Colonia – In ogni fiera, si sa, ci sono delle sorprese che non ti aspetti. Alcune che preferiresti dimenticare nell’arco di 15 minuti e vorresti non aver mai visto; altre che, al contrario, ti galvanizzano come un adolescente e rendono la tua attesa, da lì ad una fantomatica primavera del 2017, ai limiti dello snervante. Un po’ come è successo al sottoscritto con Get Even, titolo dei ragazzi di The Farm 51 previsto proprio per la prima stagione dell’anno venturo su PC, PS4 e Xbox One. I più attenti, di certo, ricorderanno il nome del piccolo studio polacco per Chernobyl VR, sorprendente gita in realtà virtuale in quel che rimane della tristemente celebre città fantasma al di là dei monti Urali; e, se davvero attenti, ricorderanno anche che di Get Even se n’era già parlato un paio d’anni fa, quando lo studio presentò al mondo uno sparatutto fortemente ispirato a F.E.A.R., dalle tinte claustrofobiche e dichiaratamente viranti all’horror, poi sparito improvvisamente dai riflettori.
Nel corso di questa gamescom 2016, a sorpresa, Get Even è tornato a far parlare di sé. Non più un titolo indipendente come nella sua gestazione iniziale, ma un prodotto con tutti gli attributi al punto giusto, stavolta sotto l’egida benevola di Bandai Namco – che ne ha viste le chiare possibilità. Una storia complessa e incline al colpo di scena, che attinge a piene mani da un bacino collettore, tanto videoludico quanto cinematografico, che potremmo riassumere col termine inglese “weird”: l’assurdo, l’incomprensibile, l’oscuro che sembra diradarsi verso una soluzione preliminare che, in realtà, è solo il lasciapassare per un mistero ancora più fitto e ingarbugliato. Uno stile che ricorda il Lynch dei tempi migliori, con elementi quasi rubati a pellicole del calibro di Memento o del recente It Follows, corroborato da un’implementazione tecnologica inedita, con un meccanismo di acquisizione diretta degli ambienti in tre dimensioni, che garantisce vette di fotorealismo visivo (per quanto concerne le ambientazioni) raramente raggiunte su PC e su console. Insomma, l’avete capito: Get Even è una delle cose più belle che abbiamo visto in fiera: bella quanto criptica, ermetica e destabilizzante, così malata da rapire i vostri sensi e non farvi pensare ad altro.
Bello quanto criptico, ermetico e destabilizzante, così malato da rapire i vostri sensi
Cole Black non è un tipo che parla molto. Anzi, diciamocelo, è uno che le parole le dosa davvero con il contagocce. Un investigatore privato, a quanto pare, un tizio tosto con presunti trascorsi nell’esercito, assoldato non si sa bene da chi per recuperare una misteriosa fanciulla rapita da un gruppetto di malintenzionati, sui cui intenti nessuno ha una chiara idea. Non l’aveste notato, ci sono più condizionali e supposizioni nella frase precedente che in tutte le altre anteprime di questa gamescom messe insieme, e il motivo è presto detto. Get Even inizia come uno sparatutto stealth in prima persona tradizionale, nonostante nella nostra demo si sia sparato davvero poco: peccato che non si abbia la minima informazione del luogo in cui ci si trovi, del nostro obiettivo, di chi siano i nostri nemici. Abbiamo solo un dispositivo elettronico delle dimensioni di un piccolo palmare, una sorta di suite elettronica da polizia scientifica che ci fornisce una mappa dell’area, un visore termico, un analizzatore di impronte e tracce organiche (in grado di elaborare queste informazioni scattando una foto del soggetto interessato nel modo corretto) e una torcia ad ultravioletti. E chiaramente un sistema di messaggistica, visto che la nostra avventura inizia nello scantinato di un edificio fatiscente e abbandonato ai rifiuti e all’usura, leggendo un laconico messaggio: recuperare la ragazza. Chi sia il mittente, ancora una volta, non ci è dato di sapere.
