Non capita tutti i giorni di ritrovarsi in un posto speciale come il Museo Bagatti Valsecchi di Milano, ma il lancio di un titolo atteso come The Order: 1886 è l’occasione perfetta per ospitare un evento del genere. Le armature del corridoio riflettono il tipico blu della console Sony, creando quel mix di antico e tecnologico che subito richiama alla mente lo stile di The Order: 1886, il primo titolo di Ready At Dawn sviluppato interamente da una loro idea.
La genesi di The Order: 1886
A presentarcelo è lo stesso Andrea Pessino, co-fondatore dello studio: la strada fatta dai tempi dei giochi per PSP è lunga e costellata di successi. Creare due spin-off per God of War (una delle serie più importanti di Sony) non è certamente cosa da poco, specie se poi entrambi i titoli sono riusciti a ridefinire i termini di paragone delle possibilità grafiche della console. Non a caso entrambi i God of War sono tra i titoli per PSP con il più alto Metacritic e sono stati poi riportati (sempre da loro) su PS3.
Il punto di svolta però arriva nel 2010, quando il team è finalmente pronto per una nuova IP, interamente basata su un’idea di Ru Weerasuriya, co-fondatore di Ready At Dawn. Per darvi un’idea di quanto sia dettagliato il mondo di The Order vi basti sapere che Ru è al lavoro su questo progetto dal 2005 e nel suo complesso la storia che fa da sfondo a The Order si sviluppa su più secoli. Un mondo immaginario così dettagliato è stato possibile grazie alla passione di Ru per la storia e Sony ha subito intravisto un immenso potenziale. Il supporto da parte loro per il progetto è stato decisivo e completo: per due settimane un gruppo di artisti ha avuto la possibilità di studiare e fotografare Londra, scovando aspetti insoliti, grazie anche al supporto delle autorità locali che hanno permesso al team di accedere a zone insolite e altrimenti chiuse solitamente al pubblico.
L’immensa storia di The Order: 1886
Questo lavoro di documentazione era necessario per creare una versione alternativa di Londra che fosse il più possibile però fedele a quella vera. Una delle caratteristiche più interessanti di The Order: 1886 è che il titolo di Ready At Dawn è ambientato in un mondo alternativo in cui ad un certo punto dell’evoluzione la specie umana si è divisa in due razze: i comuni mortali e i lycan, creature mostruose e misteriose. Per secoli i lycan hanno avuto la meglio, arrivando quasi a decimare gli umani, fino a che Re Artù non trovò il Sacro Graal, contente la Linfa Nera.
Questo liquido particolare (la cui genesi, ha specificato Pessino, non verrà spiegata nel primo capitolo) permise ai Cavalieri della tavola rotonda di avere dei poteri speciali come una vita più lunga (fino a diversi secoli) e una rigenerazione accelerata delle ferite. L’ago della bilancia nella guerra ai lycan si spostò in favore dell’umanità, sino alla Rivoluzione Industriale che farà emergere conflitti sociali e strane alleanze tra i Ribelli e i lycan. La tecnologia a disposizione dei Cavalieri è più avanzata di quella che conosciamo per l’epoca poiché, come ha sottolineato lo stesso Pessino, secoli e secoli di guerra hanno stimolato la “fantasia” e l’ingegno dell’uomo: storicamente infatti i progressi scientifici più importanti sono stati fatti non in periodi di pace. È nella natura dell’uomo lottare (umani contro lycan) ed ingegnarsi per farlo.
I Cavalieri dell’Ordine
Il protagonista di The Order: 1886 è Sir Galahad e se il nome vi è familiare potreste comunque essere fuori pista: nonostante i nomi dei cavalieri dell’Ordine siano gli stessi dei cavalieri della Tavola Rotonda questo non vuol dire che siano gli stessi, come potrebbe lasciar pensare l’uso della Linfa Nera. I cavalieri dell’Ordine in realtà prendono il nome dal loro maestro, il cui capostipite è proprio un cavaliere della Tavola Rotonda. Alla morte di un cavaliere il suo apprendista ne prende il posto e il nome. Ecco quindi spiegata la presenza del Marchese Lafayette che è sì lo stesso della Rivoluzione Francese, ma pur avendo 120 anni è così giovane grazie alla Linfa Nera da essere ancora l’apprendista di un altro cavaliere. Tra i tanti personaggi che popolano la storia di The Order: 1886 compaiono anche altri nomi storici celebri, come Nikola Tesla, che sarà un po’ il vostro Q di James Bond, pronto a fornirvi armi e gadget iper-tecnologici.
Un punto di svolta?
The Order: 1886 è un esperimento e su questo punto Pessino torna più volte: il loro obiettivo è quello di creare un titolo che sia il punto di contatto più vicino tra un videogioco ed un’esperienza cinematografica. L’enfasi è così posta sulla narrativa e sulle meccaniche da third person shooting, per un’azione mai interrotta, fluida e dinamica. A contribuire a questo effetto ci pensa una grafica semplicemente incredibile (poco importa che giri a 30 frames al secondo) e ad un comparto audio, senza esagerazioni, da Oscar.
