Thumper – Recensione

Ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia, e sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa. Ogni notte eterna, uno scarabeo metallico sa che deve correre a ritmo di musica infernale, incessante e martellante, ma non sa il perché. Non è nato per pensare: è nato per correre alla velocità della luce, per lasciarsi fagocitare da tunnel supersonici e da forme geometriche che danzano a tempo. È nato per distruggere un volto demoniaco grande quanto un palazzo, costellato di spuntoni che diventano sempre più grandi, con una bocca spalancata che non aspetta altro che il nostro simpatico amico dritto nel suo intestino (sempre che ne abbia uno). Oppure una palla di luce difficile da digerire, che gli risulterà fatale.

No, non siamo noi a delirare. Prendetevela con Drool, un visionario duo di sviluppatori, uno dei quali ex-Harmonix, gente che di incroci tra videogiochi e musica qualcosina ne sanno. Ma Thumper dimostra che ne sanno anche di ultra-violenza: “A Rhythm Violence Game”. Quasi a voler ribadire che le suggestioni di Rez e Amplitude è meglio lasciarle agli stramaledettissimi hippie: il giocatore ha uno scintillante e velocissimo insetto da far viaggiare a ritmi fotonici su un binario proiettato verso l’infinito, sospeso in un vuoto cosmico nero come la pece, sorretto soltanto dalla forza centrifuga generata dal frenetico zampettare di questa creatura. Perché? Perché no?

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Thumper non ha bisogno di parole per esprimersi: la sua storia (?) la racconta con immagini intense, le sue spiegazioni le sublima attraverso gli errori inevitabili che il giocatore commetterà al primo contatto col gioco, e che si susseguiranno altrettanto inevitabilmente per l’intero playthrough, spalmato lungo 9 livelli dalla diversa durata, gonfiata dalle morti continue, rese frequenti dall’estrema semplicità con cui verrà interrotta la nostra corsa. Basteranno infatti due sbandate, due botte, due contatti ravvicinati non previsti entro uno dei segmenti in cui sono divisi i livelli, separati da checkpoint e da luci pulsanti e curative, per mandarci al Creatore.

In Thumper non c’è tempo per respirare, per prendere il fiato, per riflettere con calma o con cognizione di causa

Potrete “crearvi” una cura da soli, con una delle oscure meccaniche che scoprirete intuitivamente, in realtà subconsciamente. Ma per farlo, metterete ancor più a repentaglio la vostra già fragile vita. Ed è qui che il giocatore inizia a compiere le prime scelte cruciali: tentare il colpaccio e preservare il buon punteggio accumulato (e il moltiplicatore, fino a 3X), magari puntare al grado S, il più alto, e scalare le classifiche mondiali, oppure portare il risultato a casa limitandosi a sopravvivere, ad arrivare alla fine del livello e al boss finale?

Scelte però da prendere nel giro di mezzo secondo, non di più: in Thumper non c’è tempo per respirare, per prendere il fiato, per riflettere con calma o con cognizione di causa. Anche la pausa diventa una nemica, un’interruzione improvvisa da riprendere altrettanto improvvisamente, col frequente rischio di non far in tempo a premere il tasto Options che è già giunto il momento di morire.

Il motivo è presto detto: i pensieri rimbalzano come palline di un flipper da un angolo all’altro della corteccia cerebrale, le mani finiscono col muoversi da sole. E con un PlayStation VR in testa, potrebbero anche fregarvi il portafogli o il cellulare, sfilandoveli rumorosamente dalle tasche: difficilmente ci fareste caso, tanta è la concentrazione, l’immersione.

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No, non si tratta del solito rhythm game. Chiaro, l’obiettivo resta quello di seguire il ritmo e di centrare delle sfere di luce, premendo il tasto X al momento giusto, posizionate sul tragitto, uno stretto e claustrofobico binario, sui cui troverete sbarre da frantumare e brusche curve da prendere derapando con la levetta analogica sinistra, necessaria anche per superare ostacoli come pericolosi spuntoni, o per cambiare corsia quando il binario si allarga. Non per voi, ma per ospitare striscianti serpenti scheletrici sputati dall’atmosfera.

Piccoli tecnicismi da impartire con precisione chirurgica seguendo pattern schizofrenici, che cambieranno di continuo, o che vi porteranno in una comfort zone temporanea, solo per darle fuoco qualche secondo dopo.

