Una cosa è certa quando si parla di realtà virtuale: per creare giochi capaci di attirare i giocatori verso una periferica esterna a una console come PS4, bisogna pensare fuori dagli schermi. Oppure, come dicono gli anglosassoni, “out of the box”, letteralmente “fuori dalla scatola”. Statik svolge esattamente questo lavoro, con una vera scatola da cui bisogna in qualche modo uscire.
Sviluppato da Tarsier Studios, lo stesso gruppo di ragazzi che ci sta per portare anche Little Nightmares, Statik è un puzzle game da giocare da soli o con l’aiuto degli amici tramite social screen, anche se la vera difficoltà nel risolvere i suoi enigmi può essere assaporata solamente in un faccia a faccia col visore PlayStation VR. Si tratta infatti di un’esclusiva per la periferica di Sony, soprattutto per il modo in cui sfrutta le proprietà di DualShock 4.
Ma andiamo con ordine: il giocatore è una specie di cavia da laboratorio con le mani chiuse in una scatola, da cui è necessario uscire risolvendo enigmi di difficoltà sempre crescente. La cavia in questione è una persona presa in carico dallo strano e pixelato Dr. Ingen, il cui compito è osservare il soggetto, commentare le sue azioni e prendere appunti continuamente. Tra un tentativo e l’altro di aprire la scatola che circonda le mani della cavia, il Dr. Ingen non manca di sussurrare frasi distraenti o di provocare rumori molesti, tanto da irritare a morte un sofferente di misofonia. Abbracciando dunque il concetto di un laboratorio con cavie, governato da uno scienziato con un senso dell’umorismo discutibile, è inevitabile che alla mente salga il ricordo di Portal: fatto notare questo dettaglio a Dave Mervik, Narrative Designer di Tarsier Studios, il risultato è una bella risata, segno che sicuramente molte altre persone gli hanno posto la stessa osservazione in passato.
Durante la prova, siamo stati lanciati in due livelli differenti. Come già detto, il giocatore viene accolto senza spiegazioni dal Dr. Ingen, mentre una scatola tecnologica tiene bloccate le mani all’interno. Sulla scocca del box sono presenti vari gingilli, un po’ come per i moduli di Keep Talking and Nobody Explodes: la grande differenza è che gli strumenti sulla scatola sono tutti collegati e vanno esplorati nei minimi dettagli per comprenderne il funzionamento, senza manuali o sezioni separate. Come se non fosse abbastanza, per ogni livello bisogna capire le funzionalità dei vari tasti sul DualShock 4: esse cambiano continuamente insieme alla forma della scatola, rendendo necessario un approccio per tentativi, finché non si raggiunge la piena cognizione del marchingegno. Si premono bottoni, si accendono luci, si muovono levette per cambiare filtri e creare forme diverse, utilizzando poi piccoli proiettori laser o a luce ultravioletta. Ci sono insomma già molte caratteristiche differenti per le scatole che tengono imprigionate le mani per i primi due livelli. Una volta risolto l’insieme dei puzzle, dalla scatola viene stampato un piccolo ticket, fatto per essere letto da una telecamera posta alla destra: presi dall’euforia di aver raggiunto l’obiettivo, è possibile sfogare quel poco di frustrazione contro questa povera creatura robotica, tanto intenta nel leggere il ticket, quanto soggetta agli scherzi continui del giocatore, in grado di muovere il box all’ultimo momento e mandare in frantumi i sogni della telecamera.
Andando avanti, l’esplorazione della scatola non si limita agli effetti visivi, ma anche a quelli sonori: il giocatore viene infatti sottoposto all’ascolto di un’audiocassetta, da cui trarre informazioni valide per la risoluzione di un puzzle. A proposito di questo, purtroppo Statik non sarà localizzato nella nostra lingua al momento del lancio e non è in programma una traduzione. Tutto dipende da come sarà recepito il gioco dai consumatori: è un peccato che molti giocatori italiani con la fobia dell’inglese non possano godere di un titolo del genere, eppure, coloro che invece masticano bene la lingua, si troverebbero davanti a un puzzle game solido, impegnativo ed elettrizzante.
Questo perché Statik non parte a rilento, ma butta subito il giocatore in un puzzle doveroso di ragionamento e tentativi vari. Niente tutorial o guide, poiché è necessario esplorare da soli le fattezze del box e l’ambiente circostante. Gli amici possono aiutare guardando lo schermo della console, rendendo dunque Statik un po’ meno solitario e improntato invece alla socialità.
Dave è stato molto disponibile poi a illustrarci alcuni dettagli sullo sviluppo del gioco. Fin dall’inizio, ovvero circa due anni fa, Tarsier Studios ha concepito Statik con l’idea di creare un’esclusiva PlayStation, ancora prima che PlayStation VR arrivasse sul mercato. Non solo, il progetto iniziale aveva un’ambientazione completamente diversa, molto più incentrata sull’horror che sul comunque inquietante scenario di un ignoto laboratorio. L’idea è stata poi scartata per l’evidente mancanza di originalità che avrebbe caratterizzato il titolo e Tarsier Studios si è dunque mossa sullo sviluppo di una componente completamente diversa, quella della figura del Dr. Ingen.
La sua faccia è costantemente coperta da un velo di pixel per celarne l’identità. Non che sia necessario conoscere i suoi connotati, però il fatto di non comprenderne le fattezze dona un velo di mistero all’uomo che esercita sul giocatore un comportamento passivamente aggressivo. Durante la risoluzione degli enigmi, specialmente nelle situazioni di maggiore concentrazione, il Dr. Ingen comincia infatti a parlare di cose proprie per provocare distrazioni, oppure dà inizio a rumori molesti come colpetti di tosse o fischiettii. Nonostante la prova sia stata di soli due livelli, la sua figura si è dimostrata centrale per l’economia del gioco, altrimenti troppo basato sulla vera solitudine del giocatore: col Dr. Ingen, invece, permane quel senso di ansia causato da una persona che c’è, ma non c’è e osserva in modo interessato il comportamento della cavia. Oltretutto, a livello di gameplay, il Dr. Ingen avrà anche un’altra funzione, particolarmente utile nelle sezioni dei questionari: premendo le levette analogiche è infatti possibile esprimere il proprio stato d’animo. Una volta chieste a Dave delucidazioni su questa caratteristica, siamo però venuti a sapere che si tratta di materiale ancora non divulgabile: non vediamo dunque l’ora di mettere le mani sulla copia review per conoscere da vicino il gioco integrale.
Statik sembra sfruttare a dovere le potenzialità sia del controller DualShock 4, sia di PlayStation VR, immergendo completamente il giocatore in una serie di stanze virtuali per risolvere enigmi. Una volta compreso il funzionamento della scatola, è estremamente intuitivo muovere il pad per guardare il box su tutti i lati e scoprire dunque come utilizzare un comando.
Non essendo esoso in termini tecnici, quindi senza una grafica inutilmente pompata agli estremi, Statik si può permettere di azzerare completamente il motion sickness tenendo a bada il frame-rate. Oltretutto è un gioco da utilizzare seduti, quindi non c’è davvero il rischio di sentirsi male. L’unico sentimento negativo che si potrebbe avvertire è l’ansia di uno scienziato con gli occhi puntati addosso.
Essendo un puzzle game, bisogna capire quale possa essere la sua longevità nel momento in cui un giocatore abbia un quoziente intellettivo talmente alto da terminare i livelli in un batter d’occhio. Il supporto post-lancio, magari con sfide aggiuntive, sarebbe un’ottima idea da proporre.
Purtroppo c’è inoltre da segnalare la mancanza della localizzazione in italiano, per quanto essa sia soggettiva. Il sottoscritto non ha avuto alcun problema nel comprendere la sezione audio, ma la necessità di accumulare informazioni tramite parlato in inglese chiude spesso la porta ai giocatori italiani che ancora non hanno imparato la lingua straniera per eccellenza.
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