17 Giu 2016

The Last Guardian – Anteprima E3 2016

Los Angeles – Pare incredibile, a distanza di tanto tempo, ritrovarsi di fronte ad una demo station di The Last Guardian. Sarà che col titolo di Fumito Ueda, nell’ultimo (quasi) decennio, abbiamo imparato a convivere a suon di rumor, smentite, riconferme e ulteriori smentite. Sarà perché, nel cuore di chi vi scrive, rimangono ancora tracce indelebili e difficilmente dimenticabili di Ico e Shadow of the Colossus, senza dubbio due delle IP più incredibili della generazione PlayStation 2. Sarà anche perché, quando l’hype e le aspettative raggiungono il livello massimo e ti ritrovi davanti all’oggetto (videoludico) del tuo desiderio, non solo le gambe ti iniziano a tremare, ma hai quasi paura a stringere il pad tra le mani per addentrarti in quell’universo che tanto agogni. Verrebbe quasi da dire, citando impunemente Wilde, che l’attesa del piacere è essa stessa piacere: non fosse che dall’annuncio ufficiale all’E3 dello scorso anno ad oggi pare passata un’eternità, durante la quale poco – per non dire nulla – è trapelato sull’opera conclusiva del trittico di Ueda.

L’avete capito, The Last Guardian lo stavamo aspettando come raramente si aspetta un videogioco, per quanto magnificente esso possa essere: e in occasione di questo E3 2016, finalmente, abbiamo potuto trascorrere quasi un’ora in compagnia di quel giovane ragazzino senza nome e della creatura simile ad un grifone, che risponde al nome di Trico. Un’ora volata, divorata dalla nostra cupidigia nel volerne sapere e vedere di più: perché c’è poco da fare, se nell’istante in cui varchi l’uscio della Permanent Room di Sony l’unica cosa che vorresti fare è tornare indietro, afferrare il primo pad libero e ricominciare nuovamente l’incipit di quest’onirica avventura, forse significa davvero qualcosa. Che The Last Guardian sta arrivando, e che, nonostante tutto, valeva davvero la pena attenderlo così a lungo.

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La demo odierna ci ha visti percorrere i primissimi quarantacinque minuti di gioco: guidati da una voce fuori campo – analoga a quella che guidava Wander in Shadow of the Colossus – ci ritroviamo nei panni di un innocuo ragazzino, svegliatosi all’improvviso in un luogo a lui sconosciuto, lo stesso che più volte aveva sognato. Nel suo corpo sono apparsi strani segni e decorazioni, dei quali non sa darsi una spiegazione ma che sembrano legati a doppia mandata a quel luogo al di fuori dello spazio e del tempo in cui, suo malgrado, si trova ora. Tempo di rialzarsi dal suolo e, alle sue spalle, c’è lui, Trico, la famigerata bestia mangia uomini: ferita, con enormi lance conficcate nelle ali e nel tronco, la creatura simile ad un grifone giace sofferente al suolo, incatenata al punto da non potersi muovere. Una situazione non delle migliori per il piccolo protagonista, poco più di una formica se paragonata alle dimensioni del prigioniero: le catene tuttavia sono solide, e unite al dolore che essa prova permettono al ragazzino di avvicinarsi.

Ed è da questo punto che inizia la vera magia di The Last Guardian. Trico scalpita, per quanto le ferite glielo permettano, guarda il ragazzino con degli occhi rossi iniettati di rabbia e gli ringhia addosso, per mantenerlo a distanza. Non si fida del piccolo, sente nel suo DNA che si tratta di un nemico, di una creatura che non merita la sua fiducia, Ringhia ancora una volta, protende il muso cercando di spaventarlo con suoni minacciosi. Ma le ferite si fanno sentire, e approfittando di una debolezza di Trico il piccolo lo aggira, si arrampica sulla sua schiena e, non senza un minimo di fatica, estrae una delle due lance conficcate. Un latrato assordante, la creatura si dimena e scaraventa il giovane protagonista contro la parete, facendogli perdere i sensi.

