Parlare di Assassin’s Creed è diventato sempre più difficile: siamo infatti di fronte ad una serie che ha dalla sua una così vasta selezione di titoli che è diventato realmente problematico giudicare un nuovo capitolo per la sua bontà come gioco a sé piuttosto che come un Assassin’s Creed, che per forza di cose deve fare i conti con un lontano passato sicuramente più convincente e solido rispetto a quanto visto negli ultimi anni. Unity in questo senso ha vanificato molti dei tentativi di Ubisoft di dare alla serie una “seconda giovinezza”, costellato com’era da problematiche tecniche e da una componente narrativa sempre più flebile.
In questo senso il lavoro di Syndicate e dei gemelli Frye è piuttosto complesso: proporre un titolo convincente, funzionante e che possa ispirare una ritrovata fiducia nel pubblico di fan, diventato forse troppo esigente per poter essere accontentato da Ubisoft nella sua totalità, come dimostra il calo di vendite avuto in Inghilterra rispetto allo scorso anno. Messa da parte la parentesi old-gen ed eventuali modalità collaterali, Ubisoft Montreal è stata chiamata in causa per occuparsi di un titolo tutto incentrato sul single player. Avrà portato i risultati sperati?
L’incentrarsi solamente su una componente single player è senza dubbio una scelta particolare: da un lato hai un team che può focalizzarsi solamente su un aspetto, evitando integrazioni che possano minarne gli aspetti tecnici e cercando di proporre qualcosa che possa essere rifinita nei giusti tempi (uscire “bene” con una serie annuale è un bel problema); dall’altro fai un passo indietro, perché vai ad eliminare un aspetto che nel bene o nel male ha fatto parte della serie da un bel po’ di capitoli.
Difficile stimare il pensiero del pubblico di fronte a tutto ciò, ma una cosa è certa: se Syndicate funziona e convince è anche per la totale assenza di orpelli e di modalità alternative che vanno ad “invadere” uno spazio ben preciso, anche quando assolutamente non necessario. Con questo presupposto veniamo chiamati a percorrere le strade della Londra Vittoriana del 1868, in compagnia di due “assassini” non proprio ordinari. Jacob Frye e Evie Frye sono infatti impegnati in due missioni ben distinte, perfettamente integrate l’una nell’altra: da un lato Jacob tenta la scalata al potere per eliminare Starrick, un individuo poco raccomandabile che ha soggiogato Londra sotto il suo pugno; dall’altro abbiamo Evie, impegnata a recuperare un frutto dell’eden che potrebbe fare da ago della bilancia.
La trama, nel contesto globale della serie, è assolutamente ordinaria ed anzi non riesce a stupire più di tanto: la narrazione scorre infatti quasi per inerzia, e mancano dei momenti davvero esaltanti o dei colpi di scena realmente significativi che permettano al titolo di elevarsi rispetto agli ultimi capitoli. Cosa c’è di riuscito quindi, nell’intreccio di Jacob ed Evie? Be’, proprio loro: i due gemelli sono senza ombra di dubbio uno degli aspetti più riusciti dell’avventura londinese, e si presentano fin dalla prima al giocatore con un carisma ed una “verve” assolutamente incalzante e piacevole. Abbiamo Jacob, impulsivo e violento, ed Evie, saggia e metodica ma assolutamente letale. Il duo sarà spesso insieme, e non mancheranno di scambiarsi battute e frecciatine che vanno ad alimentare un’alchimia piuttosto riuscita. In questo senso aiuta anche la struttura stessa del titolo, che cipermette di alternare i due personaggi più o meno a nostro piacimento: ognuno di loro avrà delle missioni ben distine però, e ciò ha permesso (per fortuna) agli sviluppatori di non trascurare un personaggio piuttosto che un altro, riuscendo a sviluppare maggiormente l’indole e lo stile di entrambi. Peccato che ci sia ben poco di memorabile oltre a questo.
