robinson : the journey
07 Nov 2016

Robinson: The Journey – Recensione

Che le potenzialità della Realtà Virtuale siano enormi, al netto di una tecnologia allo stato attuale dei fatti ancora in costante divenire, è un dato di fatto. Dalla possibilità di ritrovarsi nello spazio aperto a bordo di un astronave a quella di “incontrare” sei amici all’interno di un pub per giocare a biliardo, passando per terrificanti giostre del terrore o per combattimenti all’ultimo bullone in futuristiche leghe robotiche, gli universi a disposizione del giocatore sono aumentati a dismisura, aprendo di fatto le porte ad un modello di “gioco” per certi versi ancora acerbo e lontano dalla perfezione, ma mai come ora capace di regalare un coinvolgimento a 360 gradi. PlayStation VR, per certi versi, rappresenta l’Eldorado degli amanti della Realtà Virtuale: un dispositivo lontano dagli standard della concorrenza su PC, in grado tuttavia di offrire un’esperienza di gioco ugualmente memorabile ad un prezzo decisamente più abbordabile. Una considerazione che non dev’essere sfuggita ai ragazzi di Crytek in sede di progettazione di Robinson: The Journey, esperienza esclusiva per l’hardware di casa Sony che reinterpreta in modo personale – e indubbiamente impressionante – il genere del walking simulator.

Un titolo ambizioso, quello targato Crytek, che mette sulla bilancia anni di know-how e primato tecnologico della software house dei fratelli Yerli. Robinson: The Journey è un viaggio fantascientifico in un universo sperduto, dove enormi dinosauri dominano ancora incontrastati e la natura appare sotto i nostri occhi tanto splendida quanto selvaggia. Un universo sospeso dal tempo e lontano milioni di anni luce da casa, dove potremo muoverci “abbastanza” liberamente cercando le risposte a quelle domande che assillano la nostra mente: siamo davvero gli unici superstiti ad un enorme incidente interstellare o esiste ancora qualche superstite umano, capace di dissipare il misterioso velo d’ombra che nasconde la realtà dietro questi fatti? La risposta, assieme ad un enorme T-Rex e qualche affamato Velociraptor, vi attende su Tyson III.

robinson

Robinson: The Journey ruota attorno alla figura di Robin, un adolescente sopravvissuto per miracolo allo schianto dell’enorme astronave Esmeralda sulla superficie del pianeta Tyson III. Sorvegliato dallo sguardo elettronico del fedele HIGS, una AI oculare che lo segue passo passo a mo di drone, ed in compagnia della “piccola” Laika (un cucciolo di T-Rex il cui uovo si schiude di fronte agli occhi di Robin, che ne diventa automaticamente “genitore”) il ragazzo sopravvive per un anno all’interno di un modulo di salvataggio, sfruttando le provviste a propria disposizione e arrangiandosi alla meglio con quanto nei paraggi del campo base. Il rinvenimento di un altro modulo HIGS proveniente dalla Esmeralda, quasi completamente distrutto ma contenente un misterioso messaggio relativo allo schianto, fa accendere nella sua mente una scintilla, la speranza che lì da qualche parte ci sia qualche altro superstite. Inizia così un viaggio in un pianeta ricco di insidie e pericoli alla ricerca dei rimanenti moduli HIGS, dove i paesaggi meravigliosi che si perdono all’orizzonte sono solcati da enormi creature e famelici predatori affamati di carne. Un paradiso solo apparente, non certo un parco giochi per un giovane avventuriero alla ricerca della verità.

L’aspetto principale del gameplay di Robinson: The Journey, comprensibilmente, è l’esplorazione in prima persona: il titolo offre una mezza dozzina di aree esplorabili, quattro delle quali accessibili da subito e due soltanto dopo il primo giro di boa, interconnesse una all’altra e visitabili a piacere dal giocatore. La possibilità di muoversi senza un ordine prestabilito, almeno inizialmente, cerca di mascherare una linearità del gameplay che, proprio per la natura stessa del proprio map design, è abbastanza evidente: del resto, tre sono le aree a disposizione al cui interno cercare i moduli HIGS… C’è tuttavia da dire che le dimensioni di ciascuna area sono ragionevolmente generose, e costringono il giocatore ad una buona scarpinata prima di mettere le mani sul famigerato modulo e i suoi interessanti segreti.

