Outcast: Second Contact – Recensione

Se come noi avete qualche anno sul groppone, allora alla parola “Outcast” la vostra mente farà accendere una lampadina nella soffitta dei ricordi. Ma forse non a tutti dato che, nonostante si tratti di un piccolo capolavoro, il titolo non ha mai riscosso quel successo sperato al livello di vendite, fermandosi ad una soglia non proprio incoraggiante.

Fatto sta che qualche tempo fa, un team Belga (Fresh3D) propose a 15 anni di distanza dall’originale la versione 1.1 in una nuova edizione, con miglioramenti grafici e un aggiornamento delle interfacce di gioco: un segnale di quanto i vari sviluppatori e gli appassionati fossero particolarmente legati a questo tipo di produzione.

Con l’obiettivo di dare nuova luce ad un capitolo mai dimenticato dai fan, e magari far conoscere la magnificenza delle terre di Adelpha ai videogiocatori più giovani, il team che diede i natali al gioco originale (Appeal), con la supervisione del publisher Bigben Interactive, ha dato luce ad una versione ad alta definizione partendo dal codice sorgente originale.

Outcast: Second Contact introduce nuovi elementi al fine di rendere il gameplay più immediato e dinamico, in linea con gli attuali giochi di azione/avventura a mondo aperto. Sarà riuscito nell’impresa?

Questo potrebbe essere il luogo ideale per un bel pic-nic

Nell’universo narrativo del gioco, uno degli obiettivi del governo americano era quello di scoprire l’esistenza di mondi paralleli, per questo motivo lanciò una sonda per averne la certezza. Apparentemente tutto andò secondo i piani, fin quando l’impianto non venne seriamente compromesso da forme di vita intelligenti. Le conseguenze furono disastrose e andarono a creare un buco nero che stava letteralmente mettendo in pericolo l’esistenza della Terra. È qui che entravate (