syberia 3
30 Apr 2017

Syberia 3 – Recensione

Dopo Syberia 2 ho realizzato due giochi con la mia software house, che mi ha permesso di continuare a raccontare storie – nonostante l’assenza di Kate Walker e una location tutta nuova, l’Africa. Mi sono persino dedicato a disegnare fumetti, un’altra mia grande passione. Poi nulla, sono stato nuovamente “libero” e sono tornato a lavorare su Syberia, ed eccoci qui […]. Perché l’ho fatto? Per soldi, ovviamente. No, sul serio, per me tutto questo è un’avventura, un’avventura che non potrei fare a meno di vivere: del resto, cos’altro potrei fare se non questo?“. Difficile sperare in una risposta migliore da parte di Benoît Sokal quando, tra le accoglienti mura di Ubisoft San Francisco, ci spiegò le motivazioni dei tredici anni di attesa di Syberia 3: un’attesa che non sbaglieremmo a definire quasi eterna, e che – come ammesso da Sokal stesso – avrebbe potuto non finire mai, riservando alle avventure di Kate un finale non certo dei più rosei.

Già, tredici anni: un abisso silenzioso da quell’imprevedibile e angosciante finale, che pareva vanificare del tutto anni di sacrifici, ricerche e avventure costati alla Walker ben più del solo vil denaro. Uno stratagemma narrativo degno del miglior Conan Doyle con L’Ultima Avventura, con la nostra eroina sospesa in bilico tra la vita e la morte e, negli anni a seguire, un numero sempre crescente di giocatori che richiedevano a gran voce un suo ritorno. Ma alla fine, come nelle favole migliori, i desideri degli irriducibili amanti delle avventure grafiche sono stati esauditi: Syberia 3 avrebbe chiuso definitivamente il cerchio aperto da Sokal nel lontano 2002, riprendendo la narrazione degli eventi esattamente nel punto in cui l’avevamo (malvolentieri, almeno per chi vi scrive) lasciata. Peccato che proprio nel momento più importante, quello della maturazione definitiva e del malinconico calo del sipario, l’opera ultima dei parigini di Kylotonn incespichi vistosamente, prestando il fianco ad un anacronismo tecnologico a cui nemmeno una narrazione di alto livello può porre rimedio. Quasi a ricordarci che alla fine, anche nel folklore di Sokal, il viaggio è più bello della meta.

syberia 3Partiamo dall’aspetto indubbiamente più originale di Syberia 3, la narrazione. Sulle doti di cantastorie del signor Sokal non si discute, questo è chiaro anche a distanza di tredici anni, ma difficile non intravedere una flessione, seppur leggera, nell’intricato telaio narrativo. Non che il tassello finale dell’epopea di Kate Walker sia noioso o prevedibile: diciamo piuttosto che la magia e lo stupore che ci avevano regalato alcuni passaggi dei capitoli precedenti si fanno sentire oggi in modo meno deciso. Paradossalmente, pur trattandosi del naturale proseguo della sceneggiatura del 2004, Syberia 3 può essere tranquillamente giocato anche da chi la serie non l’ha mai vista prima di oggi: chiaro, impossibile cogliere tutte le sfumature e l’autocitazionismo a cui questo terzo capitolo non rinuncia, ma difficilmente (e i più vecchietti lo ricorderanno di sicuro) avremmo potuto dire lo stesso del secondo capitolo. Syberia 3 si reinventa e si reinterpreta, sostituendo enormi “Struzzi delle nevi” ai leggendari Mammut ad esempio, ma non riesce ad essere sempre incisivo o evocativo come avremmo voluto, o come semplicemente ricordavano gli excursus precedenti. Il che non significa affatto ritrovarsi a fare i conti con dodici ore di sonnifero digitale: la storia c’è, parte lentamente e si apre nella parte centrale con intelligenza. Ma non decolla mai come ci si aspetterebbe, e si abbandona ad un finale veloce, ben lontano da quello a cui avremmo sperato di assistere.

Il che, alla luce delle atmosfere regalate da alcune sezioni di gioco, è davvero un peccato. La mano e lo stile di Sokal si vedono lontano un miglio, con quelle location quasi utopistiche da regime sovietico alla massima espansione e quelle istantanee da cartolina, dove neve e vegetazione sembrano aver preso il controllo di tutto. Il fascino, a prima vista, non manca certo: e questo indipendentemente dall’aggiunta di una “dimensione” in più, prima new entry decisiva nell’economia di gioco di Syberia 3. Se i titoli precedenti vantavano un sistema di movimenti su “due dimensioni e mezzo”; il terzo capitolo permette di muovere liberamente Kate col classico WASD (da tastiera) o con lo stick sinistro del pad: e lo scopo sarebbe anche dei più nobili, garantire al giocatore la massima libertà di esplorazione. Ma ancora una volta, qualcosa va storto …

Anche nel folklore di Sokal, il viaggio è più bello della meta.

Il sistema di controllo di Kate, inutile girarci attorno, è fallato. Impreciso, lento e caratterizzato da animazioni tutto tranne che reattive, lo schema con cui comandare la nostra esploratrice è il punto più debole dell’intera produzione di Kylotonn. Muovere opportuni oggetti di scena non sarà solo complicato “già di per sé” – causa questa generale legnosità – ma verrà reso alle volte ancor più fastidioso da inquadrature ben lontane dal concetto di fruibilità. Certo, lo stick destro permette di aggiustare leggermente la visuale, centrando il nostro obiettivo e facilitando (alle volte in modo drammatico) la risoluzione dell’enigma: ma impossibile, e ve ne accorgerete già dalle prime ore di gioco, non avvertire una certa “frettolosità” nella realizzazione di tale aspetto. Che, proprio alla luce della migrazione alla terza dimensione, diventa tanto critico quanto cruciale.

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Per quanto concerne gli enigmi, marchio di fabbrica del franchise sin dal giorno dell’insediamento, impossibile non cogliere quel denominatore comune che da lungo tempo in tanti apprezzano. I puzzle sono ben calibrati e, nel complesso, equilibrati nella sfida che propongono. In alcune occasioni si avverte ancora una sorta di forzatura (quando, ad esempio, per risolvere un enigma dovremo necessariamente parlare con un dato Youkol pur sapendo nitidamente la soluzione), ma l’impianto creato dallo sviluppatore funziona egregiamente. Interessante l’introduzione di una doppia modalità di gioco, che offre le varianti Avventura o Viaggio a seconda del “rapporto” del giocatore con le tradizionali avventure grafiche: il primo, Avventura, è rivolto agli affezionati di Kate Walker, che si troveranno privati di qualsiasi aiuto visivo, suggerimento o nota e dovranno far affidamento esclusivamente al proprio intuito per muoversi nella storia principale. Molto più accomodante il secondo, Viaggio, che esaltando la componente narrativa oltre offre una nuova interfaccia di gioco (non sempre comodissima, ad onor del vero), evidenziando con apposite icone personaggi o oggetti con cui interagire e sottolineando anche le conseguenze delle scelte da noi effettuate – normalmente, nel corso di dialoghi a risposta multipla – in termini di relazioni con altri NPC. Sapremo dunque subito se la nostra risposta avrà indispettito un personaggio non giocante o, al contrario, se saremo riusciti a guadagnare in toto la sua fiducia: non che questo cambi l’esito della nostra ricerca, sia chiaro, ma potremmo andare incontro a difficoltà maggiori cercando di reperire informazioni primarie da individui che non ci vedono di buon occhio.

I puzzle sono ben calibrati ed equilibrati nella sfida che propongono.

Meno rosea la situazione da un punto di vista più tecnologico, almeno sulla versione PS4 Pro da noi provata. Un level design interessante e ricco di scorci da cartolina (nonostante una lecita tendenza al backtracking, specie nelle fasi più avanzate del playthrough) non basta a nascondere una serie di problematiche di natura più tecnica, primo su tutti un frame rate poco stabile, costellato da rallentamenti non occasionali e tempi di caricamento alle volte esagerati. Graficamente parlando, Syberia 3 non fa certo gridare al miracolo, ma saremmo disposti a chiudere un occhio accettando quello stile un po’ retrò (che, in un’avventura grafica, tutto sommato può anche starci) se non dovessimo fare i conti con animazioni legnose ed espressioni facciali sin troppo datate. Tolta Kate, che al netto di una somiglianza preoccupante con Lara Croft gode di una discreta carica poligonale e di un’espressività complessivamente ragionevole, il restante set di NPC che andremo ad incontrare non presenta lo stesso trattamento di favore: dagli Youkol, pericolosamente simili uno all’altro indifferentemente dal proprio sesso, ai “cattivi” – come la dottoressa Olga Efinova o il famigerato generale russo, decisamente più “brutti” che “caratterizzati da veri antagonisti”. Mancano dunque quella rifinitura e quella cura del dettaglio imprescindibili nell’attuale generazione, normalmente necessarie ad eliminare ogni eventuale patina di anacronismo tecnologico. Una patina che in Syberia 3 può affascinare sì all’inizio, ma che diventerà fastidiosa ben prima della tanto attesa migrazione degli Struzzi delle Nevi.

Conclusioni

C’è un aspetto di Syberia 3 che, già a pochi secondi dall’avvio del gioco, spalanca un mondo di ricordi piacevoli ai seguaci di Sokal: le musiche. Quelle musiche orchestrali soavi, imponenti, che nell’arco di poche note riescono a strappare il giocatore per trasportarlo in una fiaba senza tempo, dove la ricerca della famigerata Syberia altro non è che la metafora del viaggio di un popolo alla ricerca della propria identità. Una colonna sonora sopra le righe, che a distanza di tredici anni ricorda ancora come, oltre due generazioni fa, mollare la frenesia di New York e seguire l’avventura più incredibile e pericolosa del mondo sia stata la scelta migliore che potessimo fare. Peccato che musiche, un doppiaggio esclusivamente in lingua inglese (sottotitolato in italiano) e un set di enigmi interessanti esauriscano i pregi indiscutibili di Syberia 3, incapace di offrire una narrazione avvincente come le precedenti e, cosa più preoccupante, di presentare un layer tecnologico non certo futuristico, ma almeno al passo coi tempi.

Dopo questo lungo silenzio, lo ammettiamo, ci saremmo aspettati qualcosa di più da Syberia 3. Sarà per colpa di un finale che scivola via senza nemmeno celebrare in modo adeguato una delle avventure digitali più amate di sempre, sarà per degli evidenti cali di frame rate e altre magagne fastidiose una volta stretto il pad tra le mani, ma le dodici ore di questo terzo e ultimo episodio non sono riuscite a regalarci quella scarica emotiva e quell’oceano di ricordi che, a ben vedere, avremmo quasi dato per scontati. Sarà per un’altra volta, Kate Walker, o forse per un’altra avventura.

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