Un affascinante viaggio fantascientifico in un universo sperduto

Ogni area offre scenari selvaggi estasianti, grazie all’ottimo lavoro tecnologico svolto da Crytek su PS VR, oltre che un set di creature dalle dimensioni più disparate (si passa dagli insetti e i topi sino ai “collolungo”, per intenderci) che reagiscono in tempo reale alla nostra presenza. Le creature più piccole, se avvicinate, cercano rifugio tra le rocce o dietro la vegetazione: i più placidi brontosauri, immersi fino alle “ginocchia” nel catrame bollente, snobberanno il nostro mucchietto d’ossa in movimento, almeno sino a quando non gli scaglieremo addosso qualcosa per attirare la loro attenzione. C’è dunque un’interazione palpabile con l’environment che ci circonda, un qualcosa che va oltre alle fronde che si spostano al nostro passaggio: più ci si muove all’interno della lugubre Foresta o del Cimitero, sospesi a centinaia di metri dal suolo, e più si respira quell’atmosfera densa e minacciosa di Tyson III. Un pianeta che nasconde più cose di quante ne faccia effettivamente vedere: una scelta, quella di Crytek, che spinge il giocatore ad esplorare ulteriormente, a tornare più volte sui propri passi per accedere a segreti a latere della narrazione principale.

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L’obiettivo, come già ripetuto, di Robinson è stanare l’HIGS celato nello scenario, analizzarlo e aggiungere un tassello al delicato puzzle relativo al destino dell’Esmeralda. Il come riuscirci è capitolo a parte, laddove verranno coinvolte le interessanti meccaniche di gioco del titolo Crytek – che, ricordiamo, richiede l’utilizzo di un controller tradizionale e non di un Move. Robin ha a disposizione un apparecchio simile al nostro Move, ironia della sorte, avente a propria volta due funzionalità distinte. La prima (Levitating Mode), evidenziata da una luce di colore bluastro, permette al giovane sopravvissuto di muovere, spostare e collocare oggetti al posto corretto con un meccanismo simile alla gravity gun di Portal: una pressione sul dorsale per attrarre l’oggetto, il tasto X per scagliarlo nella direzione prescelta, più o meno lontano a seconda del peso. Nonostante l’apparente banalità, la manipolazione degli oggetti va ben oltre il semplice “raccogli l’oggetto e collocalo al punto giusto”: ne è un esempio perfetto lo scenario dei già citati collolungo, dove saremo costretti a crearci delle passerelle di fortuna da una roccia all’altra per evitarci uno spiacevole contatto col catrame bollente – che sì, si traduce in un game over istantaneo. In un paio di casi saremo chiamati a ricomporre persino uno spaventapasseri, utile a tener lontani dal nostro piccolo insediamento un paio di fastidiosi pterodattili.

La seconda funzionalità del nostro poderoso gingillo, indicata da una luce verde accesa, permette a Robin di acquisire informazioni dall’ambiente circostante, rappresentate da piccole sfere gialle luminose all’interno del bersaglio che si vuole analizzare. Apriamo un ulteriore capitolo a tal riguardo, laddove l’utilizzo di questa tecnologia sarà innanzitutto richiesto per carpire i segreti degli HIGS recuperati e, dunque, per procedere nella storia: basterà attivare la Scanning Mode con la pressione del tasto R1 e rivolgere lo sguardo in direzione del robot da analizzare. A questo punto compariranno i relativi punti di interesse luminosi, da “catturare” muovendo con attenzione la testa (e, per aiutarci, lo stick destro lungo l’asse orizzontale) mantenendo premuto il dorsale R2: sarà necessario evitare i punti di colore rosso, spesso vicinissimi a quelli “buoni” gialli, pena l’annullamento dell’operazione corrente e annesso retry.

Ogni area offre scenari selvaggi estasianti, grazie all’ottimo lavoro tecnologico svolto da Crytek su PS VR.

