News 01 Feb 2016

The Witness – Recensione

Certo che Jonathan Blow è un tipo strano. Provate a pensarci: è il 2008, nessuno ha mai sentito parlare di “indie” nel panorama videoludico e tu, dal nulla, tiri fuori uno dei titoli più rappresentativi di un’intera generazione di “sviluppatori da garage”. Sì insomma, sei un perfetto signor nessuno che dal cilindro magico fa apparire un capolavoro assoluto come Braid. La tua vita cambia: sei sulla bocca di tutti, la stampa ti osanna come il futuro del game design e, senza manco volerlo, dai il via alla rivoluzione dello sviluppo indipendente che, tutt’oggi, è una realtà conclamata. Sei quello giusto, quello che cavalca la cresta dell’onda e su cui qualsiasi possessore di PC e console scommetterebbe a occhi chiusi. Uno normale si monterebbe la testa, inizierebbe a sfoderare il sorriso delle grandi occasioni di fronte alle telecamere e, storia insegna, magari pure a straparlare. Forse, ma nonJonathan Blow: nemmeno il tempo di portare Braid su altre piattaforme che il designer è già all’opera su un nuovo titolo, una sfida ancor più grande, prevista per PC e console nel 2011, che rispondeva al nome di The Witness. Il talento di Blow tuttavia non basta quando, nel procedere dello sviluppo, ci si rende conto che serve qualcosa in grado di superare i limiti di PS3 o Xbox 360 per concretizzare quel sogno. Qualcosa di potente e innovativo, che possa tenere a bada un engine sempre più esigente in risorse. Da qui la cruciale decisione: saltare la generazione per puntare non solo al PC, ma alla console più indie-friendly del mercato, PS4. Era il 2010, e fu uno degli ultimi avvistamenti ufficiali del signor Blow.

In molti, negli ultimi sei anni, si sono chiesti cosa sarebbe stato di The Witness: se davvero Blow e soci avrebbero rispettato la parola data senza ricorrere ad ulteriori motivi “tecnologici” per nascondersi dietro un “sarà pronto quando sarà pronto“, se avrebbe saputo tener testa al cambiamento dei gusti dei giocatori. Ma, più di ogni altra cosa, se The Witness sarebbe stato nuovamente quel capolavoro che otto anni prima era stato Braid.Perché è inutile negarlo, la prima volta può essere fortuna, ma non due volte su due. Ora che la creatura di Thekla Inc. è finalmente realtà, è giunto il tempo di tirare le somme per questo titolo atteso spasmodicamente da milioni di giocatori. E dopo aver trascorso svariate ore in quest’isola onirica ricca di indecifrabili misteri, possiamo dare una risposta definitiva a quei dubbi affannosi: Jonathan Blow è tornato. E l’attesa, ogni dannatissmo giorno, ne valeva la pena.

The Witness

PiattaformaPS4, PC

Genere: Puzzle

Sviluppatore: Thekla Inc.

Publisher: Theckla Inc. / SCE

Giocatori: 1

Online: Assente

Lingua: Testi in italiano

Versione Testata: PS4

The Witness è un’opera complessa. Non che non ce l’aspettassimo, dopo le innumerevoli ore trascorse negli acquerelli di Braid; questa volta, tuttavia, Blow si spinge ancora più in là sia in termini di sperimentazione (e basta osservare solo alcuni video di gameplay per accorgersi che, come The Witness, c’è ben poco in giro), sia in termini di sforzo mentale richiesto al giocatore. Questo perché, alla fine della fiera, l’esclusiva PC e PS4 è unenorme puzzle contenente al suo interno altri puzzle, un enigma perfetto dalle fattezze di un’isola sospesa ai confini del tempo in cui ogni pezzo è slegato dall’altro solo all’apparenza. The Witness è una scatola cinese tanto spietata quanto placida, una creatura capace di strappare fuori il lato peggiore del giocatore obbligandolo a sedute interminabili di analisi, di studio di un banalissimo pannello. Il tutto per unire due semplici punti con un linea, per cercare di intuire un pattern logico in un problema apparentemente scontato che, sai mai, possa essere riutilizzato altrove.

