Ubisoft, con Watch Dogs 2, ha intrapreso una missione di una certa complessità, oltre che “multi-obiettivo”: una caratteristica, quest’ultima, che condivide con buona parte delle missioni che è possibile avviare dallo smartphone di Marcus Holloway, “Retr0” per gli amici, protagonista del suo nuovo free-roaming a base di cultura hacker, cospirazioni e critiche più o meno velate (facciamo meno, via) alla società odierna, oltre che ai colossi tecnologici che la regolano, la plasmano, la fagocitano tra una riunione ad alto carico motivazionale e una seduta di yoga.
La parte semplice, ma pur sempre difficile per una grande azienda, prevedeva un piano marketing pre-lancio il più onesto e limpido possibile, qualcosa che facesse dimenticare la maldestra manovra che segnò (in negativo) l’annuncio del primo Watch Dogs: una nuova IP in grado di suscitare un hype pazzesco, grazie e soprattutto ad un comparto tecnico incredibile e alle mirabolanti azioni che era possibile compiere in-game… almeno sulla carta. Tante promesse non mantenute lasciarono con l’amaro in bocca a buona parte dell’utenza, desiderosa di qualcosa di più, qualcosa che rispecchiasse anche solo in minima parte ciò che era stato presentato all’E3 2012, in quel trailer pazzesco.
L’altro obiettivo, più complesso, richiedeva invece di riconquistare la fiducia degli utenti, e al contempo ripulire il nome di Watch Dogs, con un seguito valido, in grado di concretizzare tutte le buone idee che erano (e sono tuttora) senza ombra di dubbio alla base del franchise: meno ripetitività, nuovo protagonista, nuovo mood, nuova città. Via il cupo Aiden Pearce e la sua storia di vendetta personale, via la buia e fredda Chicago. Benvenuta San Francisco, benvenuta ridente Bay Area, e largo ai giovani: welcome back DedSec. I protagonisti ora sono loro, un collettivo di hacker composto da sbarbatelli e reietti della società che applicano la personale concezione di democrazia e reinstallano la giustizia alla velocità di un click, con le proprie regole.
Missione compiuta? Continuate a leggere per scoprirlo.
Dopo averci fatto flirtare con il DedSec in quel di Chicago, Ubisoft ha preso i due proverbiali piccioni con una sola fava, correggendo uno dei principali problemi del predecessore e al contempo trovando un ottimo spunto narrativo grazie al quale fa risaltare il suo concept di fondo: ha infatti spostato l’attenzione proprio sulla divisione “West Coast” del collettivo di hacker, composto da giovani hacktivisti, idealisti, nemici delle corporazioni e fedeli al credo del codice.
Il già citato Retr0, Marcus Holloway, è il protagonista effettivamente controllato del giocatore: giovane, di colore, strafottente al punto giusto, e imbevuto di quell’idealismo che ti spinge a rischiare la vita per un’idea, ma anche di una genuina voglia di divertirsi con ogni mezzo possibile, meglio ancora se, nel farlo, si riesce anche a “rompere i maroni” ai tipi in giacca e cravata dei piani alti. Ma senza il supporto della dura Sitara, dell’insicuro ma talentuoso Josh, o del folle Wrench, così spavaldo dietro la sua maschera borchiata, Retr0 non sarebbe nessuno: sono loro a salvargli la pellaccia nei momenti peggiori, a strappargli un sorriso dopo un brutto colpo messo a segno da un nemico troppo grande, a sostenerlo in questo scontro, un Davide vs Golia che è anche generazionale, data la giovane età dei personaggi coinvolti, destinato ad un solo epilogo: la sconfitta, sotto il peso della mastodontica potenza della Blume.
Ubisoft ha spostato l’attenzione sulla divisione “West Coast” del collettivo di hacker, composto da giovani hacktivisti, idealisti, nemici delle corporazioni e fedeli al credo del codice
Un’entità forte, insormontabile, sorretta non tanto da un conto in banca con svariati zero dietro, ma dal possesso della valuta più importante di questo mondo iperconnesso e paranoico: i dati. Ogni elemento della nostra quotidianità è una macchina che succhia via i nostri dati e invade la nostra privacy, e che si nutre degli stessi per offrirci servizi sempre più su misura, prigioni entro le quali mettere in mostra le nostre debolezze e darle in pasto alle corporazioni. È su questo concetto che Watch Dogs 2 poggia le sue basi, e segue il folle progetto del DedSec di smantellare un’infrastruttura sempre più infallibile, merito del diabolico ctOS 2.0, versione aggiornata del sistema informatico che regolava le telecamere di Chicago, ora presente in ogni casa ed ogni edificio di San Francisco. Nudle, Tidis e soci (plasmate sulle sembianze dei colossi della Silicon Valley) sono aziende assetate di soldi e dati, disposte a tutto pur di scoprire i gusti dei cittadini, e del conoscere le loro fissazioni, i loro scheletri nell’armadio, in modo da confezionargli pubblicità, servizi, persino assicurazioni ad hoc.
