E3 2017

E3 2017

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Los Angeles – Quando un gioco viene proposto in realtà virtuale fin dall’inizio e non come versione secondaria di qualcosa di già esistente, significa che potrebbe essere davvero intrigante. Transference, sviluppato da SpectreVision e FunHouse, divisione di Ubisoft Montreal, ha subito catturato l’attenzione sia per la presenza di Elijah Wood in quanto fondatore dello studio di sviluppo, sia per il velo di inquietudine che ha saputo stendere sulla presentazione.

Non è stata infatti una prova come le altre presso l’E3 2017. In quanto persone “con esperienza nell’industria dei videogames”, come descritto nel foglio di adesione consegnatoci dagli sviluppatori, siamo stati selezionati per essere possibili cavie volontarie nell’esperimento. Abbiamo dunque provato il gioco, ma è stato anche il gioco a provare noi.

Giocato con Oculus Rift e Oculus Touch, Transference è in arrivo il prossimo anno anche sulle altre piattaforme di realtà virtuali, ovvero HTC Vive e PlayStation VR. Sarà però disponibile una versione per PS4Xbox One giocabile semplicemente con un joypad, nonostante questo possa allontanare molto il giocatore dalle sensazioni che un visore può dare, specialmente per giochi come Transference.

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Un foglio illustrativo, un nome ed una videocassetta. Così inizia la prova di Transference, mentre si guarda il volto di un analista che ci spiega la nostra funzione: metterci nei panni di Walter, paziente presso una struttura psichiatrica con un grave caso di PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder). Il nostro ruolo è scendere nei panni del protagonista, sfruttando la tecnologia della realtà virtuale per studiarne la ricostruzione dei ricordi e capire cosa sia successo a livello familiare per creare un simile danno alla salute di Walter. Nella videocassetta esplicativa, targata 2003, l’analista si preoccupa di dare qualche dettaglio sullo sfondo narrativo, spiegando dunque che Walter ha vissuto un momento traumatico da studiare. Particolare è la ripetizione della frase “Siete completamente al sicuro”, detta più volte e con una faccia sempre meno convinta e quasi colpevole.

Dopo l’introduzione è dunque il momento di inforcare Oculus Rift e prendere in mano i due Oculus Touch, veicoli dell’esperienza VR. La loro raffigurazione all’interno del gioco è ottima, grazie a due mani virtuali sempre in bella vista e in grado di afferrare gli oggetti. Il movimento è legato invece agli analogici, con la possibilità di ruotare a scatti la telecamera per decidere la direzione in cui andare: lo spostamento della visuale è comunque fluido e per nulla stancante per l’occhio. Motion-sickness quindi ridotta a zero.

Il ricordo virtuale di Walter è, appunto, virtuale e dunque soggetto a imprecisioni. Ci si accorge di ciò dopo pochi secondi, mentre si cammina nello scuro corridoio della sua abitazione. Una voce infantile, rappresentata da un bambino, è personificata da una figura poligonalmente incompleta che non vuole assolutamente stare accanto a noi e ci respinge continuamente. Consci che sia soltanto finzione, continuiamo invece nell’esplorazione della casa, entrando in cucina e nel soggiorno, stanze vistosamente rovinate dal tempo e dall’incuria. Interagendo con alcuni oggetti si dà inizio agli eventi della simulazione: in particolare, l’interruttore della luce non fa assolutamente quello per cui è stato costruito, bensì catapulta il giocatore indietro di 10 anni nel tempo o lo riporta al momento del ricordo principale. Ciò è utile nel momento in cui si ha qualcosa in mano, poiché la nostra persona non è affetta dal cambio temporale. In cucina, ad esempio, c’è una porta chiusa: occorre tornare indietro nel tempo per recuperare la chiave e aprire la porta, in modo da dare inizio all’evento successivo.

Transference vive di questo, un mix tra esplorazione e indagine per ricostruire gli eventi passati di un malato mentale. Proprio la sua condizione clinica va a disturbare la visione del gioco, modificando la percezione di alcuni oggetti e creando interferenze nella simulazione. Probabilmente ciò accade proprio nel momento in cui il giocatore comincia a modificare il ricordo, interagendo con gli oggetti messi a disposizione. La porta può infatti essere ora aperta, permettendo di scendere le scale verso lo scantinato: qui ci si imbatte in una figura losca, molto celere nel voltarsi, puntarci un fucile contro e farci esplodere la testa. Consci che le nostre azioni vengono mantenute nella simulazione, torniamo dunque “quasi” sani al punto di partenza, ma in un momento temporale diverso e con la possibilità dunque di scendere nello scantinato senza incontrare nuovamente qualcuno che ci uccida.

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Continuando a variare tra le due linee temporali del gioco, quella principale va avanti e il bambino continua a respingere la nostra presenza, a volte premendo lui stesso l’interruttore della luce. La stabilità del ricordo è quindi sempre più compromessa, arrivando a presentare oggetti fluttuanti e con disturbi simili alla mancanza di segnale nelle antenne delle vecchie TV. Le stanze si trasformano, lo scantinato è l’apice della distorsione mentale dopo aver interagito con il gioco Jenga sul tavolo, probabilmente il preferito nel bambino. In realtà virtuale, Transference è un titolo che fa entrare ed entra nella mente delle persone, riuscendo a creare un mondo dove il giocatore non solo vive la storia in prima persona, ma sente di esserne parte e di avere un ruolo chiave per cambiare le sorti della famiglia, in bene o in male.

Il termine della versione dimostrativa è infatti un corridoio lungo e oscuro, con i pezzi del Jenga sospesi in aria e da guardare in una certa direzione per sbloccare la porta finale. Una volta aperta, ci si è presentata l’azione agghiacciante che potrebbe aver scatenato in Walter la sua malattia mentale, ma non vi rovineremo la sorpresa in questa anteprima. Gli interrogativi sono infatti molti e la voglia di continuare ad esplorare è enorme, tanto da doverci rivolgere con gli occhi speranzosi agli sviluppatori e chiedere “What’s next?”.

Transference fa entrare ed entra nella mente delle persone

Il coinvolgimento di Transference è talmente forte che risulta difficile trovare punti negativi nella sua costruzione, quindi bisogna andare fuori dal gioco. Agli sviluppatori è stato chiesto quale sia il supporto per le altre piattaforme, ricevendo come risposta una solare apertura a HTC Vive, PlayStation VR, PS4 e Xbox One. Alla contentezza dello sviluppatore durante la dichiarazione c’è però stata la nostra perplessità nei confronti del lancio su PS4 e Xbox One, quindi senza la componente VR. Transference funziona soprattutto grazie alla realtà virtuale, dunque un semplice schermo potrebbe togliere senso al suo coinvolgimento emotivo e sensoriale e rendere il gioco un po’ piatto.

In ConclusionE3

Se si esce dalla presentazione di un gioco con la voglia di sapere di più, significa che il titolo in questione ha centrato in pieno l’obiettivo. Transference sfrutta al meglio la realtà virtuale poiché fa della medesima lo stesso medium all’interno del gioco. È un esperimento plausibile, inquietante nella sua costituzione. Un viaggio nel ricordo virtuale di un uomo che ha visto in un momento traumatico la fine della sua sanità mentale.

Transference è sicuramente un titolo da tenere nel proprio mirino, in attesa del suo lancio per i primi mesi del 2018.

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