Dissolvenza, una luce che filtra, un’immagine sbiadita dalla luce in lontananza… Il nostro alter ego si sveglia, scosso dal colpo ma ancora tutto intero, e deciso a completare quanto iniziato prima si dirige verso la seconda lancia. Trico è ancora lì, diffidente, probabilmente impaurito, minaccioso come prima verso la piccola creatura che cerca di avvicinarsi: ma è stanco, indebolito, e ancora una volta mostra il fianco al ragazzino che, sorprendendolo dalle spalle, raggiunge l’ala trafitta ed estrae anche il secondo dardo. La bestia si dimena urlando in modo assordante, i suoi occhi sono rossi come il sangue e il ragazzino, che resiste quanto può, si ritrova nuovamente scaraventato al suolo, privo di sensi. Ma qualcosa sta cambiando, in quella grotta nascosta chissà dove: al suo risveglio Trico è lì, il suo naso annusa l’inaspettata creatura e lo “punzecchia”, quasi a volerlo svegliare. Si respira ancora diffidenza, un’ostilità ancestrale che pare perdersi nei millenni: ma gli occhi di Trico non sono più iniettati, e osservano il suo salvatore con tutta un’altra luce: e questo è l’inizio di un’amicizia incredibile, di un rapporto simbiotico tra un cucciolo d’uomo prigioniero di un mondo troppo ostile per lui e di Trico, un mostro solo nell’apparenza capace di abbattere secolari barriere d’odio e, pian piano, di trasformarsi in un fedele compagno inseparabile.

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Ciò che traspare dai minuti successivi di The Last Guardian è esattamente questo: la creazione di un’amicizia, di un rapporto di fedeltà totale e incondizionato che permette a due creature così diverse tra loro di sopravvivere, una grazie all’altra. Ma si tratta di un processo graduale, che va coltivato lentamente: dovremo dar da mangiare a Trico, portandogli dei barili di cibo disseminanti in quelle architetture così memorabili dal chiaro sapore di Ico. Sarà però necessario dare alla bestia i propri spazi, allontanandoci quel tanto che basta per far sì che possa mangiare tranquillamente: qualcosa sì è cambiato, ma la fiducia è una conquista che si ottiene per piccole tappe. Ma quando Trico risponde al nostro richiamo, avvicinandosi a noi con quel fare ancora quasi distratto da strappare un sorriso, è impossibile non avvertire una stretta al cuore. Sarà anche un cacciatore di uomini, ma quella creatura enorme, minuto dopo minuto, finisce per trasformarsi in un cucciolo bisognoso di attenzioni, che scuote la testa quando accidentalmente sfioriamo le sue orecchie durante le arrampicate, che ha paura a saltare in acqua da una rupe nemmeno troppo alta e deve essere accompagnato per farlo e che, quando sembra essere giunto il momento del commiato, spicca il miglior salto che riesce a fare (essendo le sue ali ferite) per raggiungere il nuovo piccolo amico. Un minuscolo mucchietto d’ossa con poca carne attaccata e nemmeno una piuma addosso, ma un amico.

Questo, almeno secondo chi vi scrive, è The Last Guardian: o, forse è il caso di dirlo, il messaggio che 45 minuti abbondanti di provato hanno portato in dono. A nostro modo di vedere non ha nemmeno troppo senso spendere troppe parole per contestualizzare la tipologia di gioco – visto e considerato che, quando si parla di Fumito Ueda, qualsiasi catalogazione finisce per essere irrimediabilmente stretta, laddove l’aspetto più dirompente del titolo è senza dubbio la sua forte carica affettiva ed emozionale. Una carica che buca lo schermo e che, nonostante alcuni difetti che ora andremo ad elencare, riesce ad incollare il giocatore davanti allo schermo in religioso silenzio.

