Sin dall’annuncio e dalla conferma della finestra di lancio mi sono chiesto più volte i motivi che hanno spinto From Software a rischiare di cannibalizzare le vendite di due suoi titoli, rilasciati a distanza di poco più di una settimana di distanza l’uno dall’altro. Mancanza di fiducia in Bloodborne? Sgambetto tra publisher (uno pubblicato da Sony, il remaster in questione da Bandai Namco)? Misteriose questioni legate a piani finanziari, chiusure di anni fiscali e altre amenità che ai giocatori poco interessano?
E invece la sorprendente e talentuosa software house, come al solito, ne sembra sapere una più del Diavolo, neanche avesse una sfera di cristallo nascosta nel suo incantato quartier generale, fucina di lore affascinanti e profonde, e finezze di gameplay che nel corso degli anni hanno creato una fanbase sempre più vasta, fedele ed oltranzista. Il successo di Bloodborne (non solo di critica) ha superato ogni più rosea aspettativa, andando a colpire eserciti di neofiti che dei vari Souls avevano solo sentito parlare i loro amici più hardcore e aprendo a molti di loro un mondo nuovo, impenetrabile, ma fonte di grandi ricompense – emotive – (e di imprecazioni). L’occasione di tornare in una Drangleic totalmente rimessa in sesto per le console di nuova generazione (e PC) è quindi un’occasione ancor più ghiotta tanto per i neofiti quanto per i veterani in piena astinenza, baciata com’è da un sole più splendente che mai, un miraggio per qualsiasi pellegrino che ha lasciato cuore e testa a Yharnam.
Dark Souls 2: Scholar of the First Sin
Piattaforma: PS4, Xbox One, PC, PS3, Xbox 360
Genere: Action-RPG
Sviluppatore: From Software
Publisher: Bandai Namco Entertainment
Giocatori: 1
Online: Modalità competitiva e cooperativa
Lingua: Testi in italiano, Audio in inglese
Per un’idea di quel che aspetta ai neofiti nel Dark Souls 2 base, qui trovate la recensione del gioco, apprezzatissimo nonostante le fisiologiche imperfezioni che titoli così ricchi e complessi portano con sé, tanto nel comparto tecnico quanto nel bilanciamento generale. Siamo sempre a Drangleic, impegnati nell’annichilimento ed ottenimento delle quattro Grandi Anime, e nella ricerca di Re Vendrick, decadente sovrano di un regno divorato da bestie immonde e maledizioni. La conquista di anime, essenza necessaria per crescere e raggiungere il livello di potere dei tremendi boss che ci aspettano, rimane l’elemento chiave, con il solito tasso di sfida ben oltre la media e la sadica crudeltà della perdita completa di quel che si è duramente conquistato anche solo per una distrazione di troppo.
Con questa Scholar of the First Sin Edition, che potremmo considerare come un ibrido (un po’ atipico) tra Game of The Year Edition e un remaster, From Software si è comportata in maniera abbastanza inusuale rispetto a simili e classiche operazioni di marketing: parte dei nuovi contenuti (NPC, tra phantom e lo Scholar del titolo, ed oggetti) e tutti i numerosi fix al codice di gioco, inclusi i complessi bilanciamenti al gameplay (tanto per la campagna in singolo che per l’intricato e delicato multiplayer), al drop, all’efficacia di armi e incantesimi, e alla difesa e all’attacco di ogni individuo di Drangleic, sono stati rilasciati gratuitamente attraverso una corposissima patch correttiva risalente al mese di febbraio. Anche i giocatori old-gen/gli early adopter, insomma, potranno gustare l’anno di perfezionamenti che ha diviso l’uscita originale da questa attesa riedizione, frutto di richieste (anche infuocate) da parte dell’accesissima community, per rendere l’esperienza ancor più godibile e bilanciata (basta leggere le patch notes di ogni aggiornamento, decaloghi sterminati di fix e correzioni).
