Quando si pensa al passato più recente del genere horror è difficile, se non impossibile, non citare Amnesia e i ragazzi di Frictional Games. Un gruppetto di programmatori tosti, questi svedesi, dai natali ai confini dell’indipendente ma capaci di stupire gli amanti del terrore, già nel lontano 2007, con l’ottimo Penumbra: Overture. Primo di una trilogia estremamente godibile e capace di levare il fiato per un ottimo mix di game design, jumpscares e narrazione, Overture iniziò a tracciare un solco abbastanza definito con le produzioni orrorifiche precedenti, andando ad introdurre una serie di elementi marchio di fabbrica di Frictional Games destinati a caratterizzarne gran parte dell’operato successivo. Operato che raggiunse il proprio apice con The Dark Descent, titolo seminale dello studio svedese che vide gli albori su PC nel 2010 e diede al giovane studio la più che meritata consacrazione nel panorama internazionale: Frictional ci aveva visto giusto, reinventando un universo terrificante al cui interno il giocatore era del tutto impotente e, al netto di un’esplorazione fondamentale per l’avanzamento e di un puzzle solving tanto intelligente quanto, alle volte, di difficile intuizione, costretto a fuggire a gambe levate da una minaccia demoniaca che ne seguiva i passi, cercando di preservare il più possibile la propria salute mentale.
Amnesia: The Dark Descent fu un autentico successo, capace di convincere pubblico e giuria all’unanimità – che ne premiarono il coraggio, la narrazione ispirata alle opere di H.P. Lovecraft e, non certo ultime, delle meccaniche di gioco brillanti (e agghiaccianti) nella propria semplicità: del resto, mai prima di allora l’aprire una semplice porta o lo spiare un corridoio facendo sporgere il capo da un angolo si erano rivelate attività tanto terrificanti. Quasi scontato, dunque, l’arrivo a distanza di un anno di un DLC ancora una volta sui generis, Justine, seguito nel 2013 dal lancio di A Machine for Pigs, sviluppato dal team The Chinese Room sotto supervisione dei Frictional stessi: due titoli che ripercorrevano il solco originale tracciato a suo tempo dallo stesso Penumbra, espandendo quell’universo agghiacciante che The Dark Descent, a sorpresa, aveva dischiuso.
Un universo da pochi giorni disponibile anche ai possessori di PlayStation 4 grazie ad Amnesia: Collection, attesa raccolta del citato trittico che, a distanza di sei anni dalla prima apparizione ufficiale, approda (ed è il caso di dire finalmente) nel roboante mercato console. Un appuntamento che gli amanti dell’horror non dovrebbero lasciarsi sfuggire per nessuna ragione al mondo? Beh, ammettiamo che da un punto di vista tecnologico qualche leggero aggiornamento non avrebbe certo dato fastidio: ma di fronte all’angoscia che trasudano le pareti del Castello di Brennenburg e all’ansia che raggela le vene una volta stretto il pad tra le mani, esiste una sola risposta al quesito precedente. A patto di aver abbastanza coraggio per scoprirne anche i segreti più agghiaccianti.
Iniziamo l’analisi di questa Amnesia: Collection con un rapido ripasso dei tre titoli che la compongono. Del primo, The Dark Descent, abbiamo già anticipato qualcosa nella parte introduttoria: protagonista della vicenda è Daniel, giovane londinese risvegliatosi all’interno del Castello di Brennenburg privo di gran parte della propria memoria. Egli ricorda solo la propria identità, ritrovandosi del tutto all’oscuro dei fatti che lo hanno condotto in quel luogo minaccioso, eroso dal tempo e dall’incuria, all’apparenza inabitato da anni. Daniel è costretto a muoversi lungo le sale dell’enorme magione, spinto da una serie di flashback che lo riguardano più o meno direttamente e dal rinvenimento di numerose note e lettere, che lui stesso ha scritto come futura traccia prima di perdere volutamente la memoria. Una di queste lo invita a scendere in un fantomatico Santuario nascosto tra le fondamenta del castello, per uccidere quello che viene descritto come “un esile vecchio di nome Alexander“: un’azione incomprensibile, almeno inizialmente, destinata ad assumere linee più nitide man mano che ci si addentra nei cunicoli del Castello. Un Castello abitato da presenze mostruose, costantemente alla ricerca di Daniel e dalle quali quest’ultimo non può far altro che sfuggire, interrompendo la linea visiva con la fuga o sfruttando l’ambiente per nascondersi.