Per ottenere questo effetto il team di The Order: 1886 ha dovuto però fare delle scelte sicuramente coraggiose: in un panorama videoludico popolato da open-world, multiplayer e scelte aperte, i Ready At Dawn propongono un progetto interamente singleplayer in cui la storia è estremamente pilotata su binari ben precisi e ambientata in livelli non certamente claustrofobici, ma comunque quanto di più distante ci possa essere dalla mania dell’open world. Questi sacrifici sono stati fatti in nome della fluidità dell’azione e della spettacolarità dell’avventura.
Tre esempi di gameplay
Per farci capire meglio lo stile del gioco, Pessino (pad alla mano) ci mostra due sessioni di gioco: la prima contro un boss (un Antico) è sostanzialmente un lunghissimo QTE, mentre la seconda è una classica sezione di un third person shooter. Durante questa sezione è stato possibile ammirare come ogni elemento dell’ambiente possa essere distrutto. L’intelligenza artificiale non sembra brillare per strategia militare, ma da un punto di vista ludico è tutto nella norma. A sorprendere invece è quindi la teatralità di ogni situazione e la cura maniacale per il dettaglio: bisognerà ora vedere quanto una formula del genere possa reggere sulla lunga distanza (a prescindere dalla durata del gioco).
Abbiamo anche avuto modo di provare il gioco in una brevissima demo ambientata su un ponte: le meccaniche sono quelle classiche di un third person shooting con una sequenza di azioni ripetute per tutta la demo (copertura, spara, ricarica, cambia copertura e così via). Nonostante la formula sia per l’appunto più che collaudata, non si può negare che l’obiettivo di creare un titolo che rappresenti l’anello di congiunzione tra cinema e videogiochi sia forse stato raggiunto. Lo sapremo solo con la recensione, nel frattempo lasciamo la parola ad Andrea Pessino, che abbiamo avuto modo di intervistare durante l’evento.
Intervista ad Andrea Pessino
Andrea ha co-fondato Ready at Dawn nel 2003 e ricopre il ruolo di Responsabile Sviluppo Tecnologico, supervisionando l’operato degli ingegneri dell’azienda e seguendo i progetti speciali di Ricerca e Sviluppo.
Dal 1998 al 2003 Andrea ha ricoperto il ruolo di Senior Software Engineer presso Blizzard Entertainment realizzando le tecnologie di base per diversi blockbuster del franchise WarCraft.
Musicista di formazione classica, Andrea è laureato in composizione, armonia e teoria musicale ed è un esperto pianista e compositore. Continua a scrivere per le sale da concerto e per i videogiochi. Di origini italiane, Andrea vive e lavora in California dal 1990.
GameSoul: Iniziamo con la genesi di The Order: i vostri titoli precedenti su PSP sono titoli di qualità, ma mi chiedevo quanto abbia influito effettivamente il valore numerico di Metacritic sulla decisione di Sony di affidarvi un progetto così importante.
Metacritic? Mh… a dirti la verità (questo magari non suona bene) ma Metacritic non conta un tubo. se gli utenti apprezzano e se le vendite sono buone. Aspetta, questo forse non posso dirlo! La realtà è che il successo di un gioco è una combinazione di cose: Metacritic sicuramente aiuta, è bellissimo avere un grande apprezzamento della critica, ma se la critica apprezza e non si ha un successo commerciale (o viceversa) le cose non vanno molto bene, per cui non so quanto questo abbia influenzato.
GS: Determinate software house quando sviluppano hanno come obiettivo raggiungere un certo valore su Metacritic.
A volte ci sono contratti che prevedono cose del genere: è una pratica comune ma quello è solo un incentivo finanziario, nient’altro. Dubito che abbia niente a che vedere con l’affido di un altro progetto sviluppato con un publisher… Ovviamente però è meglio se guadagni di più, quello sì.. ehehe.
A proposito dell’ambientazione: ne hai parlato durante la presentazione quindi sappiamo che è dal 2005 che si lavora al mondo di The Order, però magari ci puoi dire qualcosa di più particolare sul come si è arrivati a scegliere questo periodo e questa città, questo momento?
Ru (Weerasuriya, co-fondatore di Ready At Dawn ndr) è un fanatico di storia, di letteratura, di mitologia e così via e per questo particolare mondo che ha creato il primo quesito che si è posto è stato chiedersi quanto sarebbe stato interessante se le origini di certe leggende, certi eventi storici che tutti conosciamo più o meno, non fossero come le conosciamo e avessero motivazioni diverse con conseguenze diverse. Uno dei periodi più interessanti della storia della civilizzazione moderna (se vogliamo chiamarla così) è stata la rivoluzione industriale. È il momento in cui… è l’inizio dell’era che stiamo vivendo adesso. È l’inizio del periodo in cui la tecnologia domina le nostre vite ed è anche nello stesso momento un periodo in cui alcune delle dinamiche sociali attuali per la prima volta si sono veramente presentate e che rimangono fino ai giorni nostri: in molti modi l’Ordine, i ribelli e i Lycan sono metafore per aspetti sociali con cui ci confrontiamo.
