Ammettiamolo: quando viene usata con un po’ di sale in zucca, anche l’ecolocalizzazione può rivelarsi una ragionevole figata. Ci ha provato un paio d’anni or sono Beyond Eyes, uno dei primi esperimenti di gameplay interamente sound-oriented apparso sull’attuale generazione di console e PC; allo stesso modo ci hanno provato i ragazzi di The Deep End Games con Perception, insolito horror story-driven in cui, nei panni di una ragazza non vedente, dovevamo muoverci all’interno di una casa “stregata” cercando di svelarne le misteriose origini del male. In pochi ricorderanno tuttavia Lurking, esperimento made in Singapore del 2014 sviluppato da un paio di studenti appassionati di horror e videogiochi, che cercava di contestualizzare in un walking simulator dal jumpscare facile la meccanica dell’ecolocalizzazione, aggiungendo però un elemento distintivo. Perché non catturare i rumori dello stesso giocatore, magari con un microfono, e trasformare il suono da lui prodotto in una lama a doppio taglio, indispensabile per muoversi nell’oscurità ma pericolosamente destinata ad attrarre a sé attenzioni spiacevoli? Un bisbiglio, un colpo di tosse incontrollato, un sussulto nell’intravedere in lontananza una figura pericolosa che si muove nella nostra direzione… Un’idea nobile, quella di Lurking, che abbiamo provato da vicino lo scorso febbraio in occasione della GDC di San Francisco nella sua forma “finale”, che risponde al nome di Stifled.
Una forma tanto interessante quanto ambiziosa, per ammissione dello stesso team di sviluppo, evolutasi silenziosamente negli ultimi sei mesi sino a giungere sul palcoscenico della conferenza di Sony in quel della Paris Games Week: cosa meglio di un titolo come Stifled, cupo e infido, per allietare la nottata di Halloween dei giocatori? Dopo aver passato un paio di lugubri serate in compagnia della creatura di Gattai Games e di PS VR, possiamo confermarvi che, questa fantomatica ecolocalizzazione, in VR ha davvero un fascino mica da ridere: peccato che non basti da sola a sollevare un titolo che ha tantissime buone intenzioni, ma decisamente meno “esperienza” sul campo.
Stifled è pienamente compatibile con il visore di casa PlayStation, laddove l’intero playthrough potrà comunque essere affrontato in modo tradizionale stringendo un DualShock 4 tra le mani – a patto di rinunciare ad un paio di caratteristiche, almeno inizialmente, particolarmente interessanti. La prima, e più scontata, è la consueta componente emotiva di immedesimazione: in un titolo dallo stile così peculiare, dove per gran parte del tempo ci ritroveremo immersi nel buio più pesto a muoverci quasi a tentoni, l’effetto sorpresa di PS VR non è affatto trascurabile. La seconda, più sottile, è la rinuncia al microfono del visore per il riconoscimento vocale del giocatore, sopperita da un più freddo tasto (R2) la cui intensità di pressione andrà a determinare il volume del rumore prodotto dal nostro alter ego. Non che Stifled non sia godibile in versione liscia, questo è chiaro: ma l’effetto iniziale in Realtà Virtuale è ragionevolmente destabilizzante e capace di regalare momenti tutto sommato memorabili. Peccato però che questo effetto svanisca più rapidamente del previsto.
Nelle circa tre ore di playthrough necessarie a raggiungere i credits del titolo Gattai andremo ad indossare i panni di David Ridley, misterioso individuo dal presente particolarmente tormentato e, proprio per questo, vittima di incubi – o visioni? – tutto tranne che confortanti. Un po’ come svegliarsi nella propria camera da letto e, dopo aver rincorso una fugace apparizione, ritrovarsi immerso in una dimensione cupa come la notte, presidiata da creature mortali dalle fattezze di neonati e dalle orecchie particolarmente sensibili. Una sceneggiatura un po’ troppo semplicistica e abusata, per certi versi, che vi lasceremo il piacere di scoprire onde risparmiarci di incappare in spoiler pericolosi: diciamo che sì, un paio di spunti interessanti saranno presenti nelle battute finali, ma difficilmente farete molto caso alla narrazione man mano che vi addentrerete negli “scenari” di Stifled.
Ecolocalizzazione, dicevamo. Ad esclusione di alcune fugacissime sequenze dove riusciremo davvero a vedere il mondo che ci circonda senza ricorrere al nostro senso speciale, Stifled è ambientato pressoché interamente al buio. Produrre un rumore, che sia tramite il microfono di PS VR o col trigger R2, che sia camminando o correndo su una piattaforma metallica, sulla roccia nuda o su un rivolo d’acqua stagnante, produrrà delle onde sonore concentriche di raggio via via crescente – in relazione all’intensità della sorgente sonora prodotta. In modo analogo a quanto visto in Perception, l’onda sonora generata andrà a delineare i contorni di oggetti, location, porte o altri elementi che compongono lo scenario corrente, dandoci una rappresentazione tridimensionale in tempo reale – indubbiamente interessante, dal punto di vista stilistico. Maggiore il rumore prodotto, maggiore l’area visibile temporaneamente a nostra disposizione: una possibilità decisamente più fruibile dai possessori di PS VR, che modulando il suono prodotto dalla propria voce potranno accontentarsi di “accendere” un fugace intorno, bisbigliando appena, o illuminare l’intera area di gioco con un “vocalizzo” decisamente più sostenuto.