Anche i giocatori old-gen/gli early adopter, insomma, potranno gustare l’anno di perfezionamenti che ha diviso l’uscita originale da questa attesa riedizione
La “moneta sonante” entra in ballo per altre questioni, di cui parleremo invece in questa sede. La prima e più scontata riguarda la condicio sine qua non di ogni GOTY che si rispetti, ovvero la presenza di tutti i contenuti aggiuntivi rilasciati sinora: il ricco pacchetto di tre DLC che rappresenta una vera e propria mini-trilogia integrata organicamente nel gioco, legata alle Corone dei Re (Sommerso, Ferro e Avorio). Tanti nuovi boss, nemici, luoghi e oggetti che arricchiscono un titolo già di per sé pazzesco, occasione perfetta per chi se li fosse persi all’epoca, magari nella fretta di passare alla nuova generazione di console.
La natura di questo remaster inizia ad avere ancor più senso proprio riflettendo sul periodo di uscita dell’originale, a pochi mesi dall’arrivo di PS4 ed Xbox One, tra chi lo ha atteso e giocato prima di dar via la sua amata compagna di mille battaglie, e chi nella smania tecnologica lo ha bellamente glissato, chissà, magari sperando segretamente di ritrovarselo in versione next-gen. Il target principale rimane quindi il giocatore che non se l’è potuto godere all’epoca, o che per la fretta, lo ha mollato prima del previsto.
La condicio sine qua non, ma stavolta del remaster, è invece il comparto grafico, ora a 1080p e forte di 60 fps tutto sommato stabili, elemento che soprattutto i veterani (della versione console) gradiranno, sia per non averne mai visti così tanti, sia per non averli mai visti così fissi e (quasi) intoccabili. I pesanti cali (soprattutto del primo Dark Souls) sono ormai un brutto ricordo, e l’imponente fluidità grafica, se da una parte non riesce a nascondere e anzi, pone in risalto la vecchiaia del motore di gioco (scordatevi l’impressionante Bloodborne), dall’altra regala un gameplay ancora più responsivo, fondamentale in un titolo in cui una distrazione o un secondo di troppo rischiano di buttare all’aria ore ed ore di farming di anime.
Sia chiaro, le texture sono più pulite e brillanti, i colori più vivi, l’orizzonte visivo è più definito, e gli effetti particellari di gran lunga migliorati, un contributo importante alla magica atmosfera del gioco, in quanto rendono il tutto ancora più intenso: dall’animazione del teletrasporto tra un falò e l’altro, il fuoco stesso dei falò, o persino l’alone di sangue di cui è piena Drangleic, il reminder visivo ed olografico della morte di qualche altro sprovveduto avventuriero (da usare come lezione per non ripetere il suo stesso errore). Al contempo però, le sgradevoli compenetrazioni poligonali non mancano, così come una legnosità, qualche calo di fluidità inevitabile e un vecchiume generale che simili operazioni difficilmente riescono a spazzar via. In compenso, il fascio di luce che squarcia l’oscurità del crepaccio che precede Majula, scalderà 10, 100 volte di più il vostro duro cuore, soprattutto per coloro che il cuore lo hanno lasciato nelle profondità di Lordran.
Da segnalare inoltre un’illuminazione generale totalmente rivista e finalmente al livello di quella mostrata qualche E3 fa, terribilmente mutilata nella vecchia generazione ed ora tornata al suo posto, ora in grado di donare definitivamente senso ed utilità alle torce e di garantire ben più di un sussulto nelle atmosferiche location, soprattutto quelle più buie e nere (che no, non sono poche).
Lo vedrete già dal “tutorial” (chiamiamolo così) che c’è qualcosa che non va, nella Foresta dei Giganti Caduti inizierete a temere per il peggio, e quando andrete a cercare il preziosissimo Anello del Vincolo avrete la definitiva batosta
L’elemento chiave ad esclusivo appannaggio degli acquirenti delle nuove versioni (oltre al succitato comparto grafico e al multiplayer che ora supporta 6 giocatori invece di 4 nel caso di PC-DirectX 11, PS4 ed Xbox One) è però il totale stravolgimento delle carte in tavola. La geniale trovata di From Software per questo ritorno sugli scaffali (motivo peraltro della mancata retrocompatibilità dei sudatissimi salvataggi, purtroppo) sta infatti nell’essersi divertita a cambiare la disposizione di nemici ed oggetti, una mossa parsa in un primo momento banale e quasi patetica, presumibilmente una forzatura per illudere i vecchi giocatori a sborsare nuovamente quella cifra, ma che, pad alla mano, riesce a dare una rinfrescata all’esperienza proponendo sfide del tutto nuove ed ancor più ardue, scardinando ancora una volta quel barlume di certezza e sicurezza che ogni giocatore navigato di qualsiasi Souls guadagna faticosamente alla seconda o terza run.
