Sin dal suo annuncio The Division è stato uno dei progetti più attesi: sarà stato quel motore grafico capace di un livello di dettaglio impressionante o forse quell’ambientazione (così post-apocalittica e al tempo stesso anche sci-fi), sta di fatto che The Division è nella lista dei desideri di milioni di gamers di tutto il mondo. Per qualcuno (anche per il sottoscritto, a dire il vero) sono bastati dei dettagli, come quella mappa interattiva: quel tocco di classe tipico dei giochi Ubisoft. Ma come ogni cosa bella, The Division si sta facendo attendere e, dopo vari rinvii, è previsto ora per l’inizio del 2016.
Il tira e molla tra Massive Entertainment (ora, ufficialmente, Ubisoft Massive) e il publisher francese è finito con una “vittoria” del team di sviluppo che ha fortunatamente ottenuto più tempo per sfruttare lo Snowdrop Engine e ricreare l’esperienza multiplayer che si riveli (si spera) delle nostre aspettative.
The Division sarebbe dovuto essere l’ultimo titolo a portare il nome di Tom Clancy’s (in realtà sia Rainbow 6 Siege che il nuovo Ghost Recon continuano a fregiarsi di questo prestigioso nome): il compianto scrittore ha infatti lavorato alla storia di questo shooter che ci vedrà impegnati in una New York devastata (come il resto del mondo) da un’epidemia che ha lasciato pochi sopravvissuti, ovviamente in lotta tra di loro. Il governo infatti, dopo l’emanazione della Direttiva 51 (che avrebbe dovuto ristabilire l’ordine) ha come unica speranza per mantenere l’ordine l’istituzione di un corpo militare speciale, The Division per l’appunto, composto da ex militari e agenti segreti.
Per l’E3 2015 Ubisoft ha presentato una demo incentrata su una modalità multiplayer, ambientata in una zona conosciuta come Deadzone. Si tratta di uno spazio all’interno di Manhattan dove i giocatori possono scontrarsi gli uni contro gli altri o contro nemici del gioco per recuperare materiale prezioso lasciato dai militari durante l’evacuazione di questa zona. La demo che abbiamo provato è la stessa mostrata nel video in calce e questo ci permette di fare un rapido confronto tra come The Division è concepito e come poi in concreto si gioca. La sezione inizia con l’ingresso (senza caricamenti) nella Deadzone: dal momento che l’area è al di fuori del controllo della divisione, quando si entra si interrompono i collegamenti e l’UI salta momentaneamente per poi riavviarsi e fornire informazioni leggermente diverse. Si tratta quindi di una scusa narrativa interessante per giustificare quelle modifiche necessarie alle esigenze della modalità multiplayer. La Deadzone è altamente contagiosa quindi gli agenti indossano le maschere protettive che rendono però difficile l’identificazione. Su questo problema torneremo più avanti.
L’obiettivo nella Deadzone è quindi recuperare il prezioso materiale militare lasciato in giro, che deve essere raccolto e portato in un punto di estrazione, dove un elicottero arriverà a prendere il pacco per portarlo altrove ed essere decontaminato. Nell’area si aggirano sia nemici gestiti dall’intelligenza artificiale del gioco che altri team di giocatori per un mix di pvp e pve molto interessante sulla carta. La strada verso il pacco ci permette di sfruttare le abilità dei personaggi contro alcuni nemici incontrati: un compagno ad esempio può piazzare una torretta che tiene impegnati i sodati avversari su un fronte, mentre un altro utilizza l’abilità Pulse per scannerizzare l’area: le informazioni raccolte, come ad esempio la collocazione degli nemici, vengono fornite anche agli alleati che da quel momento posso vedere su schermo la sagoma dei soldati anche dietro a muri ed oggetti vari. Al termine dello scontro il mio compagno ha richiesto una granata curativa che è in grado di restituire punti vita nell’area di azione dell’oggetto.
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