RiME

RiME – Recensione

E3 2013, Memorial Sports Arena, Press Conference di Sony. In una conferenza dominata dall’atteso reveal di PS4 e dall’apparizione di esclusive esagerate, almeno per i tempi, come The Order 1886, nessuno avrebbe scommesso una lira su Tequila Works. Nessuno, in realtà, avrebbe potuto prevedere il breve reveal trailer di RiME, nuova IP dello studio con base a Madrid emersa dall’anonimato soltanto pochi mesi prima con Deadlight. Non che Raúl Rubio Munárriz e soci fossero gli ultimi arrivati sul mercato, considerandone i relativi trascorsi in quel di Blizzard: ma l’eco scatenata da quel piccolo titolo indipendente, esclusiva del colosso giapponese per l’ammiraglia appena annunciata, ebbe davvero dell’incredibile. Del resto, come non lasciarsi affascinare da un titolo così fortemente evocativo, il cui profumo di Ico e The Legend of Zelda: The Wind Waker si lasciava respirare a chilometri di distanza?

Come spesso appare in questo settore, tuttavia, le premesse meravigliose non impedirono al corso degli eventi di prendere una piega inaspettata. Così com’era stato annunciato RiME scomparse improvvisamente dai riflettori, perdendo ogni parentela unilaterale con PlayStation e scivolando in un pericoloso oblio. Un oblio squarciato soltanto poco più di un anno fa, quando lo stesso Munárriz non solo ribadì la piena vitalità del progetto, ma anche una sua seconda vita multipiattaformaSwitch incluso, seppur a distanza di un paio di mesi – a partire dalla fine di questo Maggio. Oggi, finalmente, abbiamo portato a termine una delle avventure più poetiche ed emozionanti di questa generazione: un titolo capace di stringerci lo stomaco come pochi altri e, al netto di qualche lieve incidente di percorso, di imprimersi nei nostri ricordi ad imperitura memoria. Questo è RiME, la perla rara di Tequila Works: e questa è la sua storia.

RiME

RiME abbraccia un percorso tutto tranne che facile nella propria narrazione, che abbandona ogni riferimento verbale o testuale a vantaggio di un approccio squisitamente sensoriale basato sulla poesia dei suoni e delle immagini. Certo, “un’immagine vale più di mille parole”, ma etichettare l’esperienza del titolo con questo noto aforisma appare quasi riduttivo, se non semplicistico.  In RiME ci si ritrova nei panni di un ragazzo senza nome, dalla pelle scura e dalle vesti che inesorabilmente ricordano quelle del primo eroe di Fumito Ueda. Un risveglio inaspettato, in una spiaggia all’apparenza del tutto inabitata battuta inesorabilmente da un mare azzurro persino più del cielo. Ci si ritrova spaesati, soli in un paradiso dalle nitide tinte mediterranee popolato da una fauna padrona dell’isola: non vi è alcun indizio su cosa fare o dove andare, solo la certezza di doversi muovere lasciandosi la spiaggia alle spalle, attraversare le ripide pareti rocciose che limitano il nostro sguardo e cercare qualcosa. Qualcosa che, almeno per ora, non ci è dato di sapere.

Già da questo incipit dovrebbe apparire chiaro come l’esplorazione rappresenti la chiave di lettura principale di RiME: un’esplorazione catartica, dall’impatto emotivo devastante, metafora di un percorso di crescita del nostro stesso alter ego inizialmente oscuro e indecifrabile, ma destinato ad apparire in tutta la propria dirompente carica in un climax conclusivo – che, difficilmente, vi risparmierà da qualche lacrima. RiME, in questo frangente, attraversa il solco tracciato anni or sono dal già citato Ueda, offrendo un gameplay di chiara matrice esplorativa infarcito da una lunga serie di enigmi, necessari a guadagnare l’accesso alle aree successive – che vanno a comporre i cinque scenari di cui il titolo si compone.

l’opera di Tequila Works incanta e ammalia

Non si tratta di Puzzle diabolici alla The Witness, nonostante l’impressione scaturita dall’ambientazione bucolica ricordi distintamente il capolavoro di Blow, ma piuttosto di enigmi di carattere ambientale che richiederanno, di volta in volta, di sbloccare enormi portali utilizzando opportuni “interruttori”, di giocare con la prospettiva per tracciare i contorni di una porta (destinata ad apparire magicamente dalla roccia), di trascinare o raccogliere oggetti (dalle rocce alla frutta, magari per attrarre qualche cinghiale affamato) da contestualizzare opportunamente nello scenario raggiunto. Il tutto senza dimenticarsi della nostra voce, unico elemento sonoro “umano” di RiME utilizzato dal protagonista per far divampare la fiamma racchiusa in torce o bracieri o, in modo molto più frequente, per attivare opportuni interruttori che reagiscono alla vibrazione delle nostre corde vocali. Un “grido” destinato pian piano a tramutarsi in un canto soave, una melodia malinconica che va ad accompagnare magistralmente una delle migliori colonne sonore di questa generazione.

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Un viaggio dentro sé stessi, dicevamo: un esperienza scandita dallo scrosciare del mare, dal suono del vento che si staglia su torri di roccia millenarie e piccole foreste. Impossibile non scorgere in RiME alcuni tratti di Journey, altro capolavoro indiscusso di questo medium, che vanno a materializzarsi progressivamente in quella figura irraggiungibile ammantata di rosso che appare all’orizzonte ad indicarci la via, per poi scivolare sotto i nostri occhi. Una figura familiare e misteriosa allo stesso tempo, silenzioso guardiano del nostro cammino destinato a fomentare dubbi e confusione. Una confusione costante, che sublima il senso dell’avventura stessa in una perenne dicotomia tra ricerca e senso di smarrimento: gambe in spalla allora, in una marcia faticosa verso la verità ultima accompagnati da una piccola volpe giocosa, unica compagna fedele in questa avventura più unica che rara.

Nonostante i forti paralleli finora espressi, è impossibile non notare in RiME un carattere ed una personalità peculiari: non stiamo certo parlando di un titolo votato all’azione e alla spettacolarità, nonostante la piega survival che il team di sviluppo, almeno inizialmente, aveva progettato. RiME rifugge del tutto la violenza, anche quando avremo a che fare con nemici capaci di attentare alla nostra esistenza – e, contro i quali, saremo chiamati ad agire usando l’astuzia e la logica piuttosto che la forza bruta. Tequila Works non innova, ma infarcisce la propria opera magna con trovate intelligenti e semplici soltanto all’apparenza, regalando un senso di appagamento completo sia quando si tratta di risolvere puzzle o situazioni intricate, sia quando l’esplorazione attenta ci premia con uno dei numerosi collezionabili disponibili (suddivisi in quattro tipologie distinte). RiME non è lento: ha un battito cardiaco proprio, unico, che batte all’unisono con quello del mare e di quello scorcio mediterraneo di cui è impossibile non innamorarsi. Non serve la fretta, in una ricerca viscerale in quella distesa azzurra che è dentro di noi: basta lasciarsi andare, schiudere le nostre barriere protettive e abbandonarsi alle emozioni più “umane” che ci caratterizzano.

Una perenne dicotomia tra ricerca e senso di smarrimento

Dal punto di vista tecnologico la versione PS4 Pro di RiME non ha mostrato particolari incertezze, se non qualche occasionale calo di frame rate in un paio di scene esterne più complesse della norma. Per il resto, Tequila Works confeziona un pacchetto eccellente, forte di una direzione artistica sublime e di una fluidità complessivamente encomiabile. Plauso alle animazioni del nostro alter ego, precise e veloci anche nei dettagli meno significativi, applausi scroscianti per un level design che si reinventa scenario dopo scenario, regalando inquadrature mozzafiato grazie ad un sistema di telecamere orchestrato con sapiente gusto. Nulla da dire, lo ribadiamo, sulla colonna sonora di RiME: la perfezione è una soglia difficilmente raggiungibile, ma mai come questa volta lo sviluppatore ci è andato vicino. Tequila Works voleva suggestionare il giocatore non a parole, ma estasiandone i sensi principali (vista e udito), facendone scaturire un enorme mare di emozioni: ci ha messo più tempo del previsto, ma il risultato parla da solo.

Conclusioni

C’è qualcosa di magnifico in RiME, qualcosa che soppesa più che favorevolmente l’assenza di quel guizzo davvero innovativo in un gameplay che sì, funziona alla grande, ma che abbiamo già avuto modo di sperimentare in altre occasioni. Eppure l’opera di Tequila Works incanta e ammalia, accompagnando progressivamente il giocatore in un universo misterioso ed introspettivo con un ritmo pacato e conciliante, per poi premere sull’acceleratore nella parte conclusiva con uno di quei finali di cui, senza alcun dubbio, sentiremo parlare da qui a molto tempo.

Al netto di una longevità che si assesta tra le otto e le dieci ore – destinate comunque a salire qualora, e ve lo consigliamo caldamente, decideste di partire alla ricerca di tutti i collezionabili – ci risulta pressoché impossibile non consigliare RiME: un gioco che testimonia l’amore per questo medium da qualsiasi parte lo si osservi, che grida a gran voce come grande opera e grande budget siano due concetti non necessariamente interdipendenti. Che ci ricorda ancora una volta come le belle storie, dopotutto, riescono ancora a far breccia nei cuori di chi le sa leggere. E che se davvero esiste un mare profondo dentro ciascuno di noi, non esiste cosa più bella che perdersi tra le sue onde.

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