News 07 Dic 2015

Rainbow Six Siege – Recensione

L’ultimo capitolo della celebre saga di Rainbow Six è approdato sugli scaffali ad inizio mese. I più attenti ricorderanno certo che il titolo ha sofferto uno sviluppo altalenante e travagliato, fatto di silenzi, rinvii, inspiegabili cancellazioni e addirittura cambi di nome e impostazione. Nel 2011 fu infatti annunciato Patriots, erede di quel Vegas che tanto era piaciuto a pubblico e critica; dopo oltre 3 anni di duro lavoro però, Ubisoft ha ufficialmente gettato la spugna, cancellando il progetto nel 2014 e annunciando l’imminente arrivo di Siege su console di nuova generazione.

Quello che ci appropinquiamo a recensire è quindi una produzione complessa, diversa sotto molti punti di vista dagli altri sparatutto online in circolazione di questi tempi. Privo di una qualsivoglia campagna single-player e limitato da un serie di (dubbie) scelte stilistiche, Rainbow Six Siege fa delle sessioni PVP e PVE online le uniche e sole opportunità di gioco, accontentando solo in parte gli appassionati e fan di vecchia data.

 Rainbow Six Siege

Piattaforma: Xbox One/PS4/PC

Genere: Sparatutto in prima persona

Sviluppatore: Ubisoft

Publisher: Ubisoft

Giocatori: 1-10

Online: 4-10

Lingua: Completamente in italiano

Versione testata: Xbox One

La parola chiave per lo sparatutto Ubisoft è “realismo”. Una parola molto cara a tutti gli affezionati del brand, che però può essere estremizzata, andando persino contro quelli che innanzitutto sono obiettivi ludici. Una volta connessi ai server di gioco, Rainbow Six Siege ci mette a disposizione una decina di simulazioni offline per familiarizzare con il sistema di gioco e con i diversi protagonisti che potremo poi impersonare. Niente trama, niente complotti politici o sotterfugi narrativi: semplicemente una voce che guida i passi del giocatore, suggerendogli le tattiche da adottare a seconda della tipologia della situazione da affrontare.
Già da questa prima compagine si intuisce quanto Siege sia fedele ai predecessori dal punto di vista tattico: le entrate a muso duro e fucile spianato sono infatti sconsigliatissime, favorendo un approccio lento e ragionato, osservando con attenzione potenziali pericoli nascosti, grazie al miglior equipaggiamento a disposizione delle forze speciali. Il team di sviluppo ha per l’occasione ideato 20 Operatori, suddivisi tra Difensori e Assalitori, nelle 5 migliori unità anti-terrorismo realmente esistenti: SAS, FBI SWAT, GIGN, Spetsnaz e GSG 9.

Ognuno di essi, oltre a possedere determinate abilità e gadget unici, che ne rendono l’utilizzo specifico a seconda del tipo di partita in corso, non può cambiare arma, (se non tra quelle approvate dalla sua unità) ma solo migliorarne gli attributi, sbloccando i canonici miglioramenti. Ad esempio Fuze, veterano esperto nelle cariche a grappolo adesive, può utilizzare solo una mitragliatrice pesante o uno scudo balistico, Smoke, che usa le granate tossiche dalla distanza, può contare esclusivamente su un fucile a pompa e un lanciagranate, limitando quindi di molto gli adattamenti tattici in-game.

Il team di sviluppo ha ideato 20 Operatori, suddivisi tra Difensori e Assalitori, nelle 5 migliori unità anti-terrorismo realmente esistenti: SAS, FBI SWAT, GIGN, Spetsnaz e GSG 9.

Risulta evidente soprattutto negli scontri multiplayer, dove per una questione di mero realismo e fedeltà ai canoni di gioco, sarà impossibile selezionare due personaggi uguali nella stessa squadra, favorendo quindi una vera e propria gara di velocità per accaparrarsi il proprio pupillo virtuale.

Difatti, è sconsigliabile affacciarsi alle modalità online prima di avere a disposizione almeno 3 assalitori e 3 difensori. Per ottenerli, sarà necessario accumulare punti fama, rigiocando le simulazioni per giocatore singolo o buttandosi nella mischia di un match competitivo, nella speranza di portare a casa la vittoria. Come abbiamo anticipato, una volta ottenuta una classe, potremo spendere alcuni punti per migliorare l’equipaggiamento da portare in battaglia, implementando mirini ottici, silenziatori e skin sulle armi; scelta piuttosto scarna per uno sparatutto competitivo, soprattutto se paragonato a titoli del medesimo genere.

Ciò è però possibile solo durante le partite multigiocatore, perché nel completamento delle suddette simulazioni, sarà lo stesso gioco ad impartire l’operatore e la dotazione da usare: buona parte delle volte risulta comunque utile, ma può capitare che ci si ritrovi senza i mezzi necessari a fronteggiare la crisi. Ragione per cui alcune di queste missioni diventano subito frustranti, con l’aggravante di un’intelligenza artificiale scomposta, completamente disorientata ai livelli di difficoltà più bassi, per poi diventare letteralmente sovrumana in modalità realistica.