Quello proposto da Watch Dogs 2 risulta essere uno spaccato dannatamente credibile della società odierna, tra aziende nemiche della privacy, cittadini ignoranti convinti che la password “1234” sia ancora una valida difesa, selfie utilizzati come mezzo di accettazione sociale e valore degli individui misurati in follower, una vuota unità di misura che in questo caso diventa persino l’arma principale del DedSec, costretto a raccattarne a destra e manca con brillante manovre PR per aumentare la propria potenza di calcolo (?), o forse, semplicemente, per avere un’anonima platea per la quale esibirsi, alla quale mostrare il proprio video in stile Anonymous in grado di, si spera, svegliare le coscienze.
Uno spaccato rappresentato da una trama che parte bene, ma che si perde a metà strada tra cospirazioni e trovate poco credibili, che smorzano il buon lavoro di ricerca svolto nella costruzione della personalità dei personaggi coinvolti e nella stesura dei dialoghi, davvero ben scritti e per nulla artefatti, conditi da un uso genuino dello slang (spesso ben reso anche nella localizzazione in italiano), un mix che vien fuori molto più maturo di quel che il nuovo cambio di rotta lasciava prevedere e immaginare.
I toni sono molto più leggeri e scanzonati rispetto al primo, nerissimo Watch Dogs
I toni sono molto più leggeri e scanzonati rispetto al primo, nerissimo Watch Dogs, per qualcuno, forse, anche troppo, e a dirla tutta, la serietà che un tema simile richiede (Mr. Robot docet) viene spesso annacquata da cazzeggi e “sboronate”, ma in linea di massima, non possiamo dirci delusi del risultato finale, alla luce di premesse poco confortanti.
Ci pensa però il doppiaggio nella nostra lingua, con voci in certi casi diametralmente opposte a quelle originali, oltre ad alcune soluzioni narrative, a dare un taglio molto più giovane, esageratamente vicino a quella fascia di utenti totalmente in fissa con “V for Vendetta”, gli stessi che, a 5 minuti dalla conclusione del film, erano già intenti a navigare nei meandri dell’Internet con il loro smartphone da 700 euro, a caccia di una maschera da Guy Fawkes rigorosamente Made in X (dove “X” è un paese del Terzo mondo in cui la schiavitù è ancora legale). Ed è un peccato, perché l’estetica hacker pare essere stata ben assimilata dal team, ma per quanto la trama possa scorrere senza troppi intoppi, e per quanto, rispetto al primo, si siano fatti passi da gigante, anche in termini di rappresentazione del mondo hacker, grazie ad un’atmosfera decisamente più coerente, la banalità, alla fine, prende il sopravvento.
Con uno sfondo narrativo simile, la scelta di far ruotare tutto attorno allo smartphone di Marcus appare più che sensata: il giocatore può usufruire di vere e proprie app, di vario genere, che ne influenzano la permanenza in-game, dal cercare il titolo di una canzone captata per puro caso tramite un clone di Shazam (e crearsi la sua personalissima playlist), all’arrotondare con il simil-Uber e scarrozzare ignari cittadini in giro per Frisco, da Nudle Map, navigatore su cui sono indicate attività principali e secondarie, luoghi di interesse in cui fare il check-in e scattarsi una foto, sacche di denaro, concessionarie, e quant’altro, fino a “./Ricerca”, in cui spendere i punti abilità ottenuti salendo di “livello follower” e plasmare il proprio playstyle dando la priorità alle skill più consone all’approccio preferito.
Il giocatore è davvero libero di affrontare ogni missione, se non l’intero gioco, seguendo una propria filosofia, il proprio mood, oppure uno schema prestabilito e totalmente a sua discrezione, ai limiti del roleplay: ci siamo divertiti a profilare gran parte dei cittadini capitati a tiro (con il tasto L1 è possibile scoprire qualche dettaglio su di loro, così come dare il via ad azioni contestuali di vario genere, dal distrarli all’ucciderli con il loro stesso telefono), per soffiare qualche dollaro unicamente ai ricconi, o per segnalare alla polizia loschi individui con strane ed inconfessabili passioni, da veri giustizieri della notte. Senza disegnare però delle guerre tra gang scatenate per puro diletto (altra abilità concessa a Marcus), oppure abilmente innescate per salvarci la pelle in situazioni delicate o per distrarre qualcuno durante una sofisticata operazione di hacking.