Già da questa breve sinossi appaiono evidenti i pilastri ludici su cui si basa The Dark Descent. Partiamo dalla narrativa, elemento primario del titolo Frictional, centellinata con astuzia e maestria attraverso note, scritti e missive disseminate lungo lo scenario. Ricca di riferimenti al mistero ottocentesco (impossibile non pensare a Lovecraft o a Poe quando viene gettata luce sul passato di Daniel, fondamentale per capirne il pericoloso presente), la sceneggiatura di The Dark Descent è un puzzle di piccoli tasselli atomici legati da un misterioso filo conduttore, totalmente oscuro nelle prime ore di gioco ma destinato a delinearsi, ad affiorare progressivamente più ci si avvicina al famigerato Santuario. Il tutto viene corroborato da delle meccaniche di gioco semplici ed efficaci, supportate da un buon (almeno per i tempo) motore fisico che permette di interagire con gran parte degli elementi disponibili. Certo, nell’era di PS4 Pro alcune cose appaiono anacronistiche o macchinose, ma contestualizzate nell’universo di Amnesia funzionano in modo esemplare. Di fronte al giocatore si apre dunque una location a tratti labirintica, da esplorare in lungo in largo alla ricerca di indizi e oggetti, molte volte combinabili, necessari alla risoluzione di enigmi atti a proseguire. Tali puzzle ambientali godono di una complessità ragionevole, e obbligano il giocatore ad una attenta analisi delle stanze visitate e delle note testuali recuperate facendo leva su quel pizzico di pensiero laterale che non guasta mai.
Un appuntamento che gli amanti dell’horror non dovrebbero lasciarsi sfuggire
Nelle fasi iniziali del gioco, ad esempio, dovremo riattivare un ascensore bloccato accedendo alla Sala Motori: è però chiusa a chiave, con quest’ultima nascosta dietro un quadro nella stanza degli ospiti, accessibile soltanto dopo aver recuperato un piede di porco – guarda caso, nascosto da tutt’altra parte in un magazzino che, a propria volta, richiederà di recuperare parti di un trapano e miscele di esplosivo per essere esplorato appieno. Amnesia: The Dark Descent, più degli altri titoli di questa collection, calca la mano sulla componente “puzzle”, incitando all’esplorazione attenta e – soprattutto – discreta. Torcia, acciarini e olio saranno necessari per muoversi al buio, visto che proprio quest’ultimo sarà una costante onnipresente per la quasi totalità del playthrough: sarà tuttavia obbligatorio usarli con attenzione, da un lato perché si tratta pur sempre di consumabili che, una volta esauriti, ci lasceranno vittime del buio (con conseguente calo della sanità mentale, sino dalla follia totale di Daniel e al game over), dall’altro perché attireranno le attenzioni delle creature dell’Ombra che pattugliano il castello. Creature invincibili, è bene ricordare, in grado di fiutare la nostra paura e dalle quali è necessario rimanere il più distante possibile: la loro vicinanza, oltre ad aumentare vertiginosamente le possibilità di un prematuro trapasso, amplifica la follia del protagonista, distorcendone la vista e bloccandone i movimenti. Un consiglio? Correte il più lontano possibile, non appena ne intravedete la sagoma.
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La formula di The Dark Descent viene arricchita da Amnesia: Justine, unico e solo DLC la cui giovane protagonista, strettamente collegata alle precedenti vicissitudini e rigorosamente priva della memoria, si ritrova intrappolata in un sadico gioco di morte. Qualcosa che gli amanti del cinema di James Wan ricorderanno abbastanza da vicino: tre enigmi di fronte a noi, dalla cui risoluzione dipende la vita di altrettante vittime rinchiuse in trappole ingegnose e mortali. Nessuna novità per quanto concerne le meccaniche di gioco, con la riproposizione (al netto degli enigmi) del livello di pazzia della protagonista – manifestata da alterazioni visive, tremolii, difficoltà nei movimenti sino al crollo totale dei nervi – e la gestione dell’oscurità da illuminare tramite acciarini e lampade ad olio. Ottima impennata, invece, quella narrativa, che pur godendo di una longevità drasticamente minore (completerete Justine entro un’ora nella peggiore delle ipotesi, doveste essere davvero negati con la logica richiesta dal titolo) si dimostra prodiga nel citazionismo della letteratura del settore: Lovecraft, Poe, Shelley rappresentano i richiami più evidenti di una sceneggiatura, ancora una volta, testimone dell’enorme passione di Frictional.