L’unità SWAT del Federal Bureau americano fa sempre la sua figura.

Sul fronte multigiocatore online le cose cambiano solo all’apparenza, poiché vengono progressivamente a galla altre palesi quanto ingiustificabili limitazioni. La modalità cooperativa è solo una, la Caccia ai Terroristi, dove la squadra dei giocatori umani dovrà fronteggiare uno scenario con obiettivo casuale, come il disinnesco di un ordigno esplosivo, il salvataggio di un ostaggio o una banale eliminazione delle forze ostili. La scelta della mappa, così come dell’obiettivo non sono stati contemplati da Ubisoft, il che conduce ad una selezione del tutto randomica, che in breve tempo risulta anche ripetitiva a causa del modesto numero di possibili variazioni, salvo la singola posizione degli obiettivi, che cambia di volta in volta.

Sotto questo punto di vista, la cooperazione gioca un ruolo fondamentale per la riuscita dell’intera operazione, motivo per cui giocare con un gruppo di amici, faciliterà il coinvolgimento ed il susseguente divertimento. Mancando il ripristino dell’energia e il respawn, ogni minima mossa dev’essere attentamente calibrata e la posizione dei nemici studiata a fondo: basta un minimo errore per trasformare un’incursione discreta in una bolgia sconclusionata.
Anche in questo caso, l’IA nemica lascia parecchio a desiderare e a meno che non siate dei veri professionisti o quantomeno veterani con ore e ore di gioco alle spalle, si propenderà sempre un livello di difficoltà generalmente basso, ma non per questo meno stimolante. In Rainbow Six Siege infatti, il grado di soddisfazione sarà legato più al successo di squadra, che al killcount personale; una missione completata velocemente e senza perdite sarà mille volte più appagante di una sconfitta dove occupate la prima posizione.

In Caccia ai Terroristi, il limite più evidente è sempre la scarsa personalizzazione del proprio alter-ego e l’impossibilità di portarlo sul campo se già selezionato da un compagno di squadra, cosa che forza la scelta di un personaggio secondario e quindi scarsamente equipaggiato (ogni miglioramento ha un costo in fama e non è trasferibile su altri operatori, il che significa che se li abbiamo sbloccati tutti e 20, dovremo prendercene cura singolarmente) oppure della cosiddetta Recluta, priva di abilità uniche e utile solo come supporto. Questa scelta ci sembra francamente fuori da ogni logica moderna, una dose di realismo, che seppur apprezzato, diventa eccessivo, finendo per ritorcersi contro ciò che di buono traspare nella produzione Ubisoft.
Insomma: il divertimento è garantito, a patto che troviate disponibile l’operatore con cui avete più affinità; il gioco di squadra funziona, a patto che i vostri compagni non agiscano come cani sciolti; ogni match è godibile pienamente, a patto che i parametri dell’intelligenza artificiale non sfocino nel paranormale.

La cooperazione gioca un ruolo fondamentale per la riuscita dell’intera operazione, motivo per cui giocare con un gruppo di amici, faciliterà il coinvolgimento ed il susseguente divertimento

Durante le partite competitive, che sono poi il cuore pulsante dello sparatutto in esame, alcuni di questi problemi sembrano permanere. Qui la componente tattica è ancora più amplificata, soprattutto dal punto di vista degli assalitori, che in fase pre-partita possono utilizzare dei minuscoli droni terrestri che, in un tempo limitato, servono ad individuare le posizioni nemiche ed eventuali obiettivi sensibili. Ovviamente, data la complessità di alcuni ambienti di gioco, non è detto che la ricerca vada a buon fine, rendendo più ostica la successiva infiltrazione. Nello stesso arco di tempo, i difensori possono prepararsi allo scontro, fortificando la propria zona, con barriere di metallo per le finestre scoperte, rinforzi per i muri distruttibili e alcune trappole terrestri, come esplosivi al plastico e filo spinato.

La durata del match vero e proprio è piuttosto esigua: dal un lato a causa di un obiettivo comune che prima o poi spinge una delle due squadre a scoprirsi per raggiungerlo prima, dall’altro per la mancanza del respawn, che rende quindi lo scontro breve e intenso.
In entrambi i casi il risultato è senza dubbio stimolante: consci dei limiti imposti in fase di sviluppo, il titolo è comunque capace di regalare momenti adrenalinici e ricchi di enfasi. Che siate difensori o assalitori, la caccia ai membri della squadra opposta dev’essere vissuta con la massima concentrazione possibile, per ridurre al minimo potenziali errori. In fase di attacco, sgomberare un’area fortificata non è mai facile, soprattutto perché i giocatori più intelligenti tendono a presidiare gli angoli con la miglior visuale (non a caso, molte delle vittorie più riuscite avvengono dopo un’attenta analisi del luogo e dei suoi punti deboli), così come in difesa risulta logorante tenere d’occhio tutte le zone dove è possibile fare breccia.

