blackwood crossing

Blackwood Crossing – Recensione

Un treno e due fratelli. Blackwood Crossing impiega poco per buttare il giocatore nel vivo della sua avventura. È come un risveglio da un sonno profondo, oppure l’esatto contrario, ma gli sviluppatori non danno la possibilità di capirlo fin da subito. PaperSeven, lo studio di sviluppo del gioco, è del resto composto da gente già rodata nel panorama del gaming: pur essendo uno studio indie localizzato nel Regno Unito a Brighton, alcuni dei componenti arrivano da Black Rock Studio di Disney, mentre lo scrittore è lo stesso di The Room, ovvero Oliver Reid-Smith.

Insomma, non è una combriccola di amici appena arrivati, ma nemmeno un gruppo in grado di fare affidamento su grandi budget. Eppure, nonostante la natura indie di Blackwood Crossing, PaperSeven è riuscito a portare ai giocatori un progetto lungo due anni, infuso di passione ed emozioni. Eravamo già convinti durante questa estate della sua bontà, ma ora è tempo di lancio ufficiale e siamo dunque in grado di raccontarvi per filo e per segno la storia di Finn e Scarlett.

Come anche gli sviluppatori stessi scrivono, Blackwood Crossing è un gioco guidato dalla storia, che non permette dunque di allontanarsi troppo dalla linea narrativa. Impersonando Scarlett sarà possibile rispondere in modo differente a certe domande e comportarsi gentilmente o bruscamente col fratellino Finn, ma le scelte non avranno un rilevante impatto sulla narrazione: esse servono per generare un profilo personale di Scarlett, disegnando il personaggio a proprio piacimento. Oltre a questo, per sbloccare tutti gli obiettivi è necessario completare la storia più volte, assumendo atteggiamenti diversi.

Fin da subito, il gioco tenta di esplorare il difficile rapporto tra un bambino in tenera età e una ragazzina alle porte dell’adolescenza. Finn è il ritratto dell’innocenza e dell’infantilità, in grado di passare in pochi secondi da un comportamento giocoso, quasi invadente, a uno schivo, schietto e talmente sincero da risultare insolente e poco sensibile nei confronti della sorella. Scarlett, nonostante l’età più avanzata, mantiene il tratto infantile di sentirsi ormai grande, tanto da mettere il fratellino in secondo piano e dare maggiore importanza alla vita di un’adolescente, ora ronzante attorno a un ragazzo di nome Cameron.

Il punto di vista del giocatore è attraverso gli occhi di Scarlett, ma di fatto è Finn ad avere in mano le redini della narrazione, spingendo la sorella prima a giocare con lui e poi a inseguirlo costantemente. Blackwood Crossing non dà alcuna indicazione sul background dei fratelli, se non il fatto che essi siano orfani dei genitori: una volta avviato il gioco, si viene subito immersi nel viaggio su un treno molto insolito, prima reale e poi, mano a mano, sempre più ricco di elementi irreali e legato all’illusione e al sogno.

È infatti Finn, tramite un piccolo gioco, a introdurre Scarlett in una strana dimensione illusoria, dove i genitori dei due ragazzi vivono ancora, oltre ai nonni, a Cameron, a un bullo di Finn e alla sua maestra. La caratteristica principale è che tutti loro indossano maschere di carta, apparentemente senza un significato. Tra di loro si cela però qualcuno di ignoto, un ragazzino con la maschera di un coniglio: pur essendo l’ambientazione quasi sempre ricca di colori, la sua figura è tetra e inquietante, sia per le comparizioni casuali, sia per il modo in cui si approccia al giocatore.

Tramite l’interazione con i vari personaggi, Scarlett può continuare nel suo viaggio all’interno del treno, che improvvisamente prende vie oscure e angoscianti, senza mai però sfociare nella paura. Se all’inizio si potrebbe fare fatica a comprendere la narrazione, con l’andare della storia si svelano importanti particolari e si cominciano a creare i dovuti collegamenti: approfondendo il rapporto tra Finn e Scarlett, scavando nel loro passato reale e fittizio, ripercorrendo le decisioni della ragazza e comunicando con le figure illusorie, è inevitabile sentire la necessità di andare avanti e arrivare a una conclusione, mentre un atroce dubbio comincia a farsi strada nella testa.

Per ora ci sono insomma tutti gli elementi utili per portare ai giocatori una storia con emozioni semplici ma forti, legate a situazioni delicate come quelle degli orfani. La profondità della narrazione non è accompagnata da un gameplay altrettanto studiato, poiché si basa su un numero ridotto di interazioni. Scarlett può e deve parlare con i personaggi ricreati dall’illusione di Finn, tutti con una maschera in volto e in posizioni non consone all’ambiente circostante: i ricordi di Finn sono infatti annebbiati e vanno ricomposti, parlando con le persone in un certo ordine prima di comprenderne la vera conversazione.

Questo è necessario per spostarsi nei vagoni del treno, le cui porte sono altrimenti bloccate da un corrotto velo di oscurità. Solo risolvendo il puzzle dedicato si può accedere alla parte successiva, con una progressione molto simile a quella vista nella demo di P.T.: gli ambienti si ripetono continuamente, variando nella forma e nelle colorazioni per legarsi al mood del momento. Scarlett arriva anche a manipolare misteriosi poteri con le sue mani, rafforzando in lei il concetto che tutto ciò è una mera illusione, senza però comprenderne lo scopo e la fine.

L’interazione non riguarda però solo le persone, ma anche gli elementi ambientali e gli oggetti sparsi per il treno: Scarlett ha infatti un inventario in cui riporre gli strumenti, ma esso si svuota nel cambio di scenario, probabilmente per non confondere il giocatore con oggetti ormai inutili. Non basta dunque premere un tasto, ma serve aver estratto prima di tutto uno strumento per poter interagire con qualcosa nello specifico.

In particolare, quando l’interazione non è necessaria, ma comunque realizzabile, si possono comunque osservare certi elementi, come le varie locandine dei film sparse sul treno: tutte sono state modificate da Finn in modo da diventare lui stesso il protagonista, ma il verso senso è sfruttare le immagini per esprimere il suo stato d’animo, a volte in modo dolce e ironico, altre volte con toni cupi.

Essendo basata su un semplice punto nel centro dello schermo, a volte questo risulta impreciso nella mira, con una zona d’azione ridotta rispetto all’oggetto da selezionare. Bisogna semplicemente prenderci un po’ la mano, anche perché ci sono certi strumenti puramente estetici da collezionare per sbloccare obiettivi, quindi in grado di sfuggire allo sguardo.

Blackwood Crossing, dal punto di vista tecnico, alterna tra texture ben composte e qualche superficialità. Scarlett, ad esempio, sembra fluttuare in aria se si guardano i suoi piedi, ma la camminata ha una velocità e un’oscillazione della telecamera vicine alla sensazione reale. Le animazioni dei personaggi sono a volte approssimative e aprono la porta a sporadici cali di frame-rate, soprattutto quando si guarda attraverso una barriera di oscurità.

La gestione dei colori, necessaria per restituire al giocatore la corretta sensazione da percepire, è invece ottima in tutti i frangenti: il treno passa dai toni vividi dell’introduzione a quelli cupi e tenebrosi dei capitoli successivi. In ogni momento si mantiene chiaro il concetto del sogno, tramite l’utilizzo di soffici sfumature. Anche la colonna sonora segue alla perfezione gli istanti della narrazione, cambiando dinamicamente in base alla situazione, quindi passando da canzoni semplici e soavi a ritmi più marcati e cupi.

Blackwood Crossing sarà in grado di farvi scendere più di una lacrima durante la sua storia

Il doppiaggio è inoltre ben fatto, con voci adatte sia alle persone che ai loro atteggiamenti. Finn, bambino sveglio e vivace, non manca di utilizzare toni squillanti per chiamare la sorella, a volte anche troppo insistentemente, mentre Scarlett, un po’ come ogni pre-adolescente, tende ad avere un accento a volte svogliato e passivo, ma sotto sotto è preoccupata, stranita e vagamente attratta dall’illusione in cui sta viaggiando. Inutile dire che, essendo Blackwood Crossing un titolo indie sviluppato da una casa inglese, PaperSeven, non c’è doppiaggio in italiano, ma sono comunque presenti i sottotitoli nella nostra lingua: si perdono così alcune sfumature e giochi di parole a causa della traduzione, ma i concetti chiave sono spiegati in modo ben chiaro e intuibile.

Non è dunque la lingua a ostacolare un giocatore nel corso della storia, bensì la predisposizione alla risoluzione degli enigmi. Blackwood Crossing si basa soprattutto sull’interazione coi personaggi e con oggetti sparsi per il treno e per gli ambienti successivi, che ovviamente è meglio non indicare nella recensione. Per arrivare alla conclusione sono necessarie dunque circa tre o quattro ore, in base all’intuito e alla propria sete di esplorazione. Può sembrare un lasso di tempo breve, eppure Blackwood Crossing è un gioco indie, con un prezzo fissato a 15,99€ per il nostro territorio e in grado di farvi scendere più di una lacrima durante la sua storia, quindi ne vale veramente la pena.

Conclusioni

Da un gioco come Blackwood Crossing si possono trarre varie lezioni di vita. È costruito per i giocatori in grado di emozionarsi e vogliosi di approfondire una situazione delicata come quella di Finn e Scarlett, apparentemente sereni nella loro esistenza già segnata, eppure sconvolti in due modi differenti da qualcosa di più profondo, un rimorso, un pensiero da cui è difficile, se non impossibile, separarsi. Arrivare alla fine della storia senza avere i lucciconi è sintomo di un freddo cuore di pietra.

Indirettamente, però, un altro target sono gli studi di produzione più grossi: Blackwood Crossing, da bravo gioco indie, punta sulla qualità dell’esperienza complessiva e su una narrazione in grado di toccare le corde sensibili dei giocatori, sacrificando qualcosa in termini di autentico gameplay. Pochi fronzoli sulla grafica dunque, al contrario di molti altri giochi ben più grandi, che fanno della visuale l’unico punto di forza, lasciando dietro di sé spunti narrativi credibili in cui immedesimarsi.

La storia di Finn e Scarlett, per quanto rinchiusa dentro un videogioco e composta da illusioni, sogni e ambienti onirici, è comunque duramente realistica. Potrebbe benissimo rispecchiare non solo la situazione degli orfani, ma anche i drammi familiari a cui tutti probabilmente vanno incontro nella loro vita. Non resta dunque altro da fare che confermare la dichiarazione di PaperSeven: Blackwood Crossing è una magica storia di vita, amore e perdite personali.

Commenti

Recensioni correlate

Tutte le recensioni