Lo stesso discorso si applica paro paro per una delle side-activities di Robinson: The Journey, il popolamento del nostro Infotarium: in sostanza, si tratta di una raccolta digitale che contiene tutte le scoperte che Robin effettuerà all’interno dell’isola, siano esse legate al suo micro (si fa per dire) cosmo che la popola, sia provenienti da unità elettroniche esterne disseminate negli scenari avente la forma di un bracciale. Le cose, intuirete da soli, iniziano a farsi difficoltose quando si tratta di effettuare la scansione di un Velociraptor, che salta come un demonio mettendoci sempre sotto il naso il famigerato spot rosso, o allo stesso modo di un enorme Pterodattilo in volo. Acquisire informazioni sulle creature di Tyson III non è espressamente richiesto per raggiungere i credits, ma oltre a premiare con l’immancabile trofeo di Esploratore Provetto, farà guadagnare interessanti informazioni al giocatore sull’universo che, nel senso stretto del termine, lo circonda.

robinson the journey

Componente fondamentale dell’esplorazione in Robinson: The Journey è l’arrampicata, meccanica che si attiva in automatico ogni qual volta Robin sia in prossimità di qualcosa scalabile, siano essi appigli nella roccia, funi, liane o quant’altro, che viene espletata con la pressione alternata dei dorsali R2 e L2. Il principio, in sé, è estremamente semplice: R2 muove il braccio destro, L2 il sinistro. Tuttavia, Crytek ha cercato di ricreare un comportamento, negli ovvi limiti, quanto più reale possibile: non potremo dunque saltare da un appiglio ad un altro se questo è troppo distante dal primo – toccherà dunque collocare entrambe le mani sullo stesso appiglio, ad esempio, per poi spostare quella più indicata. Fosse ancora troppo lontano, potremo avanzare leggermente con il capo (o con l’intero corpo, se il coinvolgimento è totale) per “sbilanciare” Robin e fargli guadagnare la presa. Il tempismo richiesto nella manovra è ragionevole, anche se non saranno rari capitomboli nel vuoto – complice una resa “delle altezza”, specie nella giungla, da far girare la testa anche a chi non soffre di vertigini come il sottoscritto – e popolazione di Tyson III che scende da 1 a 0. Il titolo, dal canto proprio, è alquanto avaro di suggerimenti: se vi sembra di non arrivare a quel maledetto piolo di una scala agganciata a due liane sopra un baratro o ad uno scanner facciale all’apparenza spento, provate ad avvicinarvi.

Il nostro loquace compagno di viaggio HIGS, oltre a raccogliere i dati per l’Infotarium, entra attivamente in gioco nella risoluzione di puzzle logici basati su grafi: si tratta in sostanza di attivare/disattivare una linea conduttiva (selezionata spostando un apposito cursore col movimento del capo) da un generatore di elettricità verso uno o più bersagli, facendo in modo tale che a ciascun nodo arrivi esattamente la quantità di energia richiesta per attivarsi. Nulla di complicato nelle prime fasi del gioco, decisamente più complesso nello scenario conclusivo, dove la rete elettrica da gestire si fa interessante: in questi frangenti assumeremo il punto di vista del robottino volante – l’immagine restituita nel visore, una sorta di Tyson III in miniatura vista dall’alto, è sicuramente d’impatto. Anche la piccola Laika, inconsapevole co-protagonista di questa avventura, gioca il proprio ruolo all’interno del gameplay: potremo impartire al nostro animaletto tre ordini differenti (nella fattispecie di seguirci, di ruggire o di raccogliere qualcosa al suolo), oltre che lanciarle del cibo per premiarla. Per quanto si tratti di un T-Rex in miniatura, Laika da sola non basterà ad allontanare i gruppetti di Velociraptor che, di tanto in tanto, ci staranno alle calcagna: per uscirne vivi, piuttosto, è necessario usare un pizzico di ingegno, magari scagliando un oggetto raccolto dietro le loro “spalle” per approfittare del diversivo.

