Los Angeles – Al cuor non si comanda, né tanto meno alla fede. E non sembra un caso che il primo Mirror’s Edge, un esperimento nato quasi per caso tra un mitra e una bomba a mano nei freddi studi svedesi di DICE, avesse come protagonista proprio una donna di nome Faith, la figura principale di un gioco, anzi, di un’esperienza immersiva ed innovativa di cui si sente la mancanza da tanto, troppo tempo.
Durante lo scorso E3, EA e DICE non riuscirono a trattenere quel loro segreto così ben custodito, spifferando al mondo che Mirror’s Edge sarebbe tornato in forma di prequel e con una City, ora ufficialmente City of Glass, spartita tra il Conglomerate, i runner (dei quali fa parte la protagonista) e i terroristi del Black November, aperta ed interamente esplorabile. Durante la conferenza pre-E3, tra gli highlights, a spiccare è stato proprio Catalyst, nel cui nome, semi-confermato negli ultimi giorni, non figura alcun numero, vista la natura “preparatoria” a quel che sarà.
Il Catalyt del titolo è infatti la stessa Faith, più giovane e rivoluzionaria, un catalizzatore di libertà, di difesa dei diritti dei più deboli, di lotta al potere e di ribellione, come apprendiamo dalle parole del Product Manager di DICE, Martin Lindell, che ci presenta con non poco orgoglio il frutto del duro lavoro di questi ultimi anni prima di passarci la palla (e il pad).
Le tematiche, prese di peso dall’illustre predecessore vista l’interconnessione tra i due, restano quindi quelle della classica città distopica controllata in stile orwelliano dal Conglomerate, malvagia azienda guidata dall’altrettanto malvagio CEO Gabriel Krueger. Lo splendente e futuristico ammasso di cittadini e segreti nasconde miseria e disperazione dietro i suoi grattacieli scintillanti, ora più definiti e molto meno (volutamente) asettici, in contrapposizione rispetto alla peculiare (e vincente) scelta stilistica del primo Mirror’s Edge, ma un obbligo per via della natura aperta, libera e priva di caricamenti tra una zona e l’altra, con scorci da rendere ben distinguibili per avere un riferimento costante durante gli sfoggi di di agilità e momentum di Faith, senza i quali potete anche scordarvi di superare un muretto alto qualche centimetro in più del normale.
La nostra duplice prova la vede in un primo momento uscire da un riformatorio (in una cutscene splendidamente realizzata), pronta a salire su di un bus che la porterà chissà dove, ma Icarus, uno dei runner ribelli, le procura una via d’uscita (segnalata tramite le iconiche porte rosse). Una volta superato l’impatto devastante del comparto grafico, superbo e davvero impressionante, ed entrati in possesso di una speciale lente che le garantirà la “Vista da runner”, oltre alla comoda mini-mappa grazie alla quale orientarsi tra i vari obiettivi, iniziamo a prendere contatto con i già familiari controlli e con l’essenza parkour del gioco, la quale richiede un tempismo ancor più preciso tra salti, scivolate sotto le tubature e atterraggi tramite, rispettivamente, tasto dorsale e grilletto sinistro, fondamentali per raggiungere il flow necessario a muoversi con scioltezza e non ritrovarsi sonoramente in caduta libera.
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