manca ancora all’appello il Crogiolo, arena collettore delle sfide PVP di Destiny e cuore pulsante dell’endgame. Che Bungie abbia da sempre un occhio di riguardo per l’online competitivo è cosa ben nota a tutti: questa volta, però, lo storico sviluppatore aggiunge benzina sul fuoco, rendendo di fatto le sfide multigiocatore necessarie qualora si voglia bloccare contenuto ulteriore nel PVE cooperativo, nella fattispecie i terribili livelli Leggendario ed Eroico. Un trucchetto astuto, non c’è che dire, che da un lato alimenta quella sensazione di costante progressione di cui abbiamo già parlato e, dall’altro, maschera in parte un’offerta contenutistica interessante da un punto di vista qualitativo ma un po’ carente da quello quantitativo. Le modalità di gioco disponibili nel Crogiolo sono cinque: i classici Team Deathmatch (3vs3 e 6vs6), l’immancabile Deathmatch, Controllo – una rielaborazione della mitica modalità Re della Collina di Halo, in cui il possesso di una base moltiplica i punti guadagnati dalla squadra- e Recupero, probabilmente la modalità più interessante e originale dell’intero pacchetto. Suddivisi in due squadre da tre giocatori, gli sfidanti dovranno raggiungere una serie di obiettivi prima della squadra avversaria entro il tempo stabilito.

La soluzione utilizzata dal team di sviluppo per ovviare ai problemi derivanti dal metter contro giocatori completamente differenti per armamenti consiste nel normalizzare l’equipaggiamento di ciascuno ad un valore “comune”, in modo che le armi di un Guardiano di livello 20 siano letali tanto quanto quelle di un livello 10. Discorso diverso per le abilità di classe del personaggio, che restano quelle maturate nello skill tree nel corso del PVE – che diventa dunque “fondamentale” anche nell’ottica PVP. Lato tecnologico, il netcode ci è parso complessivamente soddisfacente. Nel corso delle nostre partite, lag e latenze sono sempre rimasti ben al di sotto dei normali livelli di fastidio; qualche disconnessione c’è stata, ma trattandosi di primi giorni di vita dell’IP e considerando la mole esagerata di giocatori connessi, nulla che faccia gridare allo scandalo. Buono anche il sistema di matchmaking, magari non un fulmine in termini di velocità ma stabile come una roccia.

Chiudiamo questa lunghissima analisi di Destiny spendendo qualche riga sul comparto tecnico. Nulla da dire sul motore di gioco, che scorre a 1080p e 30 fps in maniera ineccepibile. Ottimo il sistema di illuminazione delle location, un piccolo prodigio next gen che va a braccetto con una direzione artistica sontuosa: impossibile non fermarsi qualche secondo ad ammirare gli scorci lunari, le distese desertiche dei pianeta rosso o la vegetazione che ricopre le rovine di Venere ormai allo sfacelo. La creatività di Bungie appare senza limiti, maestra nel ricreare la sensazione di distruzione che segue un conflitto di proporzioni mastodontiche come questo.

Destiny è ricco di panorami mozzafiato, di cartoline spaziali che, per quanto si tratti di un tema abusato, possono solo restare impresse negli occhi di chi gioca. Se in tutto questo ben di Dio la fisica passa in secondo piano (l’interattività ambientale è piuttosto circoscritta, limitata a qualche barile esplosivo e poco altro), lo stesso non vale per la componente sonora. Unite due mostri sacri come Marty O’Donnel e il baronetto McCartney dei Beatles e intuirete da soli dove il titolo Activision vada a parare. Ultimo ma non meno importante, Destiny è interamente doppiato in italiano, con un voice over convincente e piacevole.

In conclusione…

L’abbiamo aspettato tanto, ed alla fine è arrivato. Raramente abbiamo assistito ad una campagna marketing così epocale e tamburellante come quella di cui Destiny è stato protagonista: il titolo Bungie è un’opera mastodontica ma allo stesso tempo controversa, che si colloca in modo trasversale nel tentativo di compiacere gli amanti dello shooter e del gioco di ruolo, strizzando l’occhio a chi è cresciuto con le esperienze massive online. Come tutte le cose grandi, a Destiny spettano critiche e lodi. Critiche, per una quantità di contenuti e modalità forse al di sotto di quanto ci si potesse aspettare. Critiche per un quest design per certi versi vittima della ripetizione e del timore di spingersi più in là. Critiche per un PVE non sempre bilanciato, per un loot system imprevedibile e un meccanismo di drop che fa troppo affidamento al caso, con tutte le conseguenze che ne derivano. Tuttavia è impossibile non lodare un approccio combat strepitoso, frenetico e immersivo come da tempo non si vedeva. L’ombra di Master Chief è lì dietro l’angolo, è innegabile, ma è ugualmente innegabile come muoversi tra le enormi mappe di Marte, Venere, della Luna o della Terra regali soddisfazioni enormi nonostante la citata ripetitività. Più ci si addentra in Destiny, più si è portati a livellare il proprio personaggio, a cercare l’equipaggiamento definitivo, a spingersi nei cunicoli più remoti dei vari pianeti per salvare il Viaggiatore dalle brame dell’Oscurità.

Destiny, insomma, rappresenta il punto di partenza di un’avventura lunga un decennio, le fondamenta di un micro-universo destinato a mutare più e più volte per propria stessa natura. Nei mesi a venire non potranno certo mancare aggiornamenti ed espansioni che conferiranno al titolo di Activision quella maturità vincente che ora, per gli aspetti elencati, viene soltanto sfiorata. Se saprete scendere a compromessi con l’orgoglio e ad accettare questo Destiny per quello che rappresenta, un primo passo verso una realtà poliedrica in costante divenire, l’Avanguardia e il Crogiolo sono lì che vi aspettano. Perché il cammino per diventare leggende, si sa, è lungo e pieno di ostacoli.

VOTO: 8 /10

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