The Witness, insomma, non è un titolo per tutti. Dietro le sue tinte d’acquerello, dietro quegli scenari bucolici che si perdono a metà strada tra un cielo terso e un’enorme distesa d’acqua cristallina c’è una mente spietata e gelida, una pura razionalità che richiede sforzo e dedizione per essere appresa. Testa bassa, silenzio e concentrazione sono le uniche cose richieste da un titolo che, dopotutto, obbliga a premere a malapena due pulsanti e spostare uno stick per progredire. Non ci sono aiuti, suggerimenti “diretti”, scorciatoie per raggiungere l’obiettivo finale: soltanto il giocatore, l’isola e svariate centinaia di enigmi diversi da risolvere. Enigmi che convergono immancabilmente verso la risposta a quella domanda che, sin dai primi minuti di gioco, si impossesserà del nostro cervello: che ci facciamo in quell’isola?

The Witness è una scatola cinese tanto spietata quanto placida, capace di strappare il lato peggiore del giocatore obbligandolo a sedute interminabili di analisi di un banale pannello.

La componente narrativa di The Witness è un autentico tocco di classe. Il motivo può sembrare banale, ma la verità è che è essa stessa un’enigma: anzi, è l’enigma più intricato e complesso del pacchetto. Non esiste una storia nel senso classico, rimpiazzata del tutto da una serie di ritrovamenti testuali o file audio nascosti ancora una volta con sagacia terribile dietro porte apposite – protette, manco a dirlo, da indovinelli diabolici che possono tranquillamente portare via un paio d’ore prima d’esser risolti. Ci si ritrova dunque in un lungo tunnel silenzioso, che sbuca in un giardino fiorito dal verde accecante con una porta, l’unica via di uscita dell’area, chiusa elettronicamente da un pannello. Soli, col nostro cervello e mille cose da risolvere: ecco il piano diabolico di Blow, ecco il nostro primo enigma risolto di The Witness. La storia, per chi saprò coglierla, arriverà pian piano: ma non pensiate sia così lineare o scontata.

Già, ma cos’è The Witness? A voler essere rigorosi, la definizione corretta non potrebbe che essere “un puzzle game con visuale in prima persona“. Già, un puzzle game: un titolo composto da enigmi di varia natura, che devono essere risolti secondo una certa logica per raggiungere il finale. Un po’ generica, ma pensiamo renda l’idea: non fosse che definire la creatura di Thekla Inc. in questo modo risulterebbe limitante a dir poco. La visione alla base del titolo è ben più complessa, e va a concretizzarsi in quest’isola famigerata composta da dieci sezioni, l’ultima delle quali (la montagna) sarà accessibile soltanto dopo aver risolto i misteri delle rimanenti.

Gli enigmi da risolvere sfiorano le sette centinaia, ma è bene sapere che non tutti sono necessari per raggiungere il luogo della verità: alcuni potrebbero essere false piste, altri potrebbero invece fungere da tutorial per apprendere le regole dello specifico gioco – fermo restante che, queste regole, potrebbero essere usate dalla parte diametralmente opposta dello scenario. Il tutto senza dimenticarsi di uno specifico indovinello, progettato con tanta malizia da renderlo – a detta di Blow – risolvibile da nemmeno l’1% dei giocatori che lo incontreranno. Giusto per dare un buffetto alla nostra autostima.

La soddisfazione scaturita dal risolvere questa logica perversa, dall’inizio alla fine del playthrough, è impagabile.

Il vero punto di forza dell’IP, tuttavia, è la natura degli indovinelli proposti. Ciascuno di essi, dicevamo, è basato su una meccanica intrinsecamente elementare di individuazione del percorso corretto all’interno di una sorta di labirinto. L’obiettivo, tuttavia, non coincide col trovare uno tra i possibili percorsi teoricamente corretti: alle volte si tratterà di dividere il pannello in due aree, contenenti rispettivamente solo punti bianchi e neri. Altre, invece, di isolare la sola porzione della scacchiera composta da alcuni pezzi suggeriti (o da versioni ruotate di questi). Alcune aree del gioco, soprattutto quelle iniziali, metteranno a disposizione dei pannelli “tutorial” non obbligatori composti da quattro o cinque puzzle, fondamentali per apprendere (e verificare) il corretto apprendimento. In molti altri casi, tuttavia, sarà la stessa conformazione dell’isola e delle sue strutture a suggerire la chiave di lettura corretta: ma se a trovare una mela in un albero rosa siamo un po’ tutti capaci, preparatevi a dei sonori mal di testa.

