05 Ott 2016

Dragon Quest Builders – Recensione

Dopo averne parlato un mese fa nella nostra anteprima ed esserne rimasti positivamente impressionati, abbiamo infine provato Dragon Quest Builders nella sua interezza e siamo pronti a discuterne in maniera approfondita con tutti i suoi pro e, dobbiamo riconoscere pochi, contro. Anzitutto va ricordato che nel suo debutto occidentale, a nove mesi di distanza da quello giapponese, il gioco ha rinunciato al sistema PS3 in favore solo di PlayStation 4 e PSVita.

Detto questo, ci eravamo lasciati nell’anteprima con alcune riflessioni in merito alle innegabili somiglianze con Minecraft: uno fra i titoli più giocati al mondo ma che nella terra del Sol Levante fatica a riscuotere lo stesso successo perché, lo sappiamo, ai giapponesi piace essere guidati nelle loro esperienze videoludiche. L’estrema libertà offerta dal sandbox che fu di Notch ha dunque contribuito a intiepidire in fretta un interesse che già di per sé non era elevatissimo, ma la decisione di incorporare questo genere singolare in un franchise solido e amato quanto Dragon Quest, che vende sempre a prescindere dalla piattaforma, si è rivelata davvero azzeccata.

Perché sì, Dragon Quest Builders condivide con Minecraft elementi chiave quali crafting e farming, oltre all’approccio grafico “cubettoso”, tuttavia è per prima cosa un RPG, come dimostrano le side quest e le battaglie che accompagnano la (ri)costruzione del mondo di gioco. Un ibrido, insomma, che non raggiunge la stessa profondità del sandbox per eccellenza ma dall’altro lato ci presenta una maggiore piacevolezza visiva, accentuata dall’inconfondibile stile cartoonish di Akira Toriyama e del suo Bird Studio.

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Sebbene non servano conoscenze pregresse della serie per apprezzare appieno il titolo, Dragon Quest Builders nei fatti ha una solida base di partenza: si ambienta nelle terre di Alefgard, le stesse che fanno da sfondo al primissimo capitolo uscito nel 1986 e vittime, nel nostro caso, della scelta del protagonista originario di abbracciare il potere malvagio del Dragonlord, la sua nemesi, anziché combatterlo. Abbandonato così da quello stesso eroe che aveva giurato di proteggerlo, il regno sprofonda nell’oscurità e nel caos per i secoli a venire e chi lo abita, persa l’abilità di costruire, si arrende a una ben misera sopravvivenza.

Qui entriamo in gioco noi, una volta stabiliti il sesso, il nome e alcuni tratti del personaggio. Non abbiamo memoria di chi siamo o come ci siamo ritrovati nelle Pianure di Cantlin, dove si svolge il primo capitolo, ma la dea Rubiss ci guiderà nei nostri primi passi svelandoci la ragione più importante per cui siamo stati chiamati in queste terre: il protagonista altri non è che il Costruttore di cui narrano le leggende, colui che si ergerà a baluardo contro il Dragonlord e le sue schiere di mostri per porre fine al suo dominio, insegnando gli abitanti a costruirsi (in senso figurato e non) la propria vita. Armati inizialmente di un semplice randello, eccoci dunque a piantare uno Stendardo della Speranza sui resti di quella che fu la città di Cantlin e riunire sotto di esso quanti più superstiti possibili.

Potremmo definire il primo capitolo come un lungo banco di prova dove mettere a frutto ciò che sia la dea sia poi i nostri alleati ci insegneranno, a partire da oggetti semplici fino ad arrivare a edifici o sistemi di difesa veri e propri. I materiali saranno a portata del nostro martello lungo l’intera area di gioco ma non tutte le zone disporranno delle medesime risorse e a mano a mano che proseguiremo con l’avventura saremo obbligati a viaggiare, attraverso l’uso dei portali, in altre isole altrimenti irraggiungibili – non è infatti previsto alcun tipo di navigazione per muoversi sul mare. Nuove aree significano nuovi nemici, sempre più forti rispetto ai precedenti, pertanto è consigliato farsi una panoramica della situazione ed eventualmente ritornare alla propria base per prepararsi a dovere.