E’ da qui che si capisce quanto Siege sia unico nel suo genere, un first person shooter semplicemente impareggiabile dal punto di vista strategico e cooperativo, ma ancorato sul tetto della mediocrità, per colpa di contraddizioni stilistiche ai limiti del paradossale rispetto ad altri esponenti del medesimo genere.
Uno degli aspetti più discusso e attaccato è purtroppo proprio quello di impedire ai partecipanti di scegliere mappe e modalità di gioco durante le sessioni PVP e PVE (ad esclusione dei match privati), che sono quindi del tutto arbitrari. Una decisione che spesso e volentieri determinerà l’abbandono dei giocatori meno pazienti con un conseguente rallentamento dei tempi a scopo organizzativo.
Lo stesso obbligo di scaricare, installare e registrarsi all’applicazione Uplay per poter partecipare alla compagine online ci è sembrato di cattivo gusto, quasi come se il colosso francese avesse bisogno di simili sotterfugi per accrescere le fila dei propri iscritti.

Le incursioni rappresentano forse il momento più coinvolgente di tutto il match.

 

Tecnicamente, Rainbow Six Siege è lontano dagli standard imposti dall’attuale generazione. Sebbene gli effetti particellari derivati dai proiettili e dalle esplosioni siano d’effetto, la povertà visiva degli ambienti e dei modelli poligonali suggerisce che siano stati fatti profondi compromessi durante lo sviluppo. Anche la distruttività ambientale, presentata in pompa magna durante i primi video ufficiali di qualche anno fa, è stata molto ridimensionata ed ora solo alcuni precisi punti potranno essere presi di mira, con un inevitabile calo della libertà d’azione offerta ai giocatori.
Il frame-rate appare stabile durante le sessioni competitive, anche durante le fasi più frenetiche, per poi cambiare inspiegabilmente in Caccia ai Terroristi e nelle simulazioni offline con un vistoso calo della fluidità generale di gioco; i motivi restano ignoti, ma è palese la differenza tra le due modalità, soprattutto se il passaggio tra l’una e l’altra è repentino. Abbiamo inoltre notato alcune disturbanti compenetrazioni poligonali, che occasionalmente affliggono i più sfortunati: il nostro personaggio ad esempio, è rimasto incastrato nei muri, nelle saracinesche, talvolta nei cornicioni dei palazzi dopo l’utilizzo del rampino, costringendoci purtroppo ad abbandonare prematuramente la partita; si spera che con una patch correttiva Ubisoft riesca almeno ad arginare questo tipo di fastidi.

Fortunatamente la saldezza dei server è ineccepibile e raramente capita di imbattersi in disconnessioni improvvise. In ogni caso, il gioco non tiene conto di questi episodi e non c’è alcun tipo di mora per chi sfrutta quest’opportunità per lasciare uno scontro in corso, tranne durante le partite classificate, dalle quali si può essere bannati per un periodo di tempo variabile.

In conclusione…

Rainbow Six Siege non è purtroppo il gioco che ci aspettavamo o che comunque speravamo fosse. Dopo un’attesa lunga e spasmodica, Ubisoft ha cambiato rotta e così facendo ha stravolto i canoni di una serie che ha sempre contato un nutrito numero di seguaci affiatati.
A partire dall’ingiustificata cancellazione della campagna single-player, passando per le numerose restrizioni delle modalità multigiocatore online, fino ad arrivare ad un comparto tecnico tutt’altro che all’avanguardia: Siege è uno sparatutto che si mantiene a galla grazie ad un gameplay unico e ricercato, che nonostante la spietata concorrenza, sembra funzionare ancora bene. I match competitivi, salvo imprevisti, divertono e mettono i giocatori in una posizione diversa dal solito, dove le singole scelte devono essere ponderate, dove il realismo di uno scontro a fuoco è crudamente tangibile, dove l’agire come Squadra rappresenta il più alto traguardo possibile.
Proprio per questo però, l’acquisto di Rainbow Six Siege è consigliato esclusivamente a chi è alla ricerca di un’esperienza videoludica di questo genere; un neofita, digiuno di first person shooter, potrebbe di conseguenza demoralizzarsi prima del tempo.
Resta da vedere cosa proporrà la casa di sviluppo nei futuri contenuti di gioco (avendo già annunciato un corposo Season Pass) e se, come è già accaduto per alcuni illustri colleghi, riuscirà a colmare le lacune attraverso un riassestamento generale, prendendo spunto dai sempre preziosissimi consigli della community.

Voto: 6,5/10

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