Non diremo una sola parola di più a tal proposito per non rovinare la sorpresa (e per far provare anche a voi quella meravigliosa frustrazione legata al fissare lo schermo per 15 minuti senza sapere da che parte iniziare): l’aspetto incredibile di questa struttura, tuttavia, è la propria totale versatilità. Quello che potrebbe sembrare un giochino destinato a perpetuarsi per almeno 80 ore col medesimo pattern cambia alla velocità del suono, si reinventa completamente aggiungendo un semplicissimo nuovo elemento o mescolando “soluzioni” già viste in precedenza. Basta un lato della scacchiera interrotto o una figura geometrica dove non te la aspetti e il dramma ha inizio. Si spremono le meningi, il cervello inizia a macinare vorticosamente, la soluzione è a un palmo di naso ma non vuole uscire allo scoperto. Ci si arrabbia, si inveisce contro la mente malata del creatore di quel dannato puzzle; e lo ammettiamo, in più di qualche occasione verrebbe voglia di spegnere tutto quanto e andarsene altrove. Non fosse che la soddisfazione scaturita dal risolvere questa logica perversa o dall’aprire porte bloccate, dall’inizio alla fine del playthrough, è qualcosa di impagabile: e se uno degli obiettivi di Blow era farci sentire più intelligenti, soluzione dopo soluzione, beh, missione compiuta.

The Witness è semplicemente questo: logica, razionalità, deduzione nella forma più ferrea.

Certo, tocca comunque a noi districarci tra un pannello e l’altro. Il che, ve lo ripetiamo per l’ennesima volta, tolti i primi quindici minuti di gioco sarà facile solo a parole. La natura open world dell’isola, interamente accessibile in ciascuna sezione (esclusa quella finale) sin da subito, abbassa sensibilmente il rischio di ritrovarsi arenati in una serie di enigmi al momento non risolvibili e, dunque, di invecchiare in un punto morto. Serve dunque intuito, ma anche un minimo di iniziativa e di pragmatismo: qualcosa, ad esempio, come seguire i cavi che partono da un pannello spento, sino a trovare il “capo della fila” con cui interagire. Oppure, per quanto assurdo possa sembrare, la stessa componente esplorativa può riservare piacevoli sorprese che esulano dalla già citata “narrazione”: alcune porte nascoste dalla vegetazione, ad esempio, custodiscono preziosi suggerimenti per indovinelli ai limiti dell’insormontabile. Di cose da fare, insomma, ce ne sono sin troppe: non c’è tempo in The Witness per restare con le mani in mano.

Il trailer di lancio di The Witness.

In conclusione…

Ci sono molti motivi, dopo aver provato The Witness, per maledire il nome di Jonathan Blow. Un titolo dannatamente difficile perché costringe a riflettere, non richiede particolari attitudini al videogioco ma, allo stesso tempo, mette in ginocchio anche il giocatore più scafato. The Witness è semplicemente questo: logica, razionalità, deduzione nella forma più ferrea, un mostriciattolo saputello, frustrante e presuntuoso, che con una malcelata arroganza ti sbatte sul muso l’ennesimo fallimento proprio quando eri convinto di aver finalmente la soluzione in pugno. Ma è proprio da questi aspetti che possiamo apprezzare la maestosità della seconda creatura del papà di Braid, quella scintilla di genialità che trasforma un enigma tutto sommato banale in un tarlo affamato di materia grigia.

La narrazione criptica e volutamente sotto-dosata (capace di alimentare ulteriormente quella sensazione di estraniazione assoluta per tutta la durata della nostra permanenza) e quel motore tecnologico costato caro a PS3, ma che su PS4 regala scorci ispiratissimi ed evocativi dalle rispettose reminiscenze a Myst, passano quasi completamente in secondo piano rispetto al compito che Blow ci ha affidato. Il che non significa affatto che non rimarrete a bocca aperta a fissare l’orizzonte che si perde sulle linee del mare in lontananza o, allo stesso modo, che riuscirete a trattenere un grido euforico dopo aver stanato la statua di un cane su un tappeto rosso o, nei casi più fortunati, un prezioso audio log. Ma saranno solo un diversivo temporaneo, un piacevole intervallo tra le tappe del vostro scopo ultimo: raggiungere la montagna, e risolvere anche l’ultimo degli enigmi. E non vi sarete mai sentiti così bene dopo esserci riusciti.

Voto: 9/10

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