Dal 3° capitolo in poi, c’è un altro elemento che ha lasciato perplessi gli appassionati della secolare lotta tra Assassini e Templari: la progressione della trama in epoca moderna. C’è? Viene proposta in qualche forma? Pur senza scadere in inutili spoiler la riposta è si, ma non in modo convenzionale. La storia legata ai tempi moderni, alla Abstergo e alla lotta continua con i pochi Assassini rimasti viene proposta a fasi alterne sotto forma di filmati in computer grafica, di breve durata che, in un modo o nell’altro portano avanti quello specifico arco narrativo.
Se siete invece voraci di conoscere nuovi aspetti legati alla prima civilizzazione, c’è una breve ma significativa sequenza (ben nascosta tra l’altro) che vi permetterà di farvi delle idee sul futuro della serie, o quantomeno su come potrà evolversi questo oramai bizzarro teatrino di meta-narrativa e di epoche storiche ben poco collegate tra loro. Assassin’s Creed Syndicate ce la mette tutta per offrire al giocatore un’esperienza completa anche sotto il profilo narrativo, ma deve suo malgrado fare i conti con una corda che è stata tirata fin troppo, e che rischia di spezzarsi da un momento all’altro.
Corda che, non a caso, è stata tirata all’inverosimile soprattutto per quanto concerne il gameplay vero e proprio, che anche in questa iterazione tenta una strada diversa, limitandosi però al compitino, e senza cercare di svecchiare davvero o di aggiungere alla formula qualcosa che cambi davvero le carte in tavola. Al di là del free running, completamente mutuato da Unity, Syndicate propone un nuovo sistema di combattimento basato sui contrattacchi e sull’interruzione della guardia: come Batman Arkham prima di lui, tutto si riduce ad una metodica pressione di tasti con il giusto tempismo, spettacolarizzata da esecuzioni speciali e da “combo” che rendono il tutto più esaltante e violento, quasi a nascondere la semplicità del sistema. I combattimenti funzionano, sia chiaro, ma insieme ad un IA (che per fortuna attacca in gruppo) non proprio esaltante va a proporre un quadro a cui abbiamo assistito fin troppe volte, e che arrivati a questo punto mostra tutti i suoi limiti e la sua stanchezza. Integrate nel sistema abbiamo però alcuni elementi che arricchiscono quantomeno l’esperienza, dall’equipaggiamento estremamente vario, che permette di sperimentare con alcune statistiche dando al giocatore la possibilità di elaborare e arricchire lo stile di gioco da lui preferito.
In questo senso è estremamente funzionale il sistema di livelli e abilità, che permette di guadagnare ogni 1000 punti esperienza un punto da spendere nell’acquisto di abilità specifiche: Combattimento, Furtività e Ecosistema, le quali offrono un approccio differente ad entrambi i personaggi e permettono quindi di elaborare strategie differenti a seconda di chi si sta utilizzando. Mettiamo caso che utilizziate Evie per una determinata missione, specializzata com’è nella furtività sarà il caso di approcciarsi all’obiettivo in questo modo, evitando il confronto diretto con i nemici e oculando per bene i nostri spostamenti. Jacob, d’altro canto, è un personaggio meno votato alla furtività e più al combattimento: vista la sua alta resistenza e i suoi danni maggiori non sarà un problema eliminare un gruppo di guardie in caso venissimo scoperti. Syndicate gioca molto su queste differenze, e la possibilità di alternare i due personaggi (o quantomeno di utilizzarli in varie situazioni) è un toccasana per l’esperienza senza ombra di dubbio.
Toccasana è anche il rampino, la cui bontà ci aveva già colpito nella nostra prova alla Gamescom 2015 di Colonia ma che, in questa sede, ci ha davvero entusiasmato. Non si tratta di una rivoluzione, né di un elemento che eleva il gioco rispetto agli episodi che hanno caratterizzato il passato della serie. Semplicemente, funziona. Tramite la pressione del tasto L1 potremo infatti aggrapparci alle sporgenze di palazzi, case e strutture e spostarci quindi da un posto sopraelevato ad uno più basso, o viceversa. Durante una fuga per le strade potremo correre verso un palazzo e alla semplice pressione del tasto raggiungerne la cima in pochi secondi. Questo piccolo arnese è, nella sua semplicità, quasi un game changer: permette di approcciarsi alle situazioni a cui siamo grossomodo abituati in modi differenti, ed aumenta la mobilità del nostro personaggio in modo piuttosto significativo.
