DOTA 2 e League of Legends sono i due giochi che, negli scorsi anni, si sono combattuti per l’egemonia del genere MOBA senza mai prevalere l’uno sull’altro. Andate da un giocatore di DOTA e vi dirà che LoL è per nabbi, andate da un giocatore di LoL e vi dirà che la grafica cartoonesca è più bella, poi ci sono quelli di Heroes of the Storm che vi diranno che DOTA era una mappa di Warcraft III e quindi il MOBA migliore è Blizzard (non fa una grinza, visto era una mod fatta da un utente). Al di là di ogni disputa, io ho cominciato a giocare a DOTA 2 ai tempi della Closed Beta, semplicemente perché ci giocava il mio ragazzo e ho trovato un gruppo di amici che giocava lì.
I primi tempi era come una droga, appena tornavo a casa dall’università mi piazzavo al PC e giocavo fino a notte fonda, nonostante poi la mattina dovessi alzarmi a orari improbabili per prendere il treno (se me lo chiedete ora, forse un po’ ha influito sul mio primo anno…). Il problema è che una partita di DOTA 2 poteva durare dai 40 minuti a più di un’ora e non si può andare a letto finché non si vince, perché no insomma… se avete mai giocato a un MOBA o a Overwatch o a che so io multiplayer lo capite bene. Dopo un po’ però l’università prese il sopravvento sulla mia vita videoludica (fortunatamente) e piano piano cominciai a giocare sempre meno, finché dopo qualche anno e un numero di ore di gioco nell’ordine del migliaio non smisi completamente. Abbandonai teamspeak, pur continuando a vedere gli amici con cui giocavo saltuariamente, e per lungo tempo DOTA 2 rimase nella mia libreria Steam quiescente.
Un giorno, essendomi resa conto che era installato sulla memoria SSD del mio PC, ho deciso infine di eliminarlo, abbandonando per sempre l’idea di riprenderlo tra le mani… se non che, la vita ci insegna che non bisogna mai dire mai. Ho ricominciato a farmi sentire su teamspeak per avere un po’ di compagnia durante le sessioni di gioco su Ni No Kuni II e con mia somma sorpresa, nonostante PUBG, Fortnite e Sea of Thieves occupassero molto del tempo dei miei vecchi compagni di gioco, appena cominciavano a spuntare le persone giuste partiva il momento DOTA 2. All’ennesimo pop-up di Steam che mi avvisava dell’invito a giocare mi sono infine decisa: era ora di riscaricarlo.
Ora, erano diversi anni che non giocavo più o meno regolarmente e durante questo tempo il gioco si è completamente rivoluzionato: a partire dalla mappa, con Roshan che non sta più al suo posto, le fonti in mezzo alla foresta, dove ora appaiono anche delle rune, proseguendo con gli eroi nuovi (pochi fortunatamente), oggetti nuovi, abilità nuove sui vecchi eroi (ma che è successo a Riki?), ma soprattutto l’albero dei talenti. Cioè, non so se sta cosa Valve l’ha presa da HOTS o se gli frullava nel cervello già da un po’… fatto sta che è una cosa enorme, io non so più che aspettarmi dagli eroi.
Sapendo che DOTA 2 è cambiato dal giorno alla notte, decido di andare support, pensando di fare meno danni: “Ragazzi, va bene se prendo Vengeful Spirit?” “Ah, vuoi andare carry?”… eh? Cosa? Ancora devo capire se mi stavano prendendo per i fondelli o meno, ma la cosa non mi stupirebbe neanche più di tanto. Vabbè, opto per una Crystal Maiden, sfoggiando la mia ormai vecchia ma sempre bellissima Arcana e mi trovo davanti al primo ostacolo: la mappa è completamente diversa da prima… “Ragazzi, dove piazzo le ward?”. Prontamente i miei tutori mi segnalano i punti sulla mappa… e va bene, potevo anche arrivarci da sola, lo ammetto. Arrivano i creep e comincia la fase di lane, ovviamente il mio tempismo è perfettamente sbagliato per ogni cosa: per deniare i creep, per harassare l’avversario, per tirare lo stun. Mi pare di aver perso l’uso del cervelletto da qualche parte tra i pick e la prima uccisione (fortunatamente da parte dei miei compagni sull’altra linea), come se la mia coordinazione mente-mano fosse andata a farsi benedire da una strega voodoo. Piano piano comincio però a riprendere familiarità con le cose basilari, giusto in tempo per la fine della prima partita: vittoria (non certo grazie a me, eh)!
Altro giro, altro support: resto sul tema “ghiacciato” con il Lich. Non ve la sto neanche a raccontare, persa malamente sotto l’egemonia di un Chaos Knight avversario gigantesco (succede quando qualcuno decide di fare il ganzo con il Techies…).
Andiamo dunque per la terza ed ultima partita della serata con il Witch Doctor, in cui mi rendo conto quali sono i punti che è davvero difficile recuperare dopo tanto tempo: la posizione e il tempismo. Il support è spesso quello che deve iniziare le fight, o il primo ad essere eliminato, e se non ti trovi nel posto giusto al momento giusto finisci per essere inutile… e io mi trovavo sempre nel posto sbagliato, ovvero lontana da tutte le fight (complice anche una squadra avversaria composta di maledetti ratti come Nature’s Prophet e Tinker). Fatto sta che abbiamo vinto lo stesso.
Insomma, non è facile tornare su DOTA 2 dopo tanto tempo, ma con gli amici giusti tutto è possibile… anche perché non giocando da anni si abbassa di un sacco il livello nel matchmaking (a tal proposito chiedo scusa ai poveri giocatori che si sono trovati davanti 4 tizi dall’MMR improbabile, ma ehi, prendetevela con Valve), ma soprattutto divertente. Che si vinca o che si perda, una partita all’insegna del fancazzismo è sempre un’occasione buona per offendersi malamente, chiamare in causa santi e parenti, e divertirsi come bambini davanti a una scatola di LEGO (ma con una lingua più allenata). Solo una cosa mi è mancata in questa breve avventura di una notte… le offese in russo. Vabbè, sarà per la prossima volta.
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