C’erano una volta un cacciatore, una vecchia e la sua padella.
Non è una barzelletta ma un piccolo, minuscolo, episodio che mi è capitato di incontrare lungo una quest di The Witcher 3: Wild Hunt. Ero sulle tracce di Yennefer quando una donna anziana ha richiesto l’attenzione di Geralt di Rivia, lo strigo misterioso protagonista della serie The Witcher. La donna rivorrebbe la sua padella che ha imprestato, nel cuore della notte, ad un uomo che però non gliel’ha ancora restituita. Per quanto la richiesta sembri totalmente al di fuori delle competenze dello strigo, la curiosità è troppa per non entrare ad indagare dentro la capanna.
Ma siccome stiamo parlando di The Witcher nulla è come sembra. Un cadavere di un uomo, morto in circostanze misteriose, ci accoglie e la padella che ha usato non è servita per nulla che possiamo immaginare. Tutto si complica, è profondo e ha implicazioni e risvolti. Ed è solo una piccolissima sub-quest. La ricchezza di The Witcher è tale che sarebbe un peccato anche solo spoilerarvi questi piccoli episodi e quindi vi lasceremo il piacere di scoprire da soli le sorti dell’anziana massaia e della sua padella.
La build che era disponibile risale a gennaio, quindi molti miglioramenti sono stati apportati nel frattempo, ma già in questo stato e su Xbox One The Witcher 3 sembra mantenere tutte le aspettative che al momento pesano su quello che è, a tutti gli effetti, il gioco più atteso dell’anno. Dopo essersi mostrato sempre su PC finalmente abbiamo avuto modo di metter mano sulla versione console e il lavoro di ottimizzazione è incredibile: certamente non ci si può aspettare il livello di dettaglio massimo, anzi, però la fluidità è più che sufficiente e lo scopo principale, ovvero restituire l’idea di un mondo vivo, è stato più che raggiunto e centrato in pieno.
Sinceramente poco importano le differenze di risoluzione, frame rate o l’assenza di alcuni effetti avanzati: The Witcher 3 è meraviglioso da vedere anche così e la grandezza del suo valore artistico è in grado di supportare adeguatamente la visione dei ragazzi di CD Projekt RED. Per loro era presente all’evento Damien Monnier, Senior Gameplay Designer, che abbiamo avuto la possibilità di intervistare. Come lui stesso ha sottolineato, l’ambientazione (questa volta un open-world) è una logica conseguenza di quanto visto nel secondo capitolo, come se non avessero avuto scelta. Certamente avere “solo” 250 sviluppatori e quattro anni di tempo (contro, per dire, le mille persone al lavoro su Red Dead Redemption, volendo citare un altro open-world) non ha reso il lavoro semplice. In effetti, a detta di Damien, è costato “blood and tears“, ma dopo questa prova siamo certi che tutto il sangue e le lacrime versati non sono scorsi invano.
Il contesto più ampio dato al mondo dello strigo è la dimensione che ha sempre meritato e che finalmente può avere. La tecnologia è, in pratica, al servizio dei sogni dei giocatori e poco importa la risoluzione. Il mondo di The Witcher non è solo enorme, ma è anche capace, attraverso i suoi personaggi, di ricordare le scelte di Geralt senza che possano capitare situazioni imbarazzanti come quelle ricordate da Daniem provate in Skyrim quando alcuni personaggi possono fare domande assurde non sapendo che magari una certa quest voi l’avete già completata. Tutti abbiamo apprezzato Skyrim, Daniem compreso, ma c’è molto da imparare e i ragazzi di CD Projekt RED sembrano aver appreso molto da quella lezione.
Tutto in The Witcher 3 sembra invitare costantemente il giocatore ad esplorare e a farlo in maniera libera. Dimenticatevi nei dialoghi le classiche scelte manichee: non esiste la scelta buona o quella cattiva, ma solo quella che ci sentiamo di dare e che produrrà delle conseguenze, spesso per lo più imprevedibili.
Talvolta queste conseguenze, così come le fasi esplorative, obbligheranno Geralt a passare alle maniere forti e, come è emerso dai video di gameplay, possiamo confermare pad alla mano che in effetti il sistema di combattimento non è cambiato molto rispetto alla rivoluzione apportata dal secondo capitolo. I cambiamenti sono per lo più estetici, con un impatto più realistico delle magie ad esempio, ma nel suo cuore il combat system è rimasto lo stesso, basato come al solito sulle due spade (una d’acciaio per i nemici umani e una d’argento per le bestie), gli attacchi magici e le schivate. Persistono quindi anche quei problemi di feedback assente sulla fisicità degli scontri, ma nulla di drammatico. Del resto, vien da pensare, non è per il combat system che la saga dello strigo è diventata celebre. Quel che conta maggiormente è la ricchezza e la profondità della narrazione, assolutamente in primo piano in Wild Hunt.
La centralità della storia si manifesta in molti modi: ad esempio nella possibilità di ricreare (più o meno come in Dragon Age Keep) dei salvataggi per replicare le scelte fatte nei primi due capitoli della serie. Le vicende avranno un forte impatto sul gioco e non solo in termini di scelte: sappiamo infatti che Geralt sarà alla ricerca di Ciri e che quest’ultima sarà controllabile dal giocatore in apposite sezioni, che abbiamo avuto modo di discutere con Damien. Le sezioni con Ciri avranno una durata complessiva di circa cinque o sei ore e saranno caratterizzate da un gameplay molto diverso: Ciri è infatti veloce e letale e richiederà un differente approccio agli scontri grazie alla sua capacità di scomparire e riapparire vicino ai nemici. Ci sarà quindi sempre qualcosa da fare tra Ciri, la main quest e la sub quest, la novità forse è che sarà tutto collegato e organico.
Un aspetto importante che Damien ha sottolineato è come The Witcher non sia cambiato, a suo avviso, con lo sbarco della serie su console: per il designer infatti il gioco è stato sempre concepito prima su PC e sia il secondo capitolo che Wild Hunt sarebbero stati così anche senza la versione console. Di The Witcher ce n’è uno solo, puro incontaminato dal mondo console. E detto da uno che ha contribuito al finanziamento di Pillars of Eternity sin dal primo gioco e che non vede l’ora di giocarci, ci si può fidare.
The Witcher 3: Wild Hunt profuma di capolavoro ad ogni passo e, qualora ce ne fosse stato bisogno, la prova e l’intervista lo hanno confermato. Paradossalmente la fame per le avventure di The Witcher è così grande che ci siamo spinti a ritroso chiedendo a Damien se è lecito aspettarsi delle versioni remastered dei primi due capitoli: tutto è possibile, ma prima bisogna dare i tocchi finali al gioco in uscita, senza considerare i DLC gratutiti in arrivo che proporranno anche quest nuove.
Una curiosità finale: Damien ci ha rivelato che Sapkowski (l’autore dei romanzi dello strigo) non gioca a The Witcher (principalmente a causa della sua età, si potrebbe dire), ma spera che il loro ultimo lavoro renda giustizia al libro. Ci chiede conferma e, per quel che abbiamo visto fino ad ora, non possiamo che essere d’accordo.
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