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Alla luce di tutto questo, capirete da soli quanto sia difficile mantenere un atteggiamento distaccato di fronte al terzo tassello di questo trittico di capolavori. Perché purtroppo è vero, se The Last Guardian si conferma un assoluto capolavoro in quanto a capacità di stupire, di commuovere e di regalare emozioni forti al giocatore, dal punto di vista tecnologico il titolo di Ueda scricchiola in modo un po’ troppo evidente in un paio di circostanze. Il sistema di controllo, ad esempio, non brilla per comodità o intuitività: la scelta di associare il salto al tasto triangolo non è certo un peccato mortale, ma in talune circostanze l’abitudine gioca brutti scherzi. Le animazioni del protagonista appaiono datate, e molto spesso richiedono al giocatore una precisione millimetrica per completare un’azione all’apparenza banale: arrampicarsi su una catena, ad esempio, ci è costato un paio di tentativi di salto in verticale a vuoto. Abbiamo cercato di fare un passo avanti, per avvicinarci ulteriormente, ma ci siamo ritrovati ben oltre la suddetta catena, col risultato di doverci girare e rifare da capo. Lo stesso discorso vale per le arrampicate, dove è richiesta non solo una precisione chirurgica, ma anche il corretto posizionamento dell’alter ego rispetto alla sporgenza: in tutti questi casi, va sottolineato, andrà tenuto premuto il tasto contestuale dell’arrampicata (il dorsale R1) proprio come accadeva in SotC.

I problemi più evidenti, tuttavia, li abbiamo riscontrati proprio quando ci era richiesto di arrampicarsi su Trico. Il nostro compagno di viaggio, le cui movenze canine e feline sono riproposte in modo strabiliante, ha l’insana tendenza di agitarsi non appena vengano afferrate le sue piume e, in talune occorrenze, a disinteressarsi delle azioni che dobbiamo compiere, nonostante i nostri richiami. Sarà possibile obbligare Trico ad emettere anche un potente raggio rosso, indicandogli il bersaglio grazie al riflesso di uno scudo che recupereremo in una delle location iniziali del gioco: sulla reattività dell’animale nulla da dire, anche se l’assenza totale di un informazione su schermo o di un suggerimento su dove colpire rischia di farsi sentire. Complice in sistema di telecamere non precisissimo, si rischia spesso di cadere in angoli morti o di ritrovarsi in un punto del corpo della bestia da cui sia impossibile procedere. Nel corso della prova, tutti i giornalisti invitati hanno riscontrato i medesimi problemi al control schema, trovandosi del tutto bloccati in alcuni punti. Un problema non certo marginale per un titolo previsto per il prossimo 25 Ottobre, ma che speriamo possa essere corretto (o quantomeno limato) entro i tempi necessari.

Valeva davvero la pena attenderlo così a lungo.

Abbiamo visto davvero poco di The Last Guardian, in questo E3 2016: perché fidatevi, 45 minuti o poco più non sono nulla di fronte a quanto l’ultima opera di Fumito Ueda avrà da dire il prossimo Ottobre. Un titolo unico, come unici lo erano i suoi predecessori, caratterizzato da uno stile artistico peculiare che sicuramente farà storcere il naso a molti per un look troppo stagionato, ma che saprà regalare a chiunque sappia cogliere oltre le semplici apparenze degli scorci indimenticabili, quelle istantanee oniriche e sospese nel tempo dove le torri di enormi castelli giocano nel cielo con le nuvole. Un titolo sicuramente non per tutti, questo The Last Guardian, rivolto a chiunque abbia ancora la forza o la volontà di emozionarsi con una banale storia di amicizia, di affetto e di reciproca fiducia: un titolo destinato a colpire più per i messaggi inconsci che trasmette, a smuovere qualche farfalla nello stomaco e qualche lacrima in più nonostante alcune falle, per ora evidenti, nelle fondamenta della giocabilità.

Nella speranza che i mesi a venire siano forieri di sviluppi in tal direzione, quest’anno siamo usciti dalla Permanent Room di Sony in modo diverso. Felici, felicissimi, ma allo stesso tempo con quella malinconia e commozione che è tipica dell’operato di Fumito Ueda. E con la consapevolezza che, questa volta, The Last Guardian è lì ad aspettarci. Quasi 10 anni sono passati, e siamo ancora emozionati come il primo giorno.

E3 - 2016 - Anteprime