Lo vedrete già dal “tutorial” (chiamiamolo così) che c’è qualcosa che non va, nella Foresta dei Giganti Caduti inizierete a temere per il peggio, e quando andrete a cercare il preziosissimo Anello del Vincolo avrete la definitiva batosta, nelle fattezze di un terribile guardiano che no, non c’era l’ultima volta e no, eppure l’anello era lì. I temibili tartarugoni corazzati li troverete ben prima del previsto, i silenziosi e pacati Cavalieri di Heide ora avranno l’iniziativa e ve li ritroverete spesso in mezzo ai piedi (soprattutto nel loro regno), il Persecutore perseguirà eccome, e ogni zona buia nella quale entrerete senza la giusta illuminazione nasconderà sorprese ben poco gradite da affrontare a spada tratta, proprio per via di questo flipper di nemici sballottati da una zona all’altra. Non mancheranno poi mid-boss ridimensionati a “semplici” avversari ad offrire sfide ancor più intense, e ridisposizioni di cui, effettivamente, se ne sentiva un gran bisogno, rendendo più fluide e meno frustranti alcuni passaggi chiave.
L’importante però è approcciarsi al gioco con spirito totalmente nuovo ed abbandonare gran parte dei trucchetti del passato, con routine e comportamenti suicidi dei nemici non più sfruttabili a piacimento, e un accanimento ancor più evidente rispetto alla run originale (inseguimenti più lunghi, luring ancor più complesso).
In conclusione…
I remaster sono croce e delizia: da una parte, la loro inflazione sta annichilendo le novità, con i publisher che rischiano meno e puntano solo su cavalli vincenti e già rodati, ma dall’altra permettono di godere di vecchie gemme del passato (non troppo remoto) vistosamente migliorate e più belle non solo da vedere, ma anche da giocare. Nel caso di Dark Souls 2, si può forze parlare di uno dei remaster più intelligenti e curati, una mossa sicuramente commerciale (visto soprattutto il tempismo), ma non per questo da boicottare senza criterio. Se il trattamento riservato agli utenti PC non è dei migliori (fondamentalmente stanno pagando per una patch), quelli console hanno ben più di un buon motivo per tornare a Drangleic: chi, nel passaggio alla next-gen, se lo fosse perso, non può esimersi dall’immergersi nell’ennesima esperienza di caratura targata From Software, a patto di comprendere che la sfida è ben oltre il classico Action/RPG.
Per i veterani il discorso è un po’ diverso: i soli 60 fps sono un bel passo in avanti, il ricco pacchetto contenente i DLC e i numerosi fix rendere il tutto più appetibile, ma si è pur sempre al cospetto di un remix a tutti gli effetti. Il succo, insomma, è lo stesso, ma lo spettro di emozioni che la nuova disposizione dei nemici (e delle sfide) trasmette è ben diverso, e l’esperienza risulta essere per certi aspetti persino più ardua e complessa, ma sicuramente più “fluida” e meno irrazionalmente frustrante. Per usare una metafora, è come un arrangiamento in chiave metal di un’opera di musica classica: la frenetica scarica di chitarra che sostituisce un virtuosismo del violino già conosciuto offre sensazioni ed immagini diverse ma ugualmente splendide, così come gli imponenti tamburi rimpiazzati da una batteria martellante e rocciosa. Quelle stesse sensazioni che proverete al cospetto del solito falò di Majula, in quel Forte Ferreo esplorato in lungo in largo mille volte o in bilico sui baratri della Torre della Fiamma di Heide, perfettamente a vostro agio su di un tragitto già battuto, ma comunque sull’attenti e in quella deliziosa tensione che rende impagabile ogni minuto speso con le spietate opere di From Software.
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