Los Angeles – Miyazaki-san è un tipo particolare, e questo si sapeva già. Un tipo comune e normale che si occupa di videogames approfitterebbe delle meraviglie di L.A. per visitare Rodeo Drive o Venice Beach, o per ingozzarsi in qualche lercissimo fast food, non di certo per passare tutto il giorno a parlare con sconosciuti da mezzo mondo, col rischio di ricevere decine di richieste di foto ed autografi. Ma un tipo comune e normale non riuscirebbe a partorire una serie come quella dei “Souls”, una dinastia di titoli targati From Software che suscitano, al solo nominarli, timore reverenziale e un magnetismo tuttora dall’origine incerta.
È stata dura poter assistere ad una presentazione a porte chiuse della sua nuova creatura, presentata ufficialmente al mondo durante la conferenza di Microsoft (dopo il leak grande come una casa di qualche settimana fa) proprio perché Miyazaki-san è un tipo particolare, e voleva essere lui e solo lui a presentare alla stampa presente ad L.A. i primi frammenti di gameplay. Un assaggio, sia chiaro, un briciolo che non permette ancora di gustare pienamente delle novità che questo primo capitolo nativamente “next-gen” ha, si spera, da offrire, che punta tutto sulla forza bruta e tecnologica, ma anche sulle ambizioni, quelle che sino ad ora hanno alimentato la serie e il suo successo sempre più sorprendente, di uno dei pochissimi Creativi con la c maiuscola rimasti in circolazione.
Con una maggiore potenza di calcolo a disposizione, il team si è potuto sbizzarrire, puntando a ricreare un mondo fortemente caratterizzato da un’atmosfera apocalittica e dalle dimensioni esagerate non solo sulla carta, ma fin nel minimo dettaglio: un cielo pronto a cadere da un momento all’altro, giallo come una di quelle malattie inguaribili allo stadio terminale, una desolazione che è sempre più il marchio di fabbrica delle produzioni From Software, e un tripudio di effetti particellari che tra cenere e lapilli del falò e della torcia, mossi da un vento rigido e freddo come la morte (e dannatamente realistico), con alle spalle delle location 3D dense, ricche, e figlie della filosofia “If it’s in the game, it’s in the game“, quindi raggiungibili ed esplorabili, non meri soprammobili, motivo per cui troveremo meno varietà di ambientazioni rispetto ad un Dark Souls II, ma in rapporto delle stesse decisamente più vaste.
A proposito di confronti col passato, la demo gameplay giocata al nostro cospetto è stata un concentrato di forti emozioni, ma anche di déjà-vu, tra le Mura di Lodeleth che non stonerebbero né nel primo Dark Souls, né tanto meno in un Demon’s Souls, e persino auto-citazioni, con un drago titanico, chiamato Ancient Stone Dragon, che appare all’improvviso e si appollaia sulla cima di un castello, pronto ad arrostire i malcapitati di turno, non importa se controllati dal giocatore o dalla Intelligenza Artificiale. E se i falò sono sempre lì al loro posto in qualità di checkpoint e strumenti di fast travel (tornerà questa discussa feature), solo meglio realizzati tecnicamente, tra le novità più curiose spiccano delle piccole lapidi, disseminate per il mondo di gioco, le quali elargiranno preziose informazioni sulla sempre più criptica lore, altro marchio di fabbrica di From Software, che ruota attorno al risveglio dei Lord of Cinder (come quello apparso nel trailer d’annuncio), e di un eroe oscuro che ne contrasta la rinascita, ma c’è spazio anche per i tanti draghi caduti, in quanto le ceneri di cui è pregna l’atmosfera sembrano proprio provenire dai loro cadaveri inceneriti.
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La breve prova giocata al nostro cospetto, come detto, ha puntato tutto sulla forza bruta, in ogni senso, dapprima tramite il comparto tecnico, già fluido e possente in questa prima demo, e carico di finezze tecniche (tra bandiere e brandelli di abito che svolazzano), frutto dell’esperienza accumulata con Bloodborne, ma anche nel combat system, che ci è parso veloce e scattante (ma un pizzico lontano dalla frenesia dell’ultimo capolavoro targato From Software), e che però non intende minimamente abbandonare i capisaldi della serie, a partire dall’importanza dello scudo, tornato prepotentemente protagonista dopo l’esperimento lovecraftiano in esclusiva per PS4, al moveset delle armi mostrate in azione.
Tramite un sistema chiamato “weapon arts“, le armi offrono delle mosse speciali: c’è la spada lunga che rompe la difesa nemica tramite due attacchi speciali, la Greatsword che tributa (come tanto altro nella serie) Gatsu di Berserk con un possente colpo che scaraventa in aria il nemico e che para gli assalti avversari con un gesto quasi rituale, mentre le scimitarre permettono di affettare con stile più nemici (che, come sempre, escono dalle fo**ute pareti e “faranno di tutto per massacrarvi”) con un agile colpo roteante. C’è poi l’Arco Corto, stravolto per davvero per differenziarlo in maniera netta da quello lungo: la cosa farà forse storcere il naso ai puristi della serie, ma ora sparerà frecce con estrema velocità e potrà essere utilizzato tra un roll e una schivata, un po’ come (citando testuali parole) “Legolas del Signore degli Anelli“.
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