No, non si tratta del solito rhythm game

Come in un rito orgiastico, la musica, con i suoi beat industriali, i suoi tamburi cupi e marziali, e le sue suggestioni ambient e siderali, porrà una calotta su di voi, una prigione extra-sensoriale da cui è possibile liberarsi unicamente sintonizzandosi, volente o nolente, sulla sua stessa lunghezza d’onda.

Lo scarabeo, e quindi il giocatore, produrrà col suo corpo suoni, battiti e tintinnii, quasi a doversi adeguare alla sua nuova natura, impotente, nella sua dissonante armonia. Ma basta un attimo a spezzarla: una duplice distrazione rispedisce al checkpoint. Negli scontri con i boss, figure imponenti e inquietanti incrociate a metà livello e alla fine, ne basterà una sola a gettarvi in un loop eterno, spezzato soltanto dalla perfetta esecuzione di una combinazione di beat, che genererà potenti sfere di luce da incanalare dritte verso l’obiettivo, o dalla morte.

Una soluzione proposta anche in altre situazioni, magari per scardinare una protezione, un portale. Tante piccole trovate (come dei minacciosi laser impossibili da schivare, attivati da un solo beat mancato) introdotte di livello in livello, utili a rinfrescare l’esperienza avanzando durante il primo (di molti) playthrough e spezzare la monotonia ludica (ed estetica) carica di déjà-vu, che alla lunga può lievemente infastidire. Traspare anche una certa ripetitività, ma in quel maelstrom di luci e musica, non vi sarà concessa alcuna lamentela o riflessione critica. Anche del comparto grafico, poco da dire: per quanto col visore indosso la risoluzione e la pulizia scendano sensibilmente, resta un gran bel vedere, con i suoi neon, gli effetti, i mille colori che si intrecciano e si alternano.

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Il fatto è che Thumper è, in una parola, entusiasmante. Premerete i tasti con la stessa potenza ed energia di un batterista, scuoterete testa e culo a tempo (sì, anche da seduti), vi lascerete abbaiare da luci che vi sfrecceranno ad un palmo dal naso (con il PS VR in testa, s’intende), e ogni esplosione, ogni fascio di luce, equivarrà ad una botta di adrenalina, un brivido lungo la schiena. È difficile, perché centrare ogni maledetto beat, anello, barriera, curva è un delirio.

Ma se riterrete sufficiente raggiungere la fine del livello per restare soddisfatti, a volte vi basterà mantenere premuto un tasto e fregarvene di tutto il resto per arrivare sani e salvi al traguardo. Sempre che riusciate a sopportare l’onta di essere arrivati ultimi in classifica mondiale, o peggio, in quella della vostra lista amici. E allora no, si riavvia il livello. Si studiano i pattern, si assorbe il ritmo, lo si canticchia mentre lo si esegue con la stessa maestria di un Terry Bozzio in stato di grazia, e non importa che lo scarabeo abbia spaccato l’autovelox raggiungendo una velocità sovrumana: ormai vi ha temprato con la stessa cattiveria che lo spietato J.K. Simmons trasudava durante le sue infernali lezioni in Whiplash, e non c’è più nulla che possa fermarvi.

Conclusioni

Thumper è un viaggio sola andata nella mente di un percussionista pazzo, in preda a deliri mistici, fatto e strafatto, desideroso di incidere l’assolo di batteria più difficile della storia della musica. Con Thumper si entra nella sua testa. Il suo cervello, srotolato, scomposto, ha preso la forma di un binario proiettato verso il nulla cosmico, avvolto da aurore boreali, tentacoli, tunnel, luci, suoni, colori, e il giocatore è l’unico passeggero, anzi, l’unico vagone in grado di affrontare un simile viaggio, in groppa ad uno scarabeo metallico. Vi prego, guardate il video. Drool merita i vostri soldi, c’è poco da fare, indipendentemente dal fatto che siate in possesso di PlayStation VR o meno.

Thumper è un’esperienza mistica, un rhythm game sopra le righe oscuro, divertente, veloce, folle, difficile al punto giusto, che sprona il giocatore a migliorare, andando a controllarne la mente in certi momenti di intensità inaudita. Lo tartassa, lo scaraventa da un punto all’altro del suo mondo senza fine, lasciandogli giusto il tempo di respirare di tanto in tanto, cullandolo con qualche suggestiva sequenza con il solo scopo di imbambolarlo e di annientarlo il prima possibile. Non fidatevi, restate sempre all’erta.

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