Il giocatore è davvero libero di affrontare ogni missione, se non l’intero gioco, seguendo una propria filosofia, il proprio mood
Nelle quest vere e proprie, merito di un level design sempre ben congegnato, è possibile dare sfogo alla propria creatività, dandosi allo stealth puro, tra colpi a tradimento e proiettili stordenti, o ad un pericoloso mix con l’hacking, tra astute trappole da innescare, come sensori di prossimità che attivano scariche, porte da bloccare per impedire l’accesso ai nemici, robot di sicurezza esageratamente cordiali e veicoli controllati a distanza, pronti ad investire chiunque si trovi sul loro cammino.
Basta studiare prima l’ambiente circostante tramite NetHack, una visuale “detective” simile a quella dei Batman di Rocksteady, meglio ancora se coadiuvati dal fido drone o dalla RC Jumper (macchinina controllata in remoto), necessarie in numerosi frangenti per sbloccare porte e raggiungere oggetti e pannelli da hackerare preclusi ai comuni mortali, e con un tasto è possibile intrufolarsi nel sistema di sicurezza, sbirciando dalle telecamere, spiando messaggi, registrazioni e conversazioni, e recuperando a distanza preziosi dati e chiavi di accesso, cruciali per spianarsi la strada in caso di hack fisici. Molti di questi riprendono poi la componente puzzle del primo capitolo, un intrigante minigioco, non troppo complesso ma divertente, che costringe il giocatore ad accedere a porte e computer non prima di aver sbloccato una serie di nodi, ruotandoli in modo da farli congiungere tra di loro.
Hack realizzabili anche on the run, a bordo di veicoli di vario genere, che spaziano dai quad ai pick-up, senza disdegnare possenti muscle car e roventi chopper: semafori che mandano in tilt il traffico e incasinano gli incroci, tombini che esplodono al passaggio della polizia, auto che vengono fatte virare al momento giusto che si interpongono tra noi e i nostri inseguitori, tutte trovate interessanti, mutuate dal primo Watch Dogs, che però risultato di difficile applicazione durante gli inseguimenti più concitati, e che, unite ad una IA a tratti esageratamente spietata, trasformano ogni sessione di caccia da parte della polizia (o di qualche gang) in una cattura e/o morte praticamente certa. Un problema riscontrato anche nelle fasi puramente stealth, in cui basta una distrazione per allertare l’intero palazzo, e trasformare le sequenze di solo shooting, grazie anche ad un gunplay per nulla soddisfacente, in un vero e a tratti estenuante incubo. Scellerate scelte di design o trovata pensata per mettere in risalto la combo stealth/hacking? Ai posteri l’ardua sentenza.
Altra mossa poco apprezzata riguarda la testardaggine nell’affidarsi ad un sistema di guida simile a quello del precedessore, più godibile e meno rigido, ma lontano da quello di illustri concorrenti, e una fisica altalenante che offre danni in alcuni casi molto realistici (e conseguenze sulle prestazioni dei veicoli) ad ingenuità (come le ruote bucate che non compromettono chissà quanto la guida) e impatti davvero finti e “plasticosi”, resi ancor più ridicoli dalla sovrumana capacità di Marcus, palesata in alcuni surreali incidenti e scontri, di restare ancorato al manubrio di una moto, e da certe animazioni legnose, a partire proprio dalla caduta dai veicoli con una rigidità davvero maldestra.
Una serie di sbavature che sminuiscono, senza fortunatamente affossarlo, un gioco comunque molto godibile e sicuramente divertente, oltre che un passo avanti rispetto al noioso e cupo precedessore. Watch Dogs 2 sprizza energia da ogni pixel, merito dei già citati dialoghi frizzanti, ma soprattutto di una città brulicante, ricca di NPC che reagiscono ai deliri dell’instancabile Marcus chiamando il 911 se qualcosa di strano succede davanti ai loro occhi, e altrettanto rapidi a chiudere la chiamata al cospetto di uno shotgun ancora fumante, oppure ben felici di apparire in un selfie del nostro, oppure dandosi al photobombing sfrenato.
Ma anche ricca di attività: gare di droni, di kart, di off-road, regate, tizi da spiare e hackerare, auto da rubare o comprare, persino gadget da realizzare con la stampante 3D, e punti di riferimento da fotografare, in ogni angolo di San Francisco, o dalle zone limitrofe, come Oakland o la contea di Marin, piccole e in versione “compact” rispetto alle originali, ma con al loro interno sempre qualcosa da fare, o qualcosa con cui smanettare. Tutte, peraltro, splendidamente realizzate, vive e pulsanti, complice un comparto grafico che restituisce un colpo d’occhio davvero impressionante, anche su console (senza downgrade, senza mirabolanti promesse impossibili da mantenere). Non mancano i rallentamenti, in alcune sezioni davvero pesanti, così come un aliasing in certi casi evidente (almeno su PS4, ma su PS4 Pro pare ridotto e di molto), e oltre ad alcune texture un po’ slavate, si segnalano anche compenetrazioni poco gradevoli, ma data la vastità del mondo di gioco, tra immensi palazzi, buona parte dei loro interni e strutture iconiche, come il mastodontico Golden Gate Bridge, finiscono col passare in secondo piano.
