Tyranny è l’ultimo esempio recente del fenomeno di rinascita dei cRPG. Questo genere ebbe il suo periodo d’oro a cavallo tra gli anni ‘90 e i 2000 con titoli ormai leggendari come Baldur’s Gate e Planescape Torment. In seguito alle contaminazioni Action in Diablo e Sacred, il genere originario perse sempre più l’interesse dei giocatori fino a divenire fenomeno di retrogaming. Poi, nel 2013, gli annunci improvvisi e inaspettati di tre titoli (Project Eternity, Wasteland 2 e Torment: Tides of Numenera) portarono un po’ di speranza agli ormai dimenticati cRPG. Obsidian lavorò su Project Eternity per ben due anni e, infine, pubblicò nel 2015 Pillars Of Eternity che ottenne il plauso di pubblico e critica, con svariate nomination a Miglior Gioco dell’Anno e premi per la categoria Miglior RPG.
Oggi, un anno e mezzo dopo, Paradox Interactive rilascia Tyranny. Obsidian si è ripetuta con un ottimo gioco o ha sbagliato il colpo? Noi di GameSoul abbiamo qualcosa da dire a riguardo.
Se dovessimo descrivere Tyranny con dei colori basterebbero il rosso del sangue e il color sabbia. Queste sono le tonalità della guerra che è il centro di gravità del gioco in tutti i suoi aspetti: dalla trama di conquista dell’ultimo territorio libero sul continente di Terratus, alle interazioni con i personaggi nel mondo di gioco, poiché il giocatore avrà in bocca solo parole come diplomazia, fazioni e alleanze. Non c’è spazio per altro, la guerra in Tyranny si mangia tutto: dalle città ai paesaggi impera il colore della sabbia, e il terreno si riempie di sangue.
I punti segnati sulla mappa non sono luoghi, ma eventi a cui partecipare, posti costruiti unicamente per svolgere la funzione di campi di battaglia, una griglia di combattimento sterile e priva di interesse una volta terminato lo scontro. Addirittura un buon numero di questi non-luoghi saranno inaccessibili una volta che il giocatore avrà completato tutte le missioni sul posto, a conferma del loro valore temporaneo di istanze e dungeon.
Non che non esistano le città, sia chiaro: Lethan’s Crossing è una piacevole eccezione alla regola, con le due cascate gemelle ai lati di una spira che si erge sopra il mondo è una visione molto suggestiva. Ma all’esempio opposto abbiamo La Città Bastarda che per tutto il corso dell’avventura sarà inaccessibile tranne per una sala di un palazzo sede dell’arconte a cui il giocatore presta servizio. Questo perché, ancora una volta, il gioco è interamente focalizzato a portare avanti la trama, non c’è infatti spazio per altro. Le missioni secondarie sono strettamente legate al filo narrativo principale, costituendo il più delle volte strategie di combattimento e preparativi per scontri di più ampio respiro. Si potrebbe dire che nel gioco è assente la dimensione dello spazio poiché viene assorbita dalla componente temporale la quale vieta ai luoghi un’esistenza al di fuori delle contingenze della trama: lo spazio è al servizio del tempo.
Non stupisce allora che il mondo di Tyranny fallisca nella sua rappresentazione e che, appunto, a livello visivo risulti spesso desolante e monotono. È un peccato, ancora di più perché, dietro le quinte, la costruzione del mondo risulta quasi impeccabile e la sua coerenza è ferrea (se non per alcune sbavature, ad esempio la razza degli uominibestia cade fin troppo spesso nello stereotipo de “l’animale è meglio dell’uomo”). Ma è purtroppo un mondo a sipario chiuso cui il giocatore viene a conoscenza solo attraverso le parole dei suoi abitanti.
L’offerta ludica di Tyranny è la violenza, il combattimento, il sangue.
Tramite le schermate di dialogo, il player può immergersi un una lunghissima catena di dialoghi con i personaggi principali dell’avventura. In questo modo egli verrà a conoscenza del background di ciascuno e della profondità e intelligenza di come questi personaggi sono stati realizzati. Questa scelta mette al bando strumenti come i libri o le pergamene che raccontano a sprazzi la storia del mondo a favore di un approccio più diretto e personale. Ogni figura di un certo spessore avrà da dire la sua in merito alla situazione nel continente, racconterà della propria regione, della propria vita e così via, a fornire frammenti di narrazioni che il giocatore è chiamato a connettere.
Non sfugge questo breve ma evidente richiamo al buon Planescape Torment, ma le somiglianze finiscono qui. Se da un lato il mondo di gioco appare ricco e significativo nelle parole di chi lo abita, dall’altro a noi questo mondo quasi non viene mostrato perché saremo sempre impegnati sul campo a combattere, a formare o rompere alleanze, a prendere delle decisioni.
L’offerta ludica di Tyranny è la violenza, il combattimento, il sangue. In un mondo dove il male ha vinto sarà più difficile per il giocatore fare la parte del buono e dovrà scendere a compromessi. È l’occasione per molti di rubare, di tradire, di schiacciare sotto i propri piedi l’innocenza dei civili indifesi, e certamente Tyranny riesce in pieno a creare un’atmosfera pesante e dura dove il codice morale di ogni role player buono difficilmente non verrà macchiato.