Un elemento di cui Dragon Quest Builders è privo, pur nella sua natura di RPG, è infatti il sistema di crescita del personaggio: sconfiggere i nemici ci farà a volte guadagnare oggetti ma non punti esperienza, totalmente aboliti a favore di più semplici metodi di customizzazione. La difesa e l’attacco del nostro eroe dipenderanno solo da armi, armature e scudi che crafteremo durante l’avventura, mentre l’aumento dei Punti Vita sarà determinato da un oggetto chiamato Seme della Vita, ottenibile in genere come ricompensa dopo aver completato una side quest; legata a doppio filo all’energia vi è poi la stamina, rappresentata sullo schermo da cinque pagnotte proprio accanto alla barra della vita. Per quanto leggendario, il Costruttore non è certo immune ai morsi della fame e spetterà a noi tenere sotto controllo questa sua esigenza avendo sempre a disposizione pietanze, che potremo cucinare alla base, capaci di placare l’appetito.

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Nonostante come abbiamo detto all’inizio, ai giapponesi piaccia essere guidati in ciò che fanno e dunque il proseguimento della storia sia legato alle quest dei concittadini, l’esplorazione rimane per certi versi abbastanza libera: vista la tendenza a ficcanasare qua e là, con il rischio di essere picchiati da qualche mostro di passaggio, non è stato raro trovarsi in zone che avremmo esplorato poco dopo su indicazioni di un npc o restare bloccati di fronte a eventi che si sarebbero risolti soltanto una volta ottenuto un incarico. Stesso discorso vale per le costruzioni di per sé. Sebbene ci sia generalmente detto cosa fare e dove, molte volte il come è tutto a nostra discrezione: siamo pronti a viaggiare attraverso il portale rosso per andare a raccogliere pietre e costruire così edifici non solo più solidi ma anche gradevoli alla vista? Oppure preferiamo inoltrarci in una misteriosa piramide e incorrere nell’ira di alcuni cultisti, sottraendo loro gli idoli per farne dei discutibli sistemi difensivi? Perché invece non accumulare altre risorse per migliorare la cinta muraria della base raddoppiando lo spessore?

Costruire la propria città in Dragon Quest Builders non richiede creazioni complesse, il che è ottimo per chi non ha mai approcciato il genere sandbox prima; tuttavia, ore e ore possono essere spese nel perfezionamento della stessa, perché se è vero che nulla deve essere costruito al di fuori del perimetro impostato dal gioco, non ci sono restrizioni riguardo allo sviluppo verticale. Eccoci allora diventare architetti e pianificare, sfruttando quella visuale dall’alto che nostalgicamente ci riporta al primo titolo della serie, una disposizione efficiente degli edifici affinché gli abitanti abbiano da lavorare – garantendo così a noi risorse casuali – e da dormire, sebbene a differenza nostra non ne abbiano bisogno, senza rischiare di trovarceli a vagare lungo le strade come anime in pena.

Sono tante le piccole aggiunte che rendono il gioco simile a un sandbox e al tempo stesso unico, ma il suo maggior punto di forza è la struttura a base di side quest e livelli: ogni capitolo va infatti considerato quasi come un mondo a sé, con un proprio slot di salvataggio che potremo ricaricare anche più avanti nella partita per sistemare qualcosa di irrisolto. Il passaggio da un capitolo all’altro prevede un reset totale del nostro personaggio e del suo inventario, lasciando però invariate le conoscenze apprese, per ricominciare da capo l’opera di ricostruzione in un’altra parte di Alefgard: quando abbiamo sbattuto il naso contro questa realtà per la prima volta, siamo sinceri, non abbiamo saputo cosa pensare. Eravamo combattuti tra la frustrazione dell’aver faticato tanto per poi lasciarci tutto alle spalle e la curiosità di fronte a una decisione tanto inaspettata, perché non la sentivamo come qualcosa di casuale o sbagliato a prescindere.