Robinson: The Journey ci ha stupiti per la sua capacità di rapirci

Per quanto concerne gli aspetti tecnologici di Robinson: The Journey, possiamo tranquillamente affermare che il titolo si assesta su livelli estremamente interessanti, almeno in ambito di Realtà Virtuale su console, pari se non superiori a quelli raggiunti dall’ottimo Batman Arkham VR. La realizzazione delle ambientazioni è strepitosa, con un livello di dettaglio ben al di sopra della soddisfazione e un orizzonte visivo incredibilmente ampio. Impossibile non fermarsi ad osservare gli scorci ispiratissimi che Tyson III regala, con la carcassa dell’Esmeralda in lontananza divorata dalla fitta vegetazione della foresta, lambita da un mare interminabile. Più si sale (nel vero senso della parola), più si apprezza l’ottimo lavoro di level design, fautore di un colpo d’occhio davvero entusiasmante nonostante l’area esplorabile, alla fine della fiera, non sia così esagerata – al punto da rendere il fast travel, disponibile una volta terminata l’avventura, pressoché inutile. C’è poco da fare, il mondo di Tyson III è affascinante da levare il fiato, capace di alternare vegetazione lussureggiante a roccia arida su cui scorre catrame incandescente: paesaggi enormi e brulicanti, popolati da enormi creature e da piccoli roditori e insetti. La modellizzazione delle creature è complessivamente positiva, seppur in alcune fasi leggermente altalenante, ma mostra i propri limiti nella tenera Laika – dalle animazioni legnose e dalla carica poligonale appena sufficiente.

Piccola nota a margine conclusiva per il discorso motion sickness, uno dei problemi più comuni legati alla nuova tecnologia virtuale: Robinson: The Journey si è comportato in modo ottimale nel corso delle nostre prove, dimostrandosi giocabile anche per sessioni medio/lunghe senza indurre effetti simili alla chinetosi o più in generale emicranie. Crytek ha astutamente introdotto la possibilità di modificare gli effetti della rotazione della telecamera con lo stick destro: l’opzione di default, uno stutter-turn fisso di 45 gradi, può essere sostituito da una sua variante più fluida a rotazione comunque fissa o liberando lo stick da ogni vincolo (escluso l’asse verticale, in carico alla testa del giocatore) come in un tradizionale FPS. Il risultato ci ha convinto, seppur l’ultima opzione, alla lunga, si è confermata più stancante delle altre.

Conclusioni

Chiariamo subito una cosa: Robinson: The Journey non è quel genere di prodotto rivolto ai giocatori in cerca di sfide complicate. L’assenza di qualsivoglia aiuto a video sul cosa fare o dove andare, per certi versi, viene giustificata dall’assenza di enigmi particolarmente complessi o, più in generale, dalla rarità di situazioni in cui non sapremo cosa fare. Certo, bisogna guardarsi attorno con attenzione, studiare l’ambiente alla ricerca di qualche oggetto utile (come un rottame per fare un piccolo ponte di fortuna) o ascoltare quello che ha da dirci il nostro HIGS, che non mancherà di sottolineare la propria utilità quando la situazione lo richiede. Robinson: The Journey è un gioco complessivamente abbordabile, dove nel corso delle quattro ore circa necessarie a completarlo (con una run complessivamente liscia, senza badare molto alle situazioni corollarie) si “muore” per distrazione nelle arrampicate o, per lo più, quando ci si dimentica della presenza dei Velociraptor nelle vicinanze e non si attua una strategia elusiva adeguata. Ecco perché, in apertura di recensione, lo abbiamo catalogato come variazione sul tema walking simulator: una variazione, certo, ma non per questo privo di carattere o appeal.

Al contrario, Robinson: The Journey ci ha stupiti per la sua capacità di rapirci, di catapultarci all’interno di Tyson III alla ricerca di HIGS, di vita umana oltre alla nostra, ma anche di missioni secondarie non segnalate, se non quando ci abbiamo sbattuto il muso addosso. Impossibile non restare rapiti dalla foresta che ci avvolge minacciosa, dalla verticalità di scenari attraversati da liane sospese a decine di metri dal suolo, da quelle enormi creature che conosciamo sin da bambini. Se parte della magia di Robinson: The Journey è merito della maestria tecnologica di Crytek nel ricreare un ambiente vivo e pulsante, parte va anche a quelle creature incredibili che lo popolano. Tirannosauri, Pterodattili, Velociraptor: tutti vecchi amici che la generazione Jurassic Park conosce a menadito, e che segretamente in cuor proprio ha sempre sognato di vedere da vicino, quasi sfiorare. Con Robinson, seppur sfruttando gli artifici della Realtà Virtuale, è finalmente possibile: attenti però a non finir sotto le zampe di un Brontosauro mentre restate a bocca aperta a fissarlo.

 

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