Promosso? Sì, perché al di là di questo la novità si esaurisce in fretta. Siamo infatti di fronte ad una Londra Vittoriana divisa in quartieri (Westminster, City of London, etc.) che andranno liberati dal controllo della banda rivale a suon di attività secondarie. Liberare un quartiere permette l’espansione dei Rooks, la nostra banda, e la sostanziale scomparsa della banda rivale dalla strada. Rooks che, come per i nostri protagonisti, potranno essere migliorati spendendo denaro e risorse, ottenibili negli scrigni o tramite le odiate microtransazioni, legate proprio a questo aspetto dell’esperienza o, ad esempio, ai punti esperienza.
Abbiamo missioni secondarie legate ai personaggi storici (Dickens, Darwin, Bell e molti altri) e una serie di attività collaterali legate alle corse in carrozza o alle lotte clandestine. La struttura open world di Syndicate, il suo funzionamento e la sua esplorazione funziona esattamente come in passato, e come in Unity per utilizzare un esempio recente. L’unica differenza strutturale è legata alla conformazione cittadina, che dato spazio a strade e al mezzo che la faceva da padrone nel 1868: la carrozza trainata da cavalli. Dopotutto è ancora presto per il motore a scoppio, ma la sensazione di trovarsi di fronte ad una strana copia di GTA è spesso preponderante.
Queste si guidano infatti nel modo più classico, e vengono utilizzate spesso come strumento narrativo, con scambi di battute che avvengono mentre ci accingiamo a raggiungere l’obiettivo. A differenza di Unity, manca quell’enorme massa di persone accalcata in più punti, e si va a costruire così una città verosimile e che tramite la sua struttura riesce, in qualche modo, a dare nuova linfa all’esperienza. In Syndicate ci si sposta un po’ come ci pare, e non è un elemento da sottovalutare.
Una delle più grandi, e gravi, problematiche di Unity era senza dubbio la scarsa ottimizzazione e gli onnipresenti bug e glitch che affliggevano l’esperienza. Al di là dell’impatto generale, non fu proprio un bel biglietto da visita per Ubisoft, che uscì sulle nuove console con un titolo controverso, e di cui paga ancora oggi le conseguenze. Partendo da questo presupposto, è chiaro che Syndicate doveva presentarsi al pubblico in modo eccelso: frame rate, bug e la stessa cura grafica sarebbero stati sotto gli occhi di tutti, pronti ad esprimere giudizi negativi se si fosse ripetuto il disastro di Unity.
Per fortuna, la dolorosa coltellata inflitta dal pubblico al publisher francese lo scorso anno ha dato i suoi frutti. Assassin’s Creed Syndicate, pur sacrificando qualcosa in termini di definizione (i volti dei personaggi sono una spanna sotto Unity) e qualità generale, riesce ad offrire un’esperienza fluida, senza mezzi termini. Al netto di qualche compenetrazione poligonale di troppo, durante le nostre 15 ore di gioco non abbiamo riscontrato grossi problemi, ed anzi è stato un piacere poter finalmente giocare senza vedere il frame rate crollare rovinosamente.
In conclusione…
Assassin’s Creed Syndicate è un titolo senza infamia e senza lode, ma è senza dubbio uno dei più convincenti se rapportato al recente passato della serie Ubisoft. Superati i problemi tecnologici di Unity e i suoi aspetti meno riusciti, la Londra vittoriana di Ubisoft Montreal colpisce ed intrattiene grazie a due protagonisti carismatici, e ad un cast comunque interessante.
Non riesce a convincere a pieno in sostanza, ma grazie al rampino, al combat system e ad una rinnovata struttura cittadina puntare all’obiettivo diventa almeno una pratica divertente e per niente traumatica. Resta evidente che, se Ubisoft vorrà spremere questa gallina dalle uova d’oro ancora per molto, dovrà necessariamente cambiare le carte in tavola nel modo più drastico possibile. Syndicate, per quanto sia un esempio positivo, è la più chiara dimostrazione che Assassini e Templari, che appartengano al passato o al futuro, hanno sempre meno da dire.
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