La musica cambia drasticamente con A Machine for Pigs, l’elemento più debole del pacchetto nonostante l’enorme interesse sviluppato attorno al titolo nel lontano 2013 poco dopo il suo annuncio. La mano dei ragazzi di The Chinese Room si vede, soprattutto in termini narrativi, e questo è indubbiamente un aspetto positivo del “terzo” Amnesia: la supervisione del team di Frictional Games tuttavia non riesce ad arginare in modo soddisfacente la deriva del gameplay introdotta da questo capitolo, più affine agli stilemi di un walking simulator dalle tinte horror che ad un vero e proprio survival/escape infarcito di enigmi. Una soluzione che, sulla carta, avrebbe anche potuto essere vincente, non fosse che l’allontanamento dalle fondamenta di Amnesia andava a manifestarsi nell’abbandono di alcune dinamiche portanti, quali quelle dei livelli di follia e della gestione degli oggetti tramite inventario. A Machine for Pigs racconta una storia marcia, sporca, a tratti asfissiante e cupa: lo fa con savoir-faire, con lo stesso tatto con cui The Chinese Room soltanto poco tempo dopo avrebbe narrato Everybody’s Gone to the Rapture, ma il risultato è lontano dalle vette di terrore di The Dark Descent, una delle esperienze più destabilizzanti e ansiogene dell’ultimo decennio. Sia chiaro, l’ultimo esponente del terzetto è tutto tranne che un brutto gioco o un’esperienza da accantonare rapidamente nel dimenticatoio senza infamia ne lode: si tratta un esperimento, piuttosto, che i fan originali di Frictional Games vedranno più come una variazione sul tema originale del brand, nell’attesa del capolavoro definitivo dello sviluppatore che sarebbe giunto soltanto 2 anni dopo con il nome di SOMA.
Una delle esperienze più destabilizzanti e ansiogene dell’ultimo decennio
Il limite maggiore di questa Amnesia: Collection, per certi versi a sorpresa, è da riscontrarsi proprio nel comparto tecnologico. Quello effettuato su PlayStation 4 è un porting nudo e crudo, privo di ammodernamenti o revisioni ad un motore proprietario che, se già al momento dell’uscita mostrava alcuni limiti evidenti nel panorama PC, oggigiorno può solo apparire alquanto datato. Se da un lato l’atmosfera originale non ne esce mutata di un solo pixel, il che è un aspetto assolutamente positivo, dall’altro siamo di fronte ad una modellazione poligonale soltanto sufficiente e un livello del dettaglio ben lontano dai risultati “standard” che l’attuale generazione di console riesce a fare. Effetti particellari e distorsioni spaziali hanno indubbiamente il proprio fascino, ma appaiono datate anche ad occhi non eccessivamente allenati in termini tecnologici. Dove Amnesia: Collection eccelle, grazie alla bontà del materiale originale, è tuttavia nel comparto sonoro: dal temporale in sottofondo ai crepitii che popolano il Castello di Brannenburg, passando per le grida minacciose delle creature e le sonorità angoscianti che accompagnano ciascuna delle tre avventure, il materiale audio offerto da questa collection si conferma assolutamente di prim’ordine, dimostrandosi abile nell’instillare ulteriore angoscia nel giocatore, soprattutto se valorizzato da un impianto surround come si deve. Non che The Dark Descent – inutile nasconderlo, uno dei nostri titoli preferiti di sempre – avesse bisogno di ulteriori boost per farci tremare di fronte allo schermo ….
Difficilmente, negli ultimi sei anni, gli amanti del survival horror si sono dimenticati di Amnesia. Una serie seminale, capace di rivoluzionare un genere e, nell’arco di pochi anni, di diventare modello ispiratore per una lunga serie di produzioni tripla A: da Outlast ad Alien: Isolation, passando per i “prossimi” Outlast II e Resident Evil: VII, la lista di debitori all’operato di Frictional Games vanta nomi di tutto rispetto all’interno dell’Industry. Il motivo può sembrare banale, ma la realtà dei fatti è una sola: Amnesia, in particolar modo The Dark Descent, riesce nel difficile intento di terrorizzare il giocatore, iniettando sotto la pelle un concentrato gelido di angoscia, instabilità e destabilizzazione al punto da rendere difficoltosa l’esplorazione di una stanza buia, per il terrore di scoprire cosa essa possa nascondere. Il tutto, è necessario sottolinearlo, corroborato da un gameplay figlio della commistione di esplorazione e risoluzione di enigmi, dove la componente escape pende minacciosa sopra la testa di chi gioca come un’impietosa Spada di Damocle. Se, sotto quest’ottica, A Machine for Pigs rappresenta forse lo spin-off più lontano dalla vincente formula originale della serie, impossibile non lodare il valore artistico di questa Amnesia: Collection. Una collezione che ok, tecnologicamente lascia un pizzico di amaro in bocca per l’assenza dell’anche minimo ammodernamento, a fronte di un materiale originale già di suo leggermente datato ai tempi della prima uscita ufficiale. Tuttavia, l’atmosfera opprimente presa in prestito dalla letteratura di Lovecraft, la sceneggiatura curata sotto ogni aspetto e capace di regalare climax narrativi memorabili e, non ultimo il costante fiato corto causato da un perenne senso di insicurezza rappresentano un magnete potentissimo per tutti gli amanti del sovrannaturale e, come accadrà spesso nel corso del playthrough, del battito cardiaco accelerato. Amnesia: Collection è un tassello imperdibile per gli affezionati del genere: una pietra miliare che, non certo senza ritardi, merita di essere apprezzata appieno anche su PS4. Sempre se avrete dei nervi abbastanza saldi per affrontarla. |
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