Watch Dogs 2 sprizza energia da ogni pixel
Sono poi i dettagli e le finezze a lasciare un segno nel cuore del giocatore: un ubriacone che suona l’armonica su un muretto, da solo, nel bel mezzo del nulla, oppure un gruppo di ragazzi ben nascosto, che salta sull’attenti appena qualcuno si avvicina, forse per non farsi beccare a fare… beh, dai, lo sapete. Una coppia che cammina mano nella mano sulla spiaggia, al tramonto; due sconosciuti che litigano dopo aver fatto un incidente; una rissa nata da una stupidaggine; il dramma di un arresto, frutto, si spera, di una genuina segnalazione e non di un qualche strano algoritmo considerato infallibile, in grado di prevedere crimini e azioni dei cittadini.
Tante piccole situazioni da fermarsi ad osservare, per vedere come andranno a finire, e magari, con la scusa, riprendere un po’ il fiato dal ritmo forsennato dell’azione, che fa scorrere in un soffio la campagna principale e le quest secondarie, tra una citazione alla pop-culture e una all’ultimo fenomeno di Internet, tra un messaggio inquietante e l’ennesima fissa di una delle teste d’uovo di Silicon Valley, inclusa insieme a zone e quartieri iconici Chinatown, o la sede di Google tutta vetri e segreti, qui ribattezzata Nudle.
Divertente anche l’online, al momento minato in una sua parte da alcuni problemi tecnici ancora non risolti (ma che Ubisoft conta di risolvere il prima possibile): durante lo scorso weekend abbiamo potuto testare la San Francisco “connessa”, con giocatori di varie parti del mondo intenti a compiere le loro missioni. Erano ben visibili nella nostra partita, e con un solo tasto era possibile interagire con loro, ma per il momento, a causa dei citati rallentamenti, è stata momentaneamente accantonata. In compenso, c’è un’app anche per questo: dallo smartphone è possibile invitare amici e giocare in cooperativa con loro, gettandosi nella mischia e scatenare un po’ di caos, oppure dedicarsi ad attività coop molto snelle, oltre che potenzialmente infinite e totalmente casuali, generate al momento (furti di auto, hacking e così via). Oppure darsi al PVP contro sconosciuti nelle modalità “Hacker Online” (sorta di “Nascondino”, in cui bisogna sottrargli dei dati senza farsi scoprire) o “Cacciatore di taglie”, che vede una preda fuggire dopo un crimine commesso e tre giocatori, nel ruolo di inseguitori, ad unirsi alla caccia.
Letterali invasioni della privacy (tranquilli, durante le missioni regolari vi lasceranno perdere), che è comunque possibile disattivare dal menu, per godersi un’esperienza totalmente in singolo. Una volta completate le tante attività presenti, queste esperienze mordi e fuggi rappresentano però un valore aggiunto niente male, soprattutto in ottica longevità.
Buona anche la colonna sonora, con radio che spaziano dal reggae alla musica classica e al punk rock, mentre il doppiaggio italiano, come detto, tra problemi di lip-sync e il tono esageratamente “giovane” per cui si è optato, ci ha spinto a preferire le voci originali.
Insomma, Ubisoft ha archiviato il mezzo passo falso commesso con il primo Watch Dogs raddrizzando e non poco il tiro, senza rivoluzioni, ma mettendo meglio a fuoco l’obiettivo. La trama più leggera, l’atmosfera meno opprimente e una città viva e pulsante, rendono l’esperienza molto più godibile, mentre le (poche, ad essere sinceri) novità non fanno altro che contribuire alla riuscita del prodotto finale, un open-world ricco di cose da fare, divertente da esplorare in ogni suo curato angolo, e nel quale è possibile sperimentare con non pochi mezzi messi a disposizione. Sistema di guida, gunplay e parti della narrazione sono tutto fuorché perfetti, ma Watch Dogs 2 compensa con un ritmo frenetico ed un’energia che non lasciano tregua, tenendo a debita distanza l’immancabile noia che ha caratterizzato i suoi numerosi “rivali”. Protagonisti un filo più maturi e un mesetto extra di lavori per rifinirlo al meglio (in particolare per quanto riguarda il multiplayer seamless, temporaneamente accantonato) lo avrebbero reso superbo, ma purtroppo ci vorrà ancora un po’ prima di avere tra le mani l’Assassin’s Creed 2 di questo franchise a base di hacker e cospirazioni. |