MilanoFor Honor, così di primo acchito, è un titolo strano. Un action game in terza persona dalle meccaniche insolite incentrato sull’utilizzo esclusivo di lame e armi bianche, in un contesto “fantasy ma non troppo” dove vichingi, samurai e cavalieri medievali si pigliano a mazzate in due squadre composte da quattro giocatori. Detta così, lo ammettiamo, l’ultima creatura di Jason Vandenberghe (il papà del leggendario Red Steel 2) può sembrare un esperimento abbastanza folle: eppure questa nuova IP di casa Ubisoft non solo ha personalità da vendere, ma – ed è questa la cosa più importante – offre una serie di meccaniche offensive/difensive e di gestione della propria arma caratterizzate da pressoché inedita in questa generazione. Perché è vero, in For Honor l’obiettivo è fracassare il cranio avversario prima che sia lui a farlo a noi: ma non pensiate sia così facile riuscirci.
Gran parte del lavoro del team di sviluppo, comprensibilmente, è stata riservata al sistema di controllo, vario ed estremamente profondo ma – cosa più importante – capace di veicolare le sensazioni della lotta ad armi bianche: il peso delle spade, l’inerzia delle armi più grosse da sfruttare nei colpi a rotazione e via dicendo. Il combat schema, dicevamo, è incentrato su un meccanismo a cerchio (visibile nella parte inferiore dello schermo) suddiviso in tre parti: esso permette al giocatore di decidere la direzione da impartire tanto ai fendendi quanto alle parate. Sì, perché in For Honor esiste una posizione di guardia, attivabile col trigger sinistro, ma capirete rapidamente che la soluzione più performante è analoga a quella di Infinity Blade di Chair: un colpo col giusto tempismo, nella direzione contraria a quella dell’affondo in arrivo. Ciascuno dei tre settori va a modificare pesantemente l’approccio del nostro alter ego, il che lascia supporre una volontà dello sviluppatore di permettere all’utente di sperimentare e trovare la configurazione di combattimento più consona al proprio stile.
Perché sperimentare è la via migliore per imparare a padroneggiare il ferro: ma, allo stesso tempo, fareste bene a ricordare che, nonostante le ingombranti amature, l’energia associata a ciascun avatar non è propriamente infinita, e al contrario bastano un paio di mazzate dove si deve per spedirvi al tappeto. Risultato: fate partire il colpo quando siete sicuri esso possa avere effetto, e non abbandonatevi al mero button mashing nella speranza di colpire selvaggiamente qualcosa. Potreste andare a segno anche un paio di volte, ma finireste per prestare troppo spesso il fianco e cadere vittima dell’attacco avversario che, lo ricordiamo, mette a disposizione due tipologie di colpo, quello veloce “standard” e una sorta di colpo caricato, devastante ma lentissimo.
Nella prova odierna in quel di GamesWeek abbiamo avuto modo di sperimentare una curiosa modalità multigiocatore per otto persone suddivise in due squadre, basata sulle regole note a tutti del Dominio: tre punti di controllo all’interno della mappa, la squadra che totalizzava più punti controllando più aree, allo scadere del termine, viene dichiarata vincitrice. Premesso che, stando a quanto riferito, in For Honor sarà presente anche una modalità Single Player (nonostante le evidenti vocazioni online del titolo), un’altra caratteristica interessante di questo “Dominio ad armi bianche” coincide con la nutrita presenza di bot per ciascuna delle due compagini: questo sia per dare una maggiore epicità al combattimento che si va ad affrontare (fossimo stati solo in otto in una mappa medio grande, a ben vedere, saremmo andati incontri a maggiori tempi morti), sia perché mietere vittime gestite da CPU permette di racimolare punti utili al livellamento del proprio personaggio. In questi frangenti, lo sottolineiamo, non è affatto necessario lavorare tanto di fino: colpi caricati a volontà, mietendo Bot come mosche. Il bello, infatti, arriva quando di fronte a noi c’è un giocatore umano.
E il motivo è esattamente quello che vi abbiamo esposto qualche riga sopra: colpire per primi non significa sempre uscire vivi da un duello. Nell’uno contro uno tra giocatori umani, la musica cambia drasticamente: diventa un gioco di equilibi e di nervi, un’analisi in tempo reale sul comportamento pre-attacco del nostro avversario seguita ad una breve danza di finte e controfinte, magari senza nemmeno affondare il colpo. Ci si studia, ci si fissa e poi ok, in una frazione di secondo si decide quale attacco utilizzare, sperando di aver eluso sapientemente le aspettative nemiche. Anche perché, è il caso di ricordarlo, per ogni colpo parato si attiva in autonomia una sorta di counter, che rompe la guardia altrui dando la possibilità di affondare (se non addirittura di vincere il duello) con una combo veloce, ma dannatamente potente.
È ancora presto per dire se For Honor sarà un successo o finirà per crollare sotto il peso della propria ambizione. Le premesse, al momento, sono delle migliori: un buon comparto tecnologico, un combat schema appagante, l’assenza di quel button mashing che da sempre affligge questa tipologia di giochi, in favore di un approccio più tattico e “studiato” che inevitabilmente si rifà alla vera lotta ad arma bianca. In For Honor c’è studio e ricostruzione attenta, ma anche coraggio e voglia di portare sul mercato qualcosa di ragionevolmente nuovo: e ok, non abbiamo ancora visto vichinghi e samurai, e il single player rimane ancora avvolto nella nebbia. Ma quanto visto sin’ora, tra un fendente alla gola e un’esecuzione brutale, ci ha convinto.
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