MilanoDark Souls è stato, ed è, il capolavoro di From Software: non perché i titoli seguenti non siano riusciti ad offrire una qualità alla pari, né inferiore. Il pregio è stato però quello, unico, di sdoganare un concetto, un tipo di filosofia di gioco che prima d’ora era stata solo accennata nel passato dello studio giapponese e nell’acerbo (sotto alcuni aspetti) Demon Souls. Non può che far piacere quindi, soprattutto dopo la deriva Bloodborne, vedere Miyazaki di nuovo impegnato nel progetto, con la volontà di rendere Dark Souls 3 un punto di svolta per la serie come la concepiamo ora, sia dal gameplay che da altri (e ancora misteriosi) punti di vista.
Durante la GamesWeek 2015 in quel di Milano abbiamo messo le mani su una piccola porzione di gioco, la stessa vista recentemente nello stress test, che ci ha permesso di rivisitare ancora una volta pad alla mano i cambiamenti e le novità introdotte dal titolo nella serie. Nella nostra visita nel castello di Lothric abbiamo scelto un cavaliere predefinito, classe comunque prediletta dalla maggioranza dei giocatori, nonostante alcuni ritocchi introdotti in questo capitolo permettano di godere maggiormente delle classi basate, ad esempio, sulle magie. Sin dal primo momento nel castello diroccato, la sensazione di ritrovarsi nelle atmosfere e nella filosofia del primo Dark Souls è prepotente: siamo di fronte infatti ad una location di ampio respiro, che non rinuncia però ad essere claustrofobica e complessa visivamente, portando il giocatore spesso fuori dalla “retta via” in luoghi che sarebbe meglio non varcare con leggerezza. Una scelta di design interessante, che può funzionare sicuramente meglio rispetto, ad esempio, alla struttura a blocchi del secondo capitolo, ma che andrà valutata ovviamente con cognizione di causa con il gioco completo.
Dove Dark Souls 3 è forte è invece nel far capire al giocatore che qualcosa è cambiato, è nel gameplay: pur avendo il feeling e il peso dei precedenti Souls, si presenta più fluido e più veloce, sia da parte del giocatore che, soprattutto, dai nemici. Una scelta che cambia le carte in tavola e non le manda a dire a Bloodborne, evidentemente non del tutto metabolizzato da Miyazaki e che ha indubbiamente influenzato questo Souls. Resta da capire quanto di tutto questo faccia realmente la differenza, ma viste le prime boss fight la strada tracciata sembra quella giusta: l’anima di Dark Souls c’è tutta, ma con quel pizzico di contaminazione necessaria a tenere alto l’interesse di un pubblico sicuramente esigente.
Contaminazione necessaria anche per offrire nuovi modi di approcciarsi a quello che è ormai un genere, permettendo sia al gioco di essere pericoloso verso il giocatore, e sia quest’ultimo di poter avere dalla sua nuove forme offensive e difensive che andranno a formare un nuovo “mindset” per la serie From Software. A differenza di Bloodborne, ad esempio, tutto basato sull’offensiva, Dark Souls continua a prediligere un approccio più metodico, con l’utilizzo dello scudo per parare gli attacchi e la possibilità quindi di giocare anche di difesa. Tutto questo mancava nell’esclusiva PS4, e siamo estremamente curiosi di capire meglio cosa porteranno questi cambiamenti in una struttura tutto sommato consolidata e ben riconoscibile.
Il passaggio alla nuova generazione ha anche giovato a tutta la componente tecnica, finalmente all’altezza delle aspettative e sui giusti binari per offrire un’esperienza soddisfacente sotto tutti i punti di vista. Come non dimenticare la città infame di Dark Souls, vero e proprio incubo (anche) per il frame rate imbarazzante, che in questo nuovo capitolo sembra essere solo un lontano ricordo. Lothric è stupenda, affascinante e il sistema di illuminazione (mutuato proprio da Bloodborne) non fa che ricordarlo in ogni piccolo passo, tra scheletri e non morti che tanto ci sono mancati in questi due anni.
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