GS: Quindi è come se The Order fosse un punto di svolta e voi avete deciso di dare una versione alternativa di questo momento.
Esatto. Poi c’è la Londra di quel periodo che era il simbolo di quella Rivoluzione industriale con tutti quei problemi e i cambiamenti che ha causato: è molto interessante ed è un posto perfetto dove creare queste storie così teatrali e melodrammatiche.
GS: Spesso si è descritto lo stile di The Order con l’aggettivo steampunk: c’entra o non c’entra?
No, non è steampunk. Lo steampunk è fantastico, a me piace un sacco, però [The Order] non lo è. Ovviamente ci sono similitudini, ma è più che altro una differenza estetica. Lo steampunk tende ad essere più “giocoso”, The Order è un po’ più serio e realistico. Nello steampunk ci sono sempre queste creature, queste macchine proprio fantastiche con vapore ecc. Uno degli aspetti più caratteristici di The Order sin dall’inizio è stato invece quello di avere tutto uno aspetto speculare (la scienza e la tecnologia) che fosse basato sulla realtà: un sacco di lavoro è stato fatto nel garantire che sia le armi che i veicoli, pur non essendo esistiti, ci siano andati vicino (all’esistere ndr). Lo steampunk va un po’ oltre, è più fantastico in quel senso.
GS: Considerando il taglio molto cinematografico del gioco, quali sono i film di riferimento? Qual è l’immaginario che può esservi stato di aiuto?
Ce ne sono stati tantissimi. Ru molto spesso cita Blade Runner (l’estetica la noti subito), ci sono molti parallelismi. Alien è un altro nome… non che Ridley Scott sia l’unico! Molti dei lavori di Stanley Kubrick sono fondamentali e, ripeto, ogni artista è la somma delle sue influenze e specialmente noi siamo tutti fissati sui film, quindi sono stati tutti una grossa combinazione di tante influenze.
GS: Sempre nell’importanza di un taglio cinematografico ha un grosso ruolo anche la colonna sonora: cosa ci puoi dire sulla colonna sonora di The Order? Da quel che abbiamo avuto modo di sentire sembra davvero epica.
È fantastica, è una delle mie cose preferite. Io sono un po’… Ho difficoltà emotive con la colonna sonora perché veramente quasi non riesco neanche a… È uno degli aspetti di cui sono assolutamente più orgoglioso, perché è stato un aspetto unico in tantissimi modi sin dall’inizio, quando abbiamo contattato Jason Graves che già era uno de miei compositori preferiti in assoluto. Lui ha cominciato a lavorare su The Order sin dal primo prototipo del gioco, aveva già composto musica e poi ho sentito Journey che è stata una delle colonne sonore che mi ha colpito di più. Abbiamo poi portato nel gruppo Austin (Wintory, altro compositore della colonna sonora ndr) con cui Jason ha lavorato per cercare veramente di trovare un’impronta musicale, uno stile tutto particolare, che fosse del tutto specifico per The Order, e abbiamo ottenuto questo effetto in una varietà di modi: dalla strumentazione che è completamente unica, molto originale, in quanto non ci sono violini, ma solo due sezioni di viole, celli e bassi; inoltre, non ci sono ottoni, gli unici fiati sono tre controfagotti e tre clarinetti contrabbassi. E poi un coro di 24 uomini, niente donne e niente tenori, solo baritoni e bassi, bassi profondi. Tutto… “low frequency”. Il risultato poi… hanno creato questi temi meravigliosi e ci sono dei momenti, nelle parti più horror, dove queste sonorità, queste tessiture che hanno creato sono assolutamente incredibili. L’intera colonna sonora è stata registrata dal vivo con una orchestra all’Abbey Road di Londra con alcuni dei musicisti migliori al mondo e diretta da Ben Foster. Veramente, la colonna sonora è tanto unica quanto l’aspetto visivo del gioco. Il mio consiglio è che anche se non ti interessa assolutamente il gioco, dai un ascolto alla colonna sonora perché vale veramente la pena.
GS: Avete fatto una scelta molto in controtendenza nel voler fare un titolo solo singleplayer. Al giorno d’oggi almeno una modalità co-op viene sempre considerata scontata. Io ad esempio apprezzo molto che sia un gioco solo singleplayer, ma vorrei sapere come mai avete fatto questa scelta.
Diversi fattori: il principale è che noi abbiamo sempre visto questo gioco come un’introduzione a questo mondo. L’idea era fin dall’inizio di dare una versione molto specifica di questo mondo e questa è la storia di Galahad. Volevamo che l’esperienza fosse interamente dal suo punto di vista, senza cambiare, senza interruzioni, per cui come inizio (secondo noi) sarebbe stato meglio non diluire l’esperienza perché altrimenti avremmo dovuto in qualche maniera artificiale giustificare la presenza di altri giocatori. In questo senso, per facilitare questo esperimento che volevamo condurre in termini di narrazione e gameplay che si fondono insieme, la scelta è stata quella di concentrarsi sul dare la possibilità al giocatore di vivere tutta questa esperienza solo da un punto di vista, quello del protagonista principale.
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