Ci si sporca le mani in Tyranny grazie alle difficili scelte che il giocatore dovrà prendere e per le ottime meccaniche di fazione. Riguardo a quest’ultime è necessario entrare un attimo nel merito: per ogni partito presente in gioco corrispondono due barre di Favore e Ira che determinano la qualità dei rapporti con ciascuna fazione. Una nostra azione comporta una risposta positiva (favore) o negativa (ira). La sensazione è di essere all’interno di un mondo che risponde con evidenza alle nostre affermazioni. Questa semplice ed efficace feature mostra tutte le sue potenzialità fin dai primissimi minuti di gioco.
La modalità conquista è un gioiello.
Dopo la consueta fase di creazione del personaggio il giocatore entrerà nella modalità conquista, una feature innovativa che permetterà al player di seguire le varie fasi di dominio delle terre dei Tier con l’occhio dello stratega. Infatti, per ogni città o luogo da sottomettere verranno proposte diverse alternative d’azione del tipo aut-aut (ossia che una scelta esclude l’altra), ognuna delle quali andrà a definire la qualità del rapporto con ciascuna delle tre macrofazioni presenti in gioco (Sfavoriti, Coro Scarlatto, Ribelli dei Tier).
Quel che il gioco vuole dire fin dai primi minuti dell’avventura è che ogni scelta ha una sua conseguenza, e duratura. In questa prima fase il giocatore attraverserà la maggior parte delle lande dei Tier lasciando dietro di sé un segno del proprio passaggio e acquisterà una nomea particolare atta a definire fin dal principio la tipologia di equilibri e pesi con le altre forze in gioco.
Questo non significa che le decisioni prese in questa modalità saranno irreversibili, ma solo che costituiranno il punto di partenza di ogni possibile sviluppo diplomatico. Ogni volta che il giocatore metterà piede in una nuova regione si vedrà attaccato oppure applaudito per le sue azioni compiute all’inizio della campagna, e questo rito si ripeterà più volte (a 10, 20 o addirittura 30 ore spese sul gioco) nell’efficace tentativo di mettere in dubbio alcune scelte prese alla leggera o le cui conseguenze forse non erano previste dal player. Per questi motivi, la modalità conquista di Tyranny è un gioiello. Il miglior biglietto da visita del gioco che mostra appieno la qualità dell’offerta ludica.
Ci sarebbe ancora moltissimo altro da dire: l’assenza delle classi a favore della costruzione in-game del personaggio (compreso il miglioramento delle abilità a la Skyrim, in cui più il giocatore ne fa uso più ne è competente), il sistema di combattimento (cosa ci si può aspettare da un RPG vecchio stile, basato sul party, dove il combattimento è in tempo reale con pausa? Caos, soprattutto nelle fasi finali del gioco, troppi personaggi su schermo. Il fatto che sia evidenziata la velocità con cui ognuno dei nostri personaggi impiega a compiere un’azione è sicuramente una buona cosa, e un grandissimo miglioramento rispetto a Pillars Of Eternity, ma non basta affinché il giocatore abbia sotto controllo tutto quello che accade di fronte a lui).
Una nota di biasimo va inoltre alla pochissima varietà degli avversari, eterogenei nelle tipologie di resistenze ma carenti in ambito di abilità e specie. Infatti, per tutto il gioco il player affronterà due soli nemici, umani e Bane (sorta di spettri). Il motore di gioco è il medesimo di Pillars Of Eternity: funzionale, fa il suo lavoro, non sono stati riscontrati bug di sorta. Anche se non possiamo negare vada tutto bene, già due patch, a meno id un mese dalla release, possiamo tuttavia assicurare che il giocatore avrà fra la mani un prodotto solido. Infine, la produzione artistica ha fatto il suo lavoro: se può far storcere il naso vedere sempre gli ordinamenti di abitazioni, la stessa terra, erba, sassi e piante, non si può negare la qualità degli artwork (per interderci, le schede alla fine di ogni arco narrativo) e il design di alcune aree di gioco (pensiamo al già citato Lethian’s Crossing e Edgering Ruins).
Che dire? Tyranny è un gioco che ha molto da offrire sul comparto action e narrativo, ma la ripetizione degli asset è fastidiosa e i pochi luoghi significativi non riescono a salvare un gioco che risulta assai povero sull’aspetto visivo. D’altro canto, la rappresentazione del male è incredibile e affascinante, ma soprattutto coinvolgente, non potrete esimervi dal compiere qualche azione egoista e, di tanto in tanto, decidere di uccidere anziché perdonare. Insomma, se siete tipi con la mano sempre sull’elsa, o semplicemente volete provare cosa significhi stare dall’altra parte e fare il cattivo, Tyranny è il gioco per voi. Per tutti gli altri, il rischio è quello di rimanere con l’amaro in bocca, se non delusi.
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