Inutile dire che, trattandosi di un horror abbastanza incline al famigerato jumpscare, in Stifled non sarà possibile mettersi a cantare a squarciagola sino a raggiungere qualcosa di concettualmente simile “all’uscita del labirinto”. Maggiore il rumore da noi prodotto, maggiore sarà l’interesse di quei famigerati bambolotti dai contorni rossi e vibranti, non certo pigri quando si tratta di mettersi sulle nostre tracce: l’imperativo non si ridurrà dunque all’evitare un contatto “visivo”, laddove esso sarà destinato a concludersi impietosamente nell’arco di pochi secondi, ma bisognerà anche mantenere una certa distanza di sicurezza dai nostri agghiaccianti aguzzini – visto e considerato che la stabilità mentale del nostro alter ego calerà drammaticamente all’aumentare della loro vicinanza. Tocca dunque muoversi con un minimo d’arguzia e pianificazione, sfruttando a nostro vantaggio la geometria degli scenari e, ad esempio, sassi o detriti vari per attrarre l’attenzione nemica nel fondo di un vicolo cieco – permettendo a David di scivolare “tranquillo” alle sue spalle. Il che, sulla carta, parrebbe anche funzionare a dovere: peccato che la magia finisca davvero troppo in fretta.
Stifled è un esperimento interessante, ma c’è ancora molta strada da fare
Per quanto possa sembrare incomprensibile parlando di un titolo che si conclude comodamente in poco meno di tre ore, l’effetto positivo iniziale (della variante VR, in particolare, ma il discorso vale anche per quella “liscia”) di Stifled scema in modo forse troppo spedito, lasciando il giocatore nel mezzo di un universo che ok, stilisticamente avrà anche il proprio perché, ma soffre di una ripetitività nelle proprie strutture ai limiti dell’allarmante. I jumpscare rimangono, seppur la presenza dei crudeli bambolotti sia abbastanza sporadica, ma il terrore con cui ci si avvicina le prime volte ai nemici sparisce rapidamente cedendo spazio alla ripetizione di pattern specifici dall’esito già digerito: trova diversivo, usa diversivo, sgattaiola alle spalle facendo il minimo rumore possibile. Il tutto senza dimenticare l’effettivo apporto del microfono: che parte in pompa magna, per carità, ma anch’esso finisce per essere abbandonato nel dimenticatoio dopo nemmeno un terzo del gioco, cedendo il passo al più “tradizionale” R2. Certo, rimane il “rischio” legato ai rumori involontari per i possessori di PS VR: ma non saremo certo noi a negare che si tratta di un’evenienza, alla lunga, davvero ai limiti dell’improbabile.
Riserviamo l’ultimo appunto a chiunque vorrà vivere “al meglio”, almeno secondo lo sviluppatore, quanto Stifled abbia da offrire. Pur non trattandosi dell’esperienza più fastidiosa disponibile nella line-up di PS VR, i giocatori più inclini ai disturbi della motion sickness andranno incontro ad un playthrough virtuale non certo dei più leggeri – una situazione che definiremmo quasi controintuitiva, dovessimo basarci sulla sola direzione artistica del titolo. Pur essendo avidi consumatori della VR, nel corso della nostra prova ci siamo concessi un paio di pause extra da 15/20 minuti ciascuna prima di immergerci nuovamente nei labirintici corridoi creati dai giovani sviluppatori di Singapore. Se siete giocatori particolarmente sensibili alla VR, insomma, o doveste avere un brutto rapporto con quella che in termini medici viene chiamata chinetosi, potreste trovare in Stifled un ragionevole ostacolo.
Saremo onesti, un po’ in Stifled ci avevamo creduto. L’entusiasmo della nostra prima prova lo scorso febbraio, quel brivido che scorre lungo la schiena mentre indossi PS VR e ti accingi ad entrare in un incubo fatto per lo più di buio e di onde sonore, quel mix di disorientamento e sana paura a cui l’ecolocalizzazione ci ha abituato nell’ultimo periodo… Diciamo che sì, le premesse alla base di Stifled non erano affatto male: aggiungiamoci uno stile semplice ma efficace e un paio di trovare potenzialmente interessanti, utilizzo del microfono in primis, e capirete per quale motivo chi vi scrive aveva accolto con sommo piacere l’annuncio del titolo nel corso dell’ultima conferenza Sony a Parigi. Mettiamola così: a Gattai Games non mancano le buone intenzioni, anzi. Manca forse un po’ d’esperienza, cosa comprensibile alla luce della giovanissima età del team di sviluppo, e la capacità di riuscire a mantenere ritmo, tensione e gameplay ad un livello soddisfacente per tutta la durata de playthrough: passi la componente narrativa, decisamente sottotono rispetto alle altre, ma non passerà più di un’ora prima di cessare di stupirsi davvero delle sorprese di Stifled, o di ritrovarsi atterriti “dietro” al visore di casa Sony immobilizzati dalla paura. Il tutto al netto di una motion sickness non certo trascurabile, per quanto soggettiva essa possa essere. Stifled, insomma, è un esperimento interessante, in grado di infrangere le barriere dell’universo “scolastico” per approdare ad un’inattesa dimensione consumer. C’è ancora molta strada da fare, per carità: ma da qualche parte, al buio, si dovrà pure cominciare. |
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