Divinity: Original Sin 2 – Recensione

Il genere degli RPG sta vivendo, negli ultimi anni, una seconda giovinezza grazie alla quale è riuscito ad affrancarsi, anche per via di produzioni di altissima qualità, da quella nicchia in cui, sin dalla notte dei tempi, era stato relegato. Prodotti come Dragon Age: Inquisition, The Witcher 3: The Wild Hunt, Torment: Tides of Numenera, Pillars of Eternity (di cui a breve uscirà un seguito) e Divinity: Original Sin hanno fatto da traino puntando fortissimo i riflettori della fama su un genere mai apprezzato in modo globale. Non è un caso che tre di questi cinque titoli, compreso il diretto predecessore del prodotto che analizziamo oggi, abbiano scelto Kickstarter come metodologia di raccolta fondi, condividendo sin da subito le idee alla base delle loro produzioni con la fanbase che, oltre ad averle finanziate, le ha acclamate a gran voce a lavori terminati. Seguendo dunque le orme percorse con il diretto predecessore, i ragazzi di Larian Studios si sono affidati nuovamente alla nota piattaforma di crowdfunding per finanziare quello che, nella loro visione, sarebbe dovuto divenire il miglior gioco di ruolo di sempre: Divinity: Original Sin 2.

Ci troviamo dunque di fronte ad una mera operazione di marketing, per quanto ben orchestrata o, per davvero, al nuovo metro di paragone di questo genere? Scopriamolo insieme.

 

Se il primo Divinity ha portato inaspettatamente i Larian Studios ai vertici dell’olimpo videoludico in ambito RPG, il secondo capitolo rappresenta, per il piccolo studio belga, l’occasione per la definitiva consacrazione: seguendo dunque lo stesso iter di sviluppo del capostipite, i Larian si sono affidati a Kickstarter per finanziare anche il secondo episodio, in situazioni però nettamente differenti da quelle che furono. Mentre il ricorso al portale di crowdfunding fu fatto per far fronte alle difficoltà economiche in cui versava lo studio ai tempi della produzione, la medesima scelta è stata fatta per tenere vivo il contatto con la fanbase che ha decretato il successo planetario del primo episodio, al fine di riuscire a limare i pochi difetti presenti nella prima iterazione del brand. Il target, da tradizione Larian, è stato nettamente centrato consegnando alla critica ed ai videogiocatori il migliore e più completo esponente del genere. La storia alla base di Divinity: Original Sin 2 vede una strega farsi esiliare volontariamente sull’isola di Fort Joy, luogo adibito all’imprigionamento di tutti gli esseri dotati di poteri magici, o per lo meno connessi in qualche modo all’oscuro mondo della magia. A bordo di una nave, con il mare in tempesta, ci risvegliamo per scoprirci dotati di un collare che ci inibisce l’uso della magia e per apprendere, insieme ad altri personaggi che versano nella nostra stessa condizione (e che potranno diventare nostri companion una volta giunti a Fort Joy) di un efferato omicidio commesso sulla nave.

L’incontro con la strega, avvenuto in questa sezione introduttiva, che rappresenterà una specie di tutorial delle meccaniche di gioco, ci metterà definitivamente davanti agli eventi che ci vedranno tribolare in quel di Fort Joy, seppure in minima parte. La creazione del personaggio, solitamente particolare collaterale ed ininfluente per quel che riguarda la narrazione degli eventi, assume in Divinity: Original Sin 2 un valore importantissimo. Potremo creare liberamente il nostro personaggio mediante il potente editor a nostra disposizione o potremo scegliere tra ben sei personaggi già pre-impostati: così facendo avremo accesso ad una maggiore profondità di narrazione, con la main quest profondamente intrecciata con il passato di ciascuno di questi personaggi “preset” facendoci presagire, sin da subito, l’accuratezza realizzativa di questo prodotto. Sì, perché sin dalle prime battute, è innegabile l’influenza che esponenti del calibro di Baldur’s Gate 2 e Ultima VII abbiano avuto, non solo in ambito stilistico, sui ragazzi di Larian Studios nel corso della realizzazione di Divinity: Original Sin 2. A differenza infatti della maggior parte dei giochi disponibili su mercato, rei di guidare passo dopo passo come bambini indifesi i giocatori all’interno delle dinamiche di gioco, Divinity: Original Sin 2 fa dell’ermetismo, o per lo meno di una dovuta dose di ragionamento prima di ogni azione, la ragione prima della sua esistenza.

Un comparto tecnico-ludico che fa gridare alla perfezione

Dimenticate dunque i lunghissimi tutorial e i personaggi che vi guidano passo passo nel compimento di una serie di azioni o nella risoluzione di un enigma: come i due illustri sopraccitati predecessori, l’ultimo nato in casa Larian Studios è un gioco che vuole farsi scoprire e che ama farsi scoprire piano piano lasciando al giocatore, dotato di una libertà di azione pressoché totale nella risoluzione di enigmi e quest, il piacere di comprendere le dinamiche di gioco e di interpretarle nel modo che a lui risulta più consono, affrontando perciò gioie e dolori derivanti dalla immensa libertà di scelta concessagli. Parlando di Divinity: Original Sin 2 è difficile, stranamente, fare dei distinguo tra giocabilità, mondo di gioco e narrazione: questi tre elementi, sapientemente miscelati tra di loro dai ragazzi di Larian Studios, creano un mondo di gioco vivissimo ed esplorabile in ogni suo angolo, un mondo in cui l’esplorazione ambientale rivestirà un ruolo predominante, portando il nostro alter ego a scontrarsi con scoperte narrative che lo condurranno allo svolgimento di una o più quest al fine di dirimere i misteri in esso sepolti. Tutte le abilità possedute dal nostro beniamino digitale saranno infatti improntate alla massimizzazione della esplorazione ambientale e all’interazione contemporanea e susseguente, con i materiali e gli elementi che via via reperiremo in giro per il mondo: saremo sia liberi di procedere in modo spedito noncuranti di ciò che ci succede accanto, quanto di immergerci appieno nel calderone narrativo predisposto dai Larian per deliziarci durante il nostro lunghissimo playthrough.

Ogni singola azione avrà dunque conseguenze nel playthrough: rubare qualcosa in una casa all’interno di una città causerà l’avvio di una indagine da parte dei cittadini, indagine culminante con il proprietario del maltolto che verrà a chiederci indietro quanto sottrattogli, affibbiandoci contestualmente un malus nel relazionarci con gli abitanti di quella zona. L’interazione inoltre, mediante dialoghi a scelta multipla sapientemente orchestrati, con i PNG che ci si pareranno davanti ci permetterà di dare un senso sempre maggiore a ciò che ci succede accanto, scoprendo dettagli della mitologia e degli eventi avvenuti in quel di Fort Joy: ogni singolo PNG reagirà poi in modo diverso alle nostre domande a seconda della composizione del nostro gruppo e al background del nostro personaggio, esaltando dunque l’opera degli sceneggiatori Larian, di gran lunga superiore a quella del precedente capitolo. La presenza e la pesantezza dei dialoghi è stata mitigata da una scelta mirata a limitare in modo essenziale, in completa controtendenza rispetto a quanto visto con Torment: Tides of Numenera, gli stessi, permettendoci sì di incedere in interazione con gli NPC ma prediligendo sempre, in ogni singolo momento, l’azione alla dialogicità più pura: ciononostante detto comparto è stato curato in modo maniacale, affidando a ben tre studi di doppiaggio la copertura di tutto il testo che vedremo a schermo, in modo da immergerci ancora di più nell’atmosfera di Fort Joy. A tal proposito stride, vista anche la “aulicità” e la ricercatezza del linguaggio utilizzato, la mancata presenza dei sottotitoli in italiano, particolare che potrebbe scoraggiare più di qualche avventore non esperto nella lingua di Albione. Sarà dunque possibile dirimere qualsiasi controversia, a patto di possedere le giuste skill (e il giusto livello di avanzamento delle stesse), in modo verbale ma, anche e soprattutto, menando le mani ed utilizzando la così tanto temuta magia.

Il combat system, a differenza di quello in tempo reale visto nel caso di Pillars of Eternity, si basa su una struttura a turni in cui ad avere la priorità sarà il personaggio (o nemico) con il maggior numero di punti iniziativa: così facendo si creerà una coda di personaggi e di antagonisti che si alterneranno al fine di fiaccare le due barriere magico-fisiche di ogni personaggio e poter dunque infliggere, in seguito, il maggior numero di danni possibili. Niente più azione frenetica o button mashing per portare a termine l’attacco: saremo costretti a studiare ogni singolo nemico per capirne le vulnerabilità ed agire al fine di fiaccare la barriera più debole e per poter poi procedere all’eliminazione dello stesso, scegliendo dunque i personaggi e le azioni più idonei al raggiungimento del proprio scopo. Va da sè che, anche in questo caso, l’esplorazione e, soprattutto, l’interazione ambientale saranno fondamentali al fine di avere ragione dei nostri nemici: in presenza di un nemico particolarmente forte potremo scegliere, ad esempio, di sciogliere un lago ghiacciato e di bersagliare l’acqua risultante con elettricità o, ancora, di trasformare finanche uno dei boss in animali da cortile (galline, gatti, conigli…) e procedere all’uccisione dello stesso con difficoltà molto minori delle originali. Tutto ciò per far, seppure lontanamente, comprendere la grande libertà concessaci dai ragazzi di Larian Studios.

A complemento, inoltre, di un comparto tecnico-ludico che fa gridare alla perfezione, giunge una modalità multiplayer che è tutto fuorché un vacuo riempitivo: giocare in due a Divinity: Original Sin 2 permetterà ad ambo di giocatori di perseguire, indipendentemente l’uno dall’altro, gli scopi previsti nella propria linea narrativa e di creare, paradossalmente, situazioni che potrebbero ritorcersi in modo rovinoso sul playthrough dell’altro giocatore, andando però ad aumentare a dismisura imprevedibilità e rigiocabilità del titolo in oggetto. Ulteriore aggiunta a quanto già visto, in questo e nel passato episodio, una modalità Game Master che ci permetterà di creare dungeon ed avventure a nostro piacimento, per proporle ad altri giocatori, arrivando addirittura ad impersonare i PNG presenti nel mondo di gioco per indirizzare dinamicamente l’evoluzione dell’avventura proposta!

Libertà di azione pressoché totale nella risoluzione di enigmi e quest

I ragazzi di Larian Studios, progettando graficamente Divinity: Original Sin 2, hanno voluto fare un ulteriore tributo, non bastassero quelli già presenti nella struttura base del gioco e nella incredibile libertà concessa al giocatore, agli antesignani del gioco di ruolo su PC. Divinity: Original Sin 2 è infatti un mix tra Baldur’s Gate 2 e Ultima VII, traendo dal primo il design dei mondi di gioco e dal secondo una visuale isometrica debitamente potenziata grazie ad una grafica ed una palette cartoon-style capace di rendere il mondo di gioco vivo, credibile ed appagante per la vista. Spicca, durante le fasi di esplorazione, l’enorme cura nella realizzazione finanche dei più piccoli dettagli del mondo di gioco, caratteristica che va ad impreziosire ulteriormente una gemma di già ottima fattura. Presente qualche piccola compenetrazione poligonale, che non va però ad inficiare minimamente la fruizione del gioco o la perfezione estetica qui descritta.

Il comparto sonoro è da Oscar: a musiche epiche di accompagnamento si affianca infatti un doppiaggio allo stato dell’arte, realizzato da ben tre studi di doppiaggio con il fine di garantire una grande immersione nel mondo di gioco da parte degli avventori del mondo di Fort Joy. Unica pecca la mancanza dello stesso, ma per ovvie ragioni di budget, del doppiaggio, o quanto meno dei sottotitoli, in italiano.

Conclusioni

Divinity: Original Sin 2 rappresenta il punto di arrivo di uno sviluppo durato due anni che ha visto i Larian Studios consegnare al grande pubblico uno dei giochi di ruolo più belli e completi di sempre. Un approccio grafico che ricorda tanto Baldur’s Gate 2 quanto Ultima VII è il teatro in cui si verificano gli eventi di Divinity: Original Sin 2, eventi e misteri che potremo scoprire e dirimere grazie ad una libertà di azione pressoché totale, esplorando ed interagendo nei modi più disparati con il mondo di gioco sapientemente creato dallo studio belga.

Un passo indietro di venti anni che rappresenta, paradossalmente, un grande balzo in avanti, prendendo quanto di buono i vecchi esponenti del genere avevano fatto e portando il tutto alla sua massima evoluzione. Divinity: Original Sin 2 non è solo un gran bel gioco di ruolo ma, bensì, la pietra di paragone cui chiunque vorrà cimentarsi nella creazione di esponenti di questo genere dovrà confrontarsi, grazie anche ad una modalità multiplayer a dir poco rivoluzionaria e alla possibilità di avvicinare quanto più possibile, grazie alla modalità Game Master, l’esperienza di gioco ruolistica al suo corrispondente cartaceo.

Un comparto audio assegnato a ben tre studi di doppiaggio, e curato in ogni minimo dettaglio, completa il quadro predisposto e realizzato dai Larian Studios al fine di regalarci il gioco di ruolo perfetto viziato, per noi italiani, solo dalla mancanza dei sottotitoli nel nostro idioma.

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