Project Zero o Fatal Frame, questo è il dilemma. Pur continuando con questa crisi d’identità, come al solito figlia di adattamenti differenti tra America e il resto del mondo, la serie di Koei Tecmo ha qualche anno sulle spalle. Nata su PlayStation 2, come molti dei titoli horror del tempo, Project Zero focalizzava i suoi racconti su storie di fantasmi, spesso legate a doppio filo con il folklore giapponese e la tradizione cinematografica asiatica.
Una serie originale e curiosa, che ci permetteva di “fotografare” gli spiriti per scacciarli via. Project Zero: Maiden of Black Water, è l’ultimo capitolo ad essere uscito per la saga. Lo ha fatto in realtà nel 2014, con un’esclusività su Wii U che a mente fredda non deve affatto avergli fatto bene. La serie ha visto pubblicazioni discontinue in Occidente, come dimostra l’ormai rarissimo remake di Project Zero 2, uscito esclusivamente su Wii.
Proprio per questo motivo, Tecmo Koei ha aperto le porte ed ha deciso di portare Project Zero: Maiden of Black Water su tutte le piattaforme: Xbox, PlayStation, PC e Switch. Tutte pronte ad accogliere un survival horror sui generis, ma sicuramente dal grande fascino. Del resto il claim promozionale lo definisce “beautiful horror”, tradotto da noi con un goffo “orrore stupendo”. Nonostante nella nostra bella lingua possa sembrare un noto brano di Patty Pravo, questo ossimoro descrive perfettamente l’esperienza di Project Zero: Maiden of Black Water.
Ambientato nelle vicinanze del Monte Hikami, Project Zero: Maiden of Black Water ci getta fin da subito nella sua fumosa e terrificante atmosfera. La montagna sembra essere maledetta, e nonostante sia meta di turisti curiosi e pellegrini, lo è anche di persone disperate che scelgono di compiere un suicidio. Le premesse hanno fin da subito un sapore tutto giapponese, figlio di un immaginario orrorifico che pesca a piene mani nella cinematografia horror asiatica. Le vicende sono tutte (o quasi) al femminile, con Yuri Kozukata e altre giovane donne, tutte protagoniste di un terribile susseguirsi di eventi.
Ha dei momenti di grande intensità emotiva e di puro orrore
Nel cambiare spesso punto di vista tra i tre protagonisti (uno di loro non ve lo sveliamo), nello specifico Yuri e Ren, Project Zero: Maiden of Black Water delinea una narrazione episodica e lineare. Ogni capitolo pone degli obiettivi specifici, così come un sistema di votazione e punteggio. Un animo arcade che approfondiremo quando parleremo del sistema di combattimento. Questo tipo di struttura è funzionale ed efficace: ogni capitolo sviscera degli elementi di uno dei personaggi, approfondendo le vicende intorno al Monte Hikami e alle misteriose Ancelle dell’acqua nera.
Project Zero: Maiden of Black Water ha però un grande problema: molta della sua narrazione viene relegata ai documenti, ottenibili durante l’esplorazione o superando alcune sezioni narrative. Questo tipo di approccio denota una certa anzianità concettuale del titolo, che purtroppo, nelle sue 10 ore e più di gioco, non convince completamente. Dialoghi e personaggi sono sconclusionati e privi di una reale caratterizzazione che non dovrebbe dipendere da elementi testuali opzionali, come invece accade.
Un vero peccato, perché Project Zero: Maiden of Black Water ha dei momenti di grande intensità emotiva e di puro orrore, che però si perdono per strada nell’arco dei 14 capitoli che compongono questo viaggio. La vicenda di Yuri e Ren è immersa in un immaginario horror molto forte, legato al ritualismo, ad un terrore rabbioso ma anche malinconico e triste. Una storia forte, supportata da alcuni momenti registicamente convincenti. Il pessimo lip sync e un doppiaggio inglese anonimo non aiutano, ma sono elementi su cui si sorvola facilmente se ci si lascia trasportare dagli scorci nebbiosi e tetri del monte Hikami.
alcune scelte narrative ne minano il ritmo e la caratterizzazione dei personaggi
Nell’attraversare foreste maledette, templi e acquitrini paludosi, Project Zero: Maiden of Black Water mette in piedi un’esperienza survival horror originale ma anche classica. L’elemento che lo contraddistingue è la Camera Obscura, una macchina fotografica che ha il potere di vedere e danneggiare gli spiriti maligni.
Il gameplay prevede l’uso della Camera in prima persona, con il “mirino” della stessa che delimita i confini entro i quali si causano danni ai nemici. Mettere a segno scatti precisi permette di indebolire lo spirito, dandoci modo di effettuare scatti sempre più potenti. L’anima arcade sta tutta qui, con un sistema di rullini e potenziamento della camera obscura, permettendo di migliorare i punteggi ottenuti dagli scontri.
Un’anima che pervade tutta l’avventura, visto che è proprio grazie ai punti ottenuti che potremo acquistare oggetti curativi, rullini e potenziamenti di capitolo in capitolo. La presenza di più finali ma anche di una difficoltà “Nightmare” lo rendono un titolo piuttosto rigiocabile, infatti. Nonostante scattare foto agli spiriti possa risultare a suo modo divertente, Project Zero: Maiden of Black Water riesce a spaventare. Si dimostra un titolo teso, con apparizioni repentine e un’atmosfera estremamente soffocante.
Alcune sezioni terrorizzano più di altre, ma mai con banali jumpscare. Quelli ci sono, ma c’è anche altro: un lavoro di silenzi, rumori e sguardi che impietrisce senza risultare eccessivo. Un gusto per l’horror tipicamente giapponese, supportato da un’esplorazione lineare e piuttosto guidata. Difficile perdersi in Project Zero: Maiden of Black Water, ma forse è meglio così. Gli scontri sanno essere intensi e divertenti, con la possibilità di vedere i ricordi dello spirito dopo averlo sconfitto. Sono proprio gli spiriti i veri protagonisti, con le loro storie cruente, violente e tristi.
Project Zero ritorna sulle nuove console con un’edizione definitiva. Nuovi costumi, una modalità foto e un comparto tecnico rinnovato. Quest’ultimo ne ha migliorato notevolmente il colpo d’occhio, complice una risoluzione maggiore ed alcuni effetti migliorati (oltre che i 60fps). Resta comunque un titolo nato su Wii U, con tutte le imperfezioni e pochezze che ne derivano. Project Zero: Maiden of Black Water è un horror interessante, diviso tra un’anima arcade e survival horror. Narrativamente intrattiene ma a fasi alterne, a causa di alcune scelte che ne minano il ritmo e la caratterizzazione dei personaggi. Il terrificante universo del Monte Hikami resta affascinante e spaventoso, con un gusto per l’horror tipicamente orientale che non viene spesso raccontato nei videogiochi. Peccato per il vizio di Tecmo Koei di cedere al fan service, rendendo le sue protagoniste un po’ troppo “bamboline”. C’è più dignità e spessore nei fantasmi che infestano il Monte Hikami, tra una foto e l’altra. Il titolo sarà disponibile solo in digitale, trovate le carte prepagate da GameStop! |
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