Cime Tempestose
Una delle cose che, parlando di videogiochi, si sente più spesso è il presunto ammorbamento della difficoltà nei titoli odierni rispetto al passato. “Una volta sì che i giochi erano difficili“, “ci è rimasto solo Dark Souls” o “a livello normale sono capaci tutti” sono diventate frasi all’ordine del giorno, dei veri e propri assiomi proferiti con assoluta certezza anche da chi di generazioni di console ne ha a malapena viste tre. Il che magari è anche vero – e non a caso una delle accezioni dell’espressione “old school” si riferisce proprio a questo: poi però finisce che ti ritrovi a sbattere il muso con un titolo indipendente, un walking simulator che arriva dalla Polonia e risponde al nome di Kholat. Avete capito bene, un walking simulator: uno di quei generi apparsi da una ristretta manciata d’anni e, vuoi per l’atmosfera, vuoi per la narrazione, pur senza tradire le proprie origini indipendenti sono divenuti un fenomeno di massa. Dear Esther, The Vanishing of Ethan Carter o Firewatch, in effetti, ce li ricordiamo un po’ tutti.
Kholat è un walking simulator un po’ sui generis, un’avventura dalle tinte horror sulle cime innevate dei poco ospitali Monti Urali che, tra un passaggio e l’altro, stringe pure l’occhiolino al vecchio Slender. Ma più di ogni altra cosa, è un titolo bastardo e punitivo come pochi, in grado di mettere letteralmente in ginocchio il giocatore e farlo sentire completamente disperso, in balia dei peggiori eventi. Sì, perché muoversi in mezzo alla neve senza un apparente punto di riferimento, armati soltanto di mappa, bussola e una torcia per l’oscurità, non è propriamente una passeggiata. Specie quando non c’è nessuno a suggerirti dove di trovi.
Kholat
Piattaforma: PS4, PC
Genere: Horror, Walking Simulator
Sviluppatore: IMGN.PRO
Publisher: IMGN.PRO
Giocatori: 1
Online: Assente
Lingua: Testi in italiano, Audio in Inglese/Polacco
Il background narrativo di Kholat trae origini da una triste storia vera. Nel lontano febbraio del 1959, un gruppetto di nove alpinisti esperti sparì improvvisamente, dopo aver raggiunto il passo di Djatlov. A secco di informazioni per intere giornate, i familiari degli escursionisti organizzarono delle squadre di ricerca sugli Urali, procedendo a tappeto dall’ultima posizione nota (per l’appunto Djatlov) alla ricerca di tracce o indizi: le condizioni climatiche e la particolare asperità della location di montagna davano adito a poche speranze, e nessuno si stupì quando, già nei primi giorni di ricerca, i primi copri affiorarono dal ghiaccio. A rendere tutto più misterioso contribuirono alcunescoperte successive, alcune delle quali agghiaccianti: la tenda che ospitava il team fu ritrovata lacerata dall’interno, come se fosse stata volutamente tagliata per sfuggire velocemente da qualcosa. Alcuni corpi furono ritrovati con gravi lesioni interne e fratture craniche mortali, nonostante i corpi non presentassero al di fuori alcuna condizione anomala. Gli ultimi corpi, rinvenuti poche settimane dopo, furono invece ritrovati solo con indumenti intimi nei pressi di un enorme albero: fattore, quest’ultimo, che alimentò la pista della fuga. Ma da chi o da che cosa, la storia non ha saputo rispondere. IMGN.PRO si insinua dunque a questo punto, offrendo una ricostruzione “alternativa” degli eventi di quella triste notte attraverso gli occhi di un uomo (o presunto tale), su cui non esiste la benché minima informazione. Perché si trovi a Djatlov, cosa stia cercando o cosa l’abbia condotto in quel posto non ci è dato di sapere: ma parlando di misteri, questo è solo l’inizio.
Se IMGN.PRO voleva farci sentire smarriti o trasmettere un assaggio di quelle sensazioni che i nove sfortunati escursionisti devono aver provato prima degli istanti fatali, il risultato è garantito
In apertura di recensione, abbiamo detto come Kholat sia un gioco particolarmente ostico. Non tanto per la presenza di combattimenti complicati o di nemici duri da abbattere: il titolo d’esordio di IMGN.PRO gioca a destabilizzare, ad innervosire progressivamente chi stringe il pad tra le mani e, pian piano, portarlo alla frustrazione, all’angoscia, a sentirsi letteralmente perso. E lo fa con una spietatezza inedita nelle attuali produzioni: cosa potrebbe essere peggiore di trovarsi catapultati nel mezzo di un’enorme area di montagna coperta dalla neve e, una volta aperta la mappa, scoprire che non esiste nemmeno l’ombra di un’indicazione sulla nostra posizione corrente? Contrariamente a quanto accade di solito, in Kholat la posizione del giocatore all’interno dell’area di gioco è quasi costantemente sconosciuta. Potremo intuirla, osservando con attenzione la mappa e sfruttando in modo intelligente l’inseparabile bussola, ma a meno di non sbattere il muso in aree specifiche (fondamentali per proseguire nella “narrazione”) o nei rarissimi save points disponibili, il giocatore sarà un puntino invisibile in balia degli eventi.
