Chase: Cold Case Investigations – Distant Memories – Recensione

Se siete appassionati di avventure grafiche e il nome Taisuke Nanasaki non vi giunge nuovo, siete fra coloro che hanno avuto fra le mani una fra le avventure grafiche più belle rilasciate per Nintendo DS ormai quasi dieci anni fa: nel 2007 faceva infatti il suo debutto Hotel Dusk: Room 215, un gioco dalle tinte noir ambientato alla fine degli anni Settanta che vede Kyle Hyde, ex-poliziotto del NYPD, come protagonista principale. Quasi tre anni e mezzo dopo, nel settembre 2010, è seguito da Last Window: The Secret of Cape West, che come il predecessore viene ben accolto dalla critica. Sebbene poco complicati a livello di risoluzione enigmi, entrambi i titoli hanno saputo gestire le loro storie in maniera tale da renderle incredibilmente umane e restano, nella mia opinione, la rappresentazione più pura del neo-noir nei videogiochi.

Perché questa nostalgica premessa? Perché a sei anni dalla dichiarata bancarotta di Cing, lo studio dietro lo sviluppo dei suddetti giochi, Taisuke Nanasaki torna sulle scene con un gioco che raccoglie l’eredità lasciata da Hyde. Si tratta di Chase: Cold Case Investigations – Distant Memories.

In questo gioco, di cui abbiamo a disposizione solo il primo capitolo, seguiremo le vicende dell’Unità Cold Case e dello svogliato detective Shounosuke Nanase, affiancato dalla sua idealistica partner alle prime armi Koto Amekura, che a seguito di una telefonata anonima riaprirà seppur con riluttanza un caso archiviato come incidente cinque anni prima: un’esplosione all’ospedale Ryokudou che ha portato alla morte di uno degli inservienti, Tatsu Minami. Assieme, la coppia tutt’altro che affiatata dovrà basarsi solamente su testimonianze sfumate, fotografie della scena del crimine e i rimpianti di chi era presente all’epoca per scavare più a fondo in un caso che potrebbe essere meno accidentale di quanto si è voluto far credere. Quali misteri si celano dietro l’ospedale Ryokudou?

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Nonostante lo si possa considerare un seguito spirituale di Hotel Dusk e Last Window, chi si aspetta da Chase: Cold Case Investigations lo stesso livello di caratterizzazione e complessità potrebbe rimanere deluso: a partire proprio dalla componente visiva, dalla quale si evince una mancanza di tempo e budget. Se nei titoli precedenti si sfruttava il rotoscope per l’animazione e una resa più realistica dei personaggi, qui ci troviamo di fronte a una visual novel pura, un gioco di lettura e comprensione del testo la cui ambientazione è ristretta all’ufficio dell’Unità Cold Case. Manca dunque quell’immersività che era uno dei punti cardine di Hotel Dusk, perché al di là di una narrazione ben strutturata (sulla quale torneremo fra poco) i giocatori sono relegati a un ruolo piuttosto passivo di semplici suggeritori: i personaggi faranno per conto proprio le loro deduzioni, salvo dover essere occasionalmente guidati nei ragionamenti.

Certo, sono presenti diversi elementi di investigazione, dal classico interrogatorio, all’analisi delle foto della scena del crimine fino a un momento di deduzioni costruite sulla base di un castello mentale, ma i bivi narrativi sono inesistenti e la possibilità di incorrere in un game over è pressoché impossibile. Se le nostre deduzioni, e quindi le risposte attraverso un sistema di scelta multipla, dovessero rivelarsi errate verremo semplicemente messi a conoscenza dello sbaglio e rimandati alle risposte rimanenti senza alcuna conseguenza. Il fatto che esista una sorta di “barra degli errori” esaurita la quale la partita terminerà non concorre a complicare il gioco, poiché la semplicità degli enigmi non permette di sbagliare così tanto, complice anche la possibilità di rileggere il log delle conversazioni avvenute persino in fase decisionale. L’unica situazione di game over istantaneo l’abbiamo trovata, nel contesto, priva di senso.

Chase: Cold Case Investigations ha molta strada da fare.

Se dal punto di vista del gameplay Chase: Cold Case Investigations mostra diverse carenze, nulla si può dire in merito alla narrazione: mettere a confronto ragione (Nanase) e sentimento (Amakura) si è rivelata una buona scelta, con scambi di battute divertenti e occasionalmente ricchi di una profondità che non ci si aspetterebbe. Anche tutti gli altri personaggi godono di una caratterizzazione ben strutturata, che li differenzia l’uno dall’altro anche grazie alle motivazioni dietro alle loro azioni. In sole due ore, dunque, ci offre una storia sfaccettata, fili di una matassa che non vediamo l’ora di sbrogliare nonostante a volta ci sia l’impressione che la localizzazione dall’originale giapponese sia stata troppo letterale. Il cliffhanger finale entra come un fallo a gamba tesa quando tutto sembra essersi concluso per il meglio e il misterioso passato che sembra tormentare Nanase riesce ad accendere un’aspettativa là dove il gameplay fallisce.

Conclusioni

Chase: Cold Case Investigations – Distant Memories cerca di rinascere dalle ceneri di Cing ma non si può riconoscere che ci sia riuscito appieno: a volte traspaiono quei momenti di splendore che hanno caratterizzato lo studio ai suoi tempi, tuttavia queste buone qualità sono spesso soffocate dalle costrizioni legate a un budget limitato, che hanno portato alla strutturazione di un gameplay mediocre, lontano dall’immersività dei precedenti lavori di Nanasaki.

Essendo solo il primo capitolo vogliamo credere che sia un antipasto per qualcosa di più significativo, non per questo possiamo però ignorare gli evidenti difetti che minano quella che sarebbe potuta essere una prestazione migliore. I fan di vecchia data troveranno una piacevole familiarità nel cast di personaggi e nei dialoghi ma chi si approccia per la prima volta al genere potrebbe non vedere altro che una breve esperienza priva di un vero mordente.

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