San Francisco – Lo ammetto, quando mi sono avvicinato alla demo station di MOTHERGUNSHIP e il simpatico Producer, sfoderando un sorriso delle grandi occasioni, mi ha chiesto “Ebbene, che cosa conosci di questo gioco?” un po’ gaglioffo mi ci son sentito. A mia discolpa potrei dire che Terrible Posture Games, sviluppatore indipendente su piattaforme Microsoft, proprio Valve non è: tuttavia, al netto di un video visto in velocità sfrecciando tra i corridoi del Moscone Center, posso ammettere di essermi approcciato a questa esclusiva PC e Xbox One con il migliore degli stati d’animo possibile. Una bella pagina bianca ove iniziare a scrivere qualcosa.
Allora, MOTHERGUNSHIP. Un titolo che mi è costato una mezza storta alla mandibola, almeno nei minuti iniziali, che strizzando l’occhio allo sparatutto old school mescola robottoni armati come Rambo, un pizzico di tattica, crafting selvaggio e un paio d’altre trovate interessanti all’ennesima rivisitazione dell’attacco alieno al pianeta Terra. Più nel dettaglio, la narrativa del titolo in esame, seppur difficilmente candidabile al Pulitzer, ci vede alla guida di una sorta di mech non meglio identificato che, attaccando una dopo l’altra le navicelle aliene, mette da parte abbastanza risorse per trasformarsi in una macchina da guerra indistruttibile, sino a ritrovarsi sufficientemente potente per tentare l’attacco alla Navicella Madre – un mostro di tecnologia aliena grande come mezza Italia popolata da robot mastodontici, torrette lanciamissili delle dimensioni di una palazzina di tre piani (i missili, ovviamente) e altre amenità sputafuoco tutto tranne che amichevoli.
Tra una cannonata in dual wielding, una serie si salti a catena sfruttando propulsioni avveniristiche e armi craftabili e potenziabili all’inverosimile, il destino della Terra dipende ancora una volta da noi: sempre se saremo abbastanza abili nell’evitare la pioggia di ostacoli che, già nel primissimo livello successivo al tutorial, ci ha spedito al Creatore una mezza dozzina di volte. Ma sulla difficoltà di MOTHERGUNSHIP non si discute, ammette il nostro gentile ospite: il titolo vanta velleità assolutamente hardcore, e forte di una generazione procedurale di stanze, livelli, nemici, ostacoli e quant’altro vi venga in mente, ha il chiaro obiettivo di prendere i riflessi del giocatore e ridurli a colabrodi fumanti. Trattandosi di un titolo annunciato soltanto da tre settimane e alla prima vera prova hands on, non ci è stato dato modo di sapere altri dettagli interessanti “esterni” al gameplay: diciamo che sarà prevista una modalità cooperativa per due giocatori, sia online che offline, e un paio di modalità aggiuntive, ulteriormente più complicate, volte a rendere la sfida un autentico bagno di “sangue” robotico.
Il gameplay di MOTHERGUNSHIP, a ben vedere, rappresenta l’elemento più interessante della produzione Terrible Posture Games. Non un semplice FPS a tema robottoni, quello del giovane studio statunitense, quanto piuttosto un mix frenetico di shooting e di crafting, contestualizzato in un level design suddiviso in arene che non disdegnano lo sviluppo lungo l’asse verticale. Partendo dalle caratteristiche del nostro “alter ego”, due le barre disponibili ai lati dello schermo: quella rossa, a sinistra, che indica l’energia rimasta prima del game over, quella blu a destra che indica il nostro rate residuo di fuoco, prima che l’arma (o le armi, qualora fossimo in dual wielding) venga temporaneamente resa non disponibile per raffreddarsi. Entrambi i meter potranno essere espansi a dismisura raccogliendo opportuni potenziamenti: a questi fa seguito l’indicatore dei salti in sequenza, inizialmente settato a tre e visibile nella parte alta dello schermo. A nostra domanda insolente, ci è stato risposto che, a gioco finito, sarà possibile inanellare dozzine di salti sospesi in sequenza, permettendo in questo modo di raggiungere altezze significative in tempi celeri o, cosa ancora più utile, orchestrare funamboliche manovre di elusione e schivata del fuoco nemico rispondendo prontamente all’attacco.
Già, l’attacco. Perché inutile girarci attorno: il cuore di MOTHERGUNSHIP è proprio la parte offensiva. Le bocche sputafuoco disponibili nel prodotto finito saranno a dozzine, e ciascuna di queste potrà essere ulteriormente potenziata ricorrendo a specifici item raccolti in gioco. Più nel dettaglio, una volta raggiunto l’apposito shop potremmo modificare ciascuna arma in nostro possesso con un sistema di crafting tanto intuitivo quanto funzionale, che ci farà “incastonare” in appositi vani dell’arma equipaggiata potenziamenti di varia natura che, di volta in volta, ne andranno ad amplificare potenza o velocità di fuoco, aggiungeranno ulteriori canne da cui sparare, funzioneranno come sdoppiatori per inserire due mod anziché una sola. La varietà di item disponibili, acquistabili con la “moneta” raccolta facendo piazza pulita della controffensiva aliena, era già ragguardevole nella demo odierna: pensare alla mole di oggetti disponibili entro una data imprecisata di quest’anno, ad essere onesti, ci fa quasi venire i brividi.
Tutto perfetto, insomma? Complessivamente la demo odierna in quel di San Francisco non è affatto andata male. Come spesso accade in questi casi, quelli che andiamo ad analizzare sono prodotti in stato tutto tranne che avanzato, e nel caso di MOTHERGUNSHIP il termine embrionale è forse quanto più appropriato possiamo trovare. Graficamente il titolo è interessante, seppur cali di frame rate od occasionali tearing non siano del tutto rari. A voler proprio rompere le uova nel paniere, l’ottimo ritmo e la frenesia del gioco si pagano con un coefficiente di difficoltà del calibro di From Software: lo sviluppatore continua a difendere la propria tesi, offrendo una sfida punitiva ma capace di regalare soddisfazioni enormi. Se l’intuizione in chiave Mech è quella giusta, questo sarà solo il tempo a dircelo.
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