Se IMGN.PRO voleva farci sentire smarriti o, in minima parte, trasmettere un assaggio di quelle sensazioni che i nove sfortunati escursionisti devono aver provato prima degli istanti fatali, il risultato è garantito: in Kholat vi ritroverete a vagare per centinaia e centinaia di metri, convinti di procedere verso la direzione corretta per poi scoprire soltanto dopo decine di minuti il vostro errore. Seguire i sentieri “sulla carta” mantenendo l’orientamento corretto è facile solo a parole, vista soprattutto – almeno in fase iniziale – la pericolosa somiglianza degli ambienti che andremo ad incontrare. Questo, fermo restante che sulla mappa troveremo indicate alcune coordinate specifiche da visitare, sparse in lungo e in largo nella zone del passo di Djatlov. Fortunatamente, in questo spietato gioco al contrario sarà la stessa mappa a fornirci le coordinate Nord e Est di ciascun suo punto, semplicemente spostandoci sopra il cursore: sarà tuttavia impossibile mettere un marker o salvare in qualche modo la destinazione. Si studia la mappa, si gioca con la bussola e si parte. Sperando che la direzione sia corretta, che quella curva ad ovest nasconda un sentiero per il nord, che non vi siano imprevisti lungo il cammino.
La difficilissima componente esplorativa va a braccetto con un sistema di salvataggio ancora più spietato: non sarà infatti possibile effettuare un solo salvataggio manuale, ritrovandosi dunque totalmente dipendenti dalle routine automatiche del titolo polacco. Routine che si avvieranno ogni qual volta troveremo un documento in una delle posizioni indicate dalla mappa o, quando la fortuna ci sorride, dopo aver rinvenuto una delle circa dieci tende di salvataggio, che fungono da hot spot per il fast travel all’interno della zona. Da queste poche righe, dovreste intuire già un passaggio critico di Kholat: è possibile, anzi dannatamente probabile, che perderete intere mezzore della vostra vita alla ricerca di quel famigerato punto, vi perderete, tornerete sui vostri passi, schiverete per miracolo alcune insidiose trappole e, quando sarete ad un passo dal successo, vi ritroverete schiacciati da una frana o da imprevisti del genere. Partirà un lungo caricamento, terminato il quale ci si ritrova di fronte all’ultima posizione “sicura” – quella che avete visitato grossomodo quaranta minuti prima. E a quel punto le alternative sono due: mandare tutto al diavolo e maledire il vostro amore per i titoli horror, oppure mandar giù il rospo, consultare per l’ennesima volta bussola e mappa e ricominciare a trottare.
Le difficoltà, comunque, non sono ancora terminate. Di tanto in tanto, nel corso dell’escursione, capiterà di sentirsi come seguiti e osservati da qualcuno, mosso da intenzioni non proprio buonissime. Se girando la telecamera doveste scorgere una sagoma indistinta di color arancione muoversi in vostra direzione, l’unico consiglio che vi possiamo dare è quello di correre a perdifiato in direzione opposta. Tenetelo bene a mente nel caso l’ultimo salvataggio sia un ricordo appartenente al passato, visto che farsi anche solo sfiorare da quella sagoma sarà sinonimo di reload dall’ultimo checkpoint. Lo stesso discorso vale nel caso della famigerata nebbia arancione, che appare di colpo dagli anfratti più impensabili e lascia pochi secondi di scampo, prima di mandare il nostro alter ego all’obitorio di montagna. A ben vedere, se vedete qualcosa di arancione muoversi verso di voi, iniziate a correre: ricordate però che il nostro tacito escursionista ha una resistenza limitata, e potrà correre per brevi tratti – destinati a calare ulteriormente qualora la neve sia più alta. Abusare della corsa non solo renderà difficoltosa la vista, ma rallenta (e in alcuni casi ferma temporaneamente) il nostro personaggio, bisognoso d’ossigeno per procedere. Immaginate d’essere seguiti dalla “creatura” di cui sopra proprio quando il fiato inizia a farsi corto…
Kholat è un gioco che parte da un’intuizione geniale, per quanto punitiva, ma che tende pericolosamente alfrustrante. Le prime battute di gioco sono un autentico incubo, questo è fuori discussione, ma anche dopo un paio d’ore di escursione quando, miracolosamente, alcuni “scorci” iniziano ad essere familiari e permettono di orientarsi più velocemente, il rischio di vedersi cancellare lunghe progressioni di gioco non salvate rimane troppo elevato. L’esperienza aiuta, chiaro, e anche solo dopo aver smarcato una buona metà della dozzina di punti di interesse suggeriti dalla mappa vi ritroverete a camminare con molta più attenzione di prima, a ponderare ogni passo, a valutare se valga la pena accendere la torcia o mettersi a correre. Tuttavia l’errore e l’imprevisto sono dietro ogni angolo: e quando non ci si mettono entità arancioni, ci pensa la natura stessa con crepacci sagacemente nascosti dalla vegetazione o spuntoni letali al solo sguardo. Kholat, insomma, è un walking simulator in cui, che vi piaccia o no, di walking da fare ce ne sarà anche troppo: peccato che, troppe volte, basti un semplice gradino di 15 centimetri o un recinto semichiuso ad ostacolare l’incedere del nostro alter ego, costretto quindi a cercare un percorso differente. Se a tutto questo aggiungiamo la sua totale incapacità di saltare, viene naturale chiedersi cosa faccia a migliaia di metri d’altezza un individuo del genere.
