Colonia – In un industria videoludica dove lo shooter è sempre più prossimo alla saturazione, dove armi e gadget iper tecnologici sono tanto inflazionati quanto la presenza di nano suit avveniristiche e capaci di mille cose, i franchise di Tom Clancy sono diventati punto di riferimento per tutti quei giocatori che, dallo sparatutto, esigono qualcosa di più. E quando si parla di tatticismo, gioco di squadra e “realismo”, non possiamo non pensare al franchise di Rainbow Six. Forte di un gameplay articolato e fortemente strategico, la saga più celebre del compianto Tom Clancy ha cambiato il proprio passo più e più volte durante la sua lunga e onorata carriera, aggiornandosi di volta in volta nelle meccaniche e nei contenuti senza però mai tradire il proprio gameplay originale, quel mix di riflessi, abilità e pianificazione strategica senza i quali è praticamente impossibile uscire vivi dalla missione. Anche perché, vale la pena ricordarlo, in Rainbow Six Siege vale la regola del One Shot, One Kill: e ve ne accorgerete molto presto.
Di Rainbow Six Siege abbiamo già parlato abbondantemente una manciata di settimane addietro durante la nostra visita al booth di Ubisoft in quel dell’E3 2015. In occasione della kermesse losangelina ci eravamo cimentati in una delle componenti PvE a squadre più divertenti del nuovo titolo di Tom Clancy, Terrohunt, dove due squadre composte da cinque soldati devono rispettivamente “attaccare” e “difendere” una specifica area della mappa sino allo scadere del tempo previsto. Si tratta di un match articolato su due round distinti, in cui una volta terminato il primo i ruoli vengono invertiti e l’area da difendere viene spostata casualmente. La squadra che totalizza più punti nei due round, inutile dirlo, porta a casa il risultato.
La nostra prova odierna presso lo stand di Ubisoft, un po’ a sorpresa, ci ha messo nuovamente di fronte alla modalità Terrohunt, questa volta all’interno di un complesso urbano abbandonato articolato su quattro piani e un seminterrato. Il che può sembrare un dettaglio marginale: ma riuscire a trovare la posizione esatta del quintetto avversario quando hai poco più di tre minuti per abbatterlo, fidatevi, una certa apprensione te la mette.
Nel nostro primo incontro abbiamo giocato in difesa, all’interno di una piccola safe area da proteggere a tutti i costi. Mentre il team avversario era impegnato a darci la caccia all’interno dello stabile, il nostro compito era rendere quell’area quanto più inaccessibile possibile, rinforzando le pareti con strutture di metallo o allestendo “trappole” di fil di ferro, non certo letali ma sicuramente efficaci per rallentare l’avanzata avversaria. Ciascun elemento della squadra gode di armamenti peculiari, che spaziano dai classici fucili mitragliatori automatici alle pistole di ordinanza Rainbow, passando per fucili a pompa estremamente potenti o fucili a distanza. Differenti anche le protezioni indossate: gli heavy armor saranno più duri da abbattere (serve un colpo ben piazzato), ma pagano dazio spostandosi più lentamente dei colleghi a corrazza leggera.
Una volta piazzate le difese è solo questione di tempo: ed è proprio qui che la modalità vira clamorosamente, aumentando esponenzialmente il ritmo di gioco – anche se solo per una manciata di minuti. Non appena la squadra d’attacco riesce a far breccia partono granate accecanti, piovono proiettili e negli headset si scatena un autentico inferno. Ci si nasconde dietro alle coperture (alcune offerte dalla location, altre mobili che possono essere piazzate liberamente da alcuni soldati), si sbircia da dietro un riparo per sparare in tutta sicurezza (o quasi) o, nei casi più critici, ci si sdraia letteralmente al suolo cercando di far fuoco prima del nostro nemico.
Il secondo round, come dicevamo, cambia del tutto le carte in regola. Nei panni degli assalitori avremo una fase preliminare (poco più di 40 secondi) in cui far muovere un drone a quattro ruote all’interno della mappa, cercando in questo modo di avere una prima informazione relativamente esatta sulla posizione del nostro bersaglio. Scaduto questo warm up, parte il gioco del gatto col topo in trappola, con cinque soldati che sfrecciano in lungo e in largo nell’edificio sino a stanare la preda. In occasione della nostra demo, le classi delle due fazioni erano le stesse, al che non si è notata una significativa differenziazione tra le armi in dotazione alle due compagini. Poco ma sicuro, esplosioni e granate accecanti vanno maggiormente a braccetto col team offensivo, che sfruttando l’effetto sorpresa può abbattere più rapidamente la resistenza e concludere l’obiettivo.
Piccola novità presentata durante la nostra prova è la Spectator Cam, una “modalità” per l’undicesimo giocatore che non partecipa attivamente alla partita in corso, ma può liberamente saltare da un personaggio all’altro godendo della classica visuale in prima persona. Novità nella novità è in realtà la Tactical View, disponibile ciaramente per il solo spettatore, che mostra la mappa da una comoda visuale aerea: una trovata intelligente per vedere in un sol colpo come sono dislocate le forze in gioco
Da un punto di vista tecnologico, Rainbow Six Siege offre un motore fisico estremamente interessante, che permette una distruttibilità ambientale quasi inedita in questa generazione. A patto di avere un po’ di esplosivo, non esiste nulla (o quasi) che non possa essere ridotto in brandelli. Per quando riguarda il map design, la location in esame ci è parsa alquanto articolata, pur non offrendo un dettaglio significativo. Lo stesso discorso non vale per quanto riguarda modellizzazione, sia dei soldati che delle armi: ottimo il livello di dettaglio, fluidissime le animazioni e la resa visiva in generale. Chiudiamo con una gestine dei volumetrici e particellari esemplare: ma a ben vedere, da un titolo dove non esiste una parete non abbattibile non potevamo aspettarci altro.
C’è poco da fare, Rainbow Six non sbaglia il colpo nemmeno stavolta. Frenetico, ma allo stesso tempo gelido e tattico, il nuovo tassello dello shooter più celebre di Tom Clancy si candida già da ora come uno dei titoli più interessanti di questo autunno. Sappiamo ancora molto poco sul single player (maggiori informazioni arriveranno a settimane dalla stessa Ubisoft), ma questi primi assaggi di componente multiplayer hanno ampiamente mostrato una buona verstilità, un’ottima giocabilità e uno spazio di possibilità di gioco tutto tranne che indifferente. Rainbow Six Siege non è il classico “spara spara” fine a sé stesso: è attenzione, riflessi e strategia su tutto. In poche parole, il paradiso per chi dallo sparatutto vuole qualcosa di più. Ve ne accorgerete il prossimo 13 Ottobre.
Commenti