E l’istinto si è dimostrato nel giusto. Dal punto di vista della narrazione questa idea funziona molto bene, perché la rende facile da seguire e in più dà una ragione all’altrimenti sterile accumulo di risorse; ogni regione ha una sua problematica da affrontare, sempre legata al boss di fine livello, ogni volta più complessa e che non solo ci costringe a rivedere le nostre priorità rispetto all’avventura precedente ma rende inutile gran parte del materiale che, ad averlo potuto fare, avremmo portato con noi – del resto regione che vai, risorsa che trovi. Per questo approviamo l’idea di riportare tutto a zero, perché sebbene molto espanso grazie al crafting di una cassa speciale sempre collegata a noi, il nostro inventario non è infinito e perdere tempo a buttare via roba per fare spazio ad altra è molto più frustrante che raccoglierla. Specialmente se abbiamo necessità di familiarizzare fin da subito con il nuovo ambiente e le sue risorse.

Creatività e Narrazione si completano a vicenda incredibilmente bene.

Il sistema di combattimento veste un ruolo piuttosto marginale nel gioco, essendo relegato a mero espediente per la raccolta di materiali altrimenti impossibili da ottenere. Avviene in tempo reale, come già detto non offre esperienza e inoltre le sue meccaniche sono ridotte a uno scambio furioso di fendenti da parte del nostro eroe, un corpo a corpo grezzo dovuto anche al raggio limitato delle armi. La varietà del bestiario, che comprende mostri iconici come gli Slime, gli Skeletri o i possenti Golem, è apprezzabile, così come la possibilità, molto rara, di sfruttare le debolezze dei nemici per mettere a segno fendenti indisturbati. Essendo il protagonista un Costruttore e non un combattente per natura, non abbiamo visto in chiave negativa una riduzione all’osso così marcata di un sistema che, in altri contesti, sarebbe stata decisamente da migliorare. Il punto forte di Dragon Quest Builders è la creazione e su questo mira a focalizzarsi.

Pur non vantando la complessità di Minecraft, dal punto di vista grafico il gioco è su un altro livello: pulito, leggibile e piacevole, grazie alla sua visuale in terza persona possiamo non solo avere costantemente uno sguardo su quanto ci circonda ma, e non c’è niente di male in un pizzico di vanità, ammirare il nostro personaggio vestire l’equipaggiamento che sceglieremo per lui/lei. Le note dolenti arrivano tuttavia quando si parla della telecamera, che negli ambienti chiusi e dal soffitto basso ci renderà la vita impossibile nonostante la possibilità di riallinearla; inoltre, nonostante la versione PlayStation 4 goda di una risoluzione Full HD, texture più rifinite anti-aliasing e frame rate a 60 fps, abbiamo potuto notare qualche rallentamento ingiustificato di troppo ed evitabile.

Allo stesso modo, l’interfaccia utente non è al suo massimo. A volte troppo macchinosa e poco intuitiva, richiede diversi tentativi per abituarsi soprattutto al fatto che il menù e il tasto azione si attivino con lo stesso pulsante, lasciandoci spesso frustrati  e costringendoci a isolarci da qualunque oggetto/persona per non correre il rischio di cominciare qualcosa che non era nelle nostre intenzioni. L’avventura infine si svolge completamente in single player, mostrando così un’altra differenza rispetto a Minecraft, e nonostante la presenza di un multiplayer a costruzione libera che permette la condivisione e importazione di opere architettoniche erette da altri giocatori, non è stata prevista alcuna co-op. Non sappiamo quanto questa decisione potrà influire sull’opinione dell’utenza.

Conclusioni

Può sembrare che queste due metà, la creatività senza limiti e la narrazione rigida basata sulle side quest, entrino in conflitto, ma la verità è che si completano a vicenda incredibilmente bene. Laddove gli obblighi di Minecraft risultano minimi, Dragon Quest Builders impone limiti geografici, guida il giocatore attraverso una narrazione identica per tutti, dove tutti porteranno a termine gli stessi obiettivi. Ed è proprio per questo motivo che funziona.

Non c’è bisogno di un sandbox dalle potenzialità illimitate, nel quale possa scavare in profondità e dal quale mi aspetto un’ambientazione personalizzata secondo i miei desideri, perché esiste già. Se Dragon Quest Builders fosse stato una copia di Minecraft come sembrava dovesse essere, avrebbe fallito in partenza; invece è una perfetta convergenza di struttura e creatività, in cui le quest non servono solo a portare avanti la narrazione, ma forniscono in egual misura la spinta per esplorare e l’ispirazione a costruire. Un gioco che nonostante le sue imperfezioni ci ha sorpreso, divertito e mai annoiato.

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