Da un punto di vista tecnologico, Kholat su PS4 è particolarmente piacevole da guardare. Il titolo polacco è il primo a sfruttare la potenza del settimo core dell’ammiraglia PlayStation, e i risultati si vedono senza fatica nel confronto tra le due versioni del titolo, PS4 e PC: la seconda è ancora migliore della controparte console, ma il gap che intercorre tende ad assottigliarsi in modo evidente. Processori a parte, Kholat offre squarci di montagna ispirati e memorabili, nonostante gran parte degli ambienti finisca inesorabilmente per assomigliarsi, e regala un quadretto fotorealistico tanto suggestivo quanto inquietante: le cime innevate degli alberi sferzate dal vento, che sembrano muoversi minacciose al nostro passare, regalano sempre delle emozioni forti – specie al calare dell’oscurità. Dove il titolo eccelle, tuttavia, è nel comparto audio: ottimi gli effetti sonori, strepitose le musiche che accompagnano il nostro girovagare – per gran parte del tempo senza meta. Impossibile non citare la sempre ottima Mary Elizabeth McGlynn, storica voce nelle OST di Silent Hill, che in Kholat regala un’ouverture da pelle d’oca. Per essere un titolo indipendente di un giovanissimo studio dell’est, c’è da rimanere stupiti.
Il trailer di lancio di Kholat su PS4
In conclusione…
Kholat è un titolo coraggioso, non c’è dubbio. Un walking simulator dalle tinte horror, che ispirandosi apertamente da una triste pagina della storia reinventa un’avventura dai tratti cupi legata a doppio mandato alle fortune di Slender: The Eight Pages. Proprio con quest’ultimo condivide parte della struttura di gioco, essenzialmente il ritrovamento di una dozzina di aree di interesse contenenti documenti utili per apprendere cosa sia successo negli ultimi istanti di vita degli sfortunati esploratori. Tuttavia,IMGN.PRO amplifica in maniera sensibile la componente esplorativa, rendendo l’area di giocoestremamente più vasta e pericolosa. E se nel celebre titolo virale l’assenza di una mappa era giustificata da un’area molto limitata, la scelta dello sviluppatore polacco di non svelare la posizione del giocatore, per quanto affascinante, rischia di “giocarsi” una gran fetta di pubblico sin dalle battute iniziali, le più critiche, dove la frustrazione e l’incapacità di orientarsi si fanno sentire maggiormente.
Kholat è difficile e punitivo, frustrante come pochi, dalla narrativa criptica praticamente sino ai titoli di coda e, non dimentichiamolo, caratterizzato da un sistema di salvataggio così impietoso da trovare difficilmente riscontro da qui a parecchi anni nel passato. Potrebbero essere problemi “relativi” per tutti quei giocatori che, dopo ore ed ore di gioco, hanno imparato a conoscere ogni centimetro del passo di Djatlov e, nonostante il caro prezzo di un errore, vogliano comunque vivere un’esperienza tanto difficile quanto intensa. Si tratterebbe comunque di una minima parte di pubblico, che finirebbe comunque annoiata da una serie di mancati accorgimenti e da scelte forse ancor più opinabili delle precedenti, come l’impossibilità di saltare al di sopra di recinti o piattaforme basse. Kholat, in definitiva, è un buon punto di partenza per il piccolo sviluppatore polacco. Forse più ardito che coraggioso, incapace di trovare il giusto punto di equilibrio e, proprio per questo, spintosi troppo oltre il territorio della sperimentazione: un titolo per pochi coraggiosi, insomma. Ma per andare a caccia di “fantasmi” sulle sommità disabitate degli Urali, a ben vedere, di fegato ne serve parecchio.
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