Black si muove all’interno di questa struttura, una sorta di quartiere popolare di periferia dove immondizia e detriti ostacolano il cammino e non esiste parete che non sia dipinta dai più impensabili graffiti. SI muove in silenzio, cercando di evitare le attenzioni di una guardia che pattuglia l’ingresso all’area critica; analizza, raccoglie prove, ascolta voci in lontananza che sembrano correre attraverso le tubature e che, non senza un minimo di attenzione, lo conducono alla stanza dov’è nascosta la fantomatica ragazzina. La sua pistola silenziata gli permette di abbattere due guardie senza essere udito, per poi fare irruzione nella stanza clou e, nel mezzo di una sequenza bullet time, eliminare a suon di mitra altri due aguzzini armati prima che eliminino il bersaglio. Tutto risolto, direte voi: la ragazza è lì, seduta e tremante, ma è salva: non fosse per quella dannata bomba incollata al suo grembo, con un timer che segna meno di un minuto alla deflagrazione e un tastierino numerico impietoso che chiede una sequenza specifica per disattivare il botto. Sequenza che chiaramente non abbiamo: e mentre il boato assordante invade le nostre orecchie e lo schermo si fa bianco, iniziamo a capire che, quanto appena visto, era solo la punta di un iceberg malato. E che da qui in avanti, sarà difficile distinguere la realtà dal ricordo, o forse dalla follia.
Da qui in avanti, il Get Even che abbiamo osservato oggi in fiera prende una piega fatta di assurdo, imprevedibilità e totale non leggibilità narrativa: impossibile capire dove ci voglia portare lo sviluppatore, laddove anche la supposizione più elementare pare venir confutata dallo svolgersi degli eventi, Ci ritroviamo in un ospedale allo sfascio, una sorta di manicomio in perfetto stile Silent Hill con tanto di “prigione” per gli ospiti più pericolosi. Ospiti che sono ancora presenti all’interno della struttura, alcuni con evidenti istinti aggressivi, altri con la mente ormai in panne e accasciati al suolo senza la volontà di reagire. Tutti, però, indossano una stessa maschera, un visore speciale apparentemente in grado di tenerne sotto osservazione la mente. Un visore forse persino virtuale, che indossa lo stesso Black quando con sommo stupore viene accolto da una sagoma misteriosa dalla voce artefatta, che parla attraverso una serie di televisori disseminati nella struttura: la stessa sagoma che, virando preoccupantemente il suo tono di voce da maschile a femminile, lascia intendere come vi sia un enorme interesse per le informazioni che si nascondono nella mente di Black, e che ovviamente lui pare aver rimosso.
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Chi è la “guida” di Black in questo Luna Park della follia? Quali sono i segreti nascosti nella sua mente che tutti vogliono? Qual è il loro legame con la povera ragazzina rapita, vista l’insistenza a tal proposito del suo misterioso Cicerone? Questi i dubbi di Black nel gioco, questi – elevati all’ennesima potenza – i dubbi che assillano il giocatore, incapace di capire quale sia il confine tra il vero svolgersi dei fatti, i ricordi di Cole e la possibile distorsione della realtà causata da un eventuale follia del protagonista, sia essa indotta o meno dal famigerato caschetto che indossa: perché alcuni particolari non tornano, e qualche dubbio inizia a farsi strada.
Da un punto di vista di gameplay, dicevamo, Get Even non è il tradizionale sparatutto stealth in prima persona. Ci sarà sì da sparare (chiacchierando col Creative Director ci è stato riferito che vivremo sequenze della vita passata di Black quando ancora era un militare, che saranno dunque caratterizzate da una frequenza di shooting maggiore), ma quanto visto oggi e, presumibilmente, nell’intero playthrough non solo è assoggettato alla narrazione, ma lascia intendere uno shooting mirato ed essenziale ridotto ai soli acuti necessari, Una scelta non certo facile e che, alla luce di un’atmosfera terrificante e destabilizzante come poche, rischia di tradire le aspettative degli amanti dell’FPS dalle facili tinte horror. The Farm 51 infarcisce invece l’esperienza di gioco con l’esplorazione, fondamentale per carpire piccoli elementi segreti di una narrazione articolata su un numero enorme di piani paralleli, e sulla risoluzione di enigmi logico-ambientali che richiedono di utilizzare il citato prodigioso gingillo da CSI. Nella nostra prova, ad esempio, abbiamo sfruttato il visore termico per seguire a ritroso il percorso da un interruttore elettronico alla relativa scatola del fusibile, sfruttando il surriscaldamento del cavo elettrico.
Un gameplay non certo innovativo, ma che contestualizzato in questa dimensione dove nulla è quello che sembra e, parallelamente, non esiste mai la certezza di intuire cosa il titolo ci riservi da lì a pochi minuti, funziona alla perfezione. Get Even non ha un ritmo frenetico: anzi, al contrario, rispetto ad altre opere “affini” è decisamente più lento. Offre tuttavia una cornice incredibilmente estraniante, come ribadito già più volte, supportata da un impianto sonoro binaurale ai limiti dello stupefacente, che con un buon paio di cuffie veicola la direzionalità dell’audio in modo naturale regalando non solo un ottimo livello di realismo uditivo, ma un’immersione totale nel gioco. Sempre parlando di audio, il Producer di Get Even ci ha fatto notare come, per tutto il corso della nostra demo (grossomodo 45 minuti) non si sia mai fatta sentire una sola musica di accompagnamento: la colonna sonora del titolo è interamente creata dagli effetti sonori, che – per quanto possa sembrare assurdo – vanno “a tempo” creando un beat e una ritmica ben definita, anche se non evidente all’ascolto. Se ne accorgerà però il cervello di chi gioca, che rielaborerà questi ritmi “esterni” incalzanti per poi andare a rimpolpare ulteriormente quel disturbo che l’impianto narrativo e visivo alimentano.
Get Even è riuscito a non farci respirare per 45 minuti.
Un impianto visivo che, vale la pena sottolinearlo, lascia davvero a bocca aperta su PC, convincendo – seppur in modo leggermente ridimensionato – anche su PS4. Il merito va tutto ad una tecnologia proprietaria del team di sviluppo, che sfrutta una tecnica di acquisizione tridimensionale degli ambienti (e successiva texturizzazione degli scenari ad altissima risoluzione) in luogo del classico rendering 3D adottato quasi universalmente. Il funzionamento, spiegatoci a grandi linee, è semplice: si sceglie la location, si colloca uno speciale sistema di acquisizione a 360 gradi all’interno della stanza e via, si inizia a catturare tramite una scansione approfondita (che non ha nulla a che vedere con una “foto”, visto che in questa fase vengono tenuti in conto tutti e tre gli assi cartesiani). Il risultato, che abbiamo osservato prima su PC e poi su PS4, è davvero sbalorditivo, e permette di alzare l’asticella del fotorealismo all’interno di un videogioco. Basta osservare la varietà dei sassolini nel pavimento o come ogni gradino di una scala sia danneggiato in modo differente dal precedente per accorgervene.
Mettiamola così: per 45 minuti ininterrotti di gioco, Get Even è riuscito a non farci respirare. Quell’atmosfera malata e asfissiante che opprime il giocatore sin dai primi secondi, quel doversi muovere senza sapere perché e senza capire dove condurranno le nostre azioni, quell’alone di totale mistero e imprevedibilità che rende impossibile anche solo capire se quello che vediamo sia vero, o una realtà virtuale, o il figlio di una pazzia sconosciuta. Get Even è un titolo indecifrabile ed ermetico, capace di attrarre magneticamente a sé gli amanti del genere grazie ad una concezione del weird che, lo ribadiamo ancora una volta, riesce a reinterpretare alla perfezione concetti già noti al medium cinematografico. Così criptico e chiuso che, proprio per sua stessa natura, difficilmente sarà un titolo adatto a tutti – complice anche un gameplay interessante (specie le fasi di analisi col palmare) ma dal ritmo non propriamente veloce. Ecco perché Get Even andrà probabilmente a finire in quella frangia di titoli che “o si amano o proprio non si riescono a sopportare“: ma, se vi interessa la nostra opinione, fareste bene a tenerlo sotto stretta osservazione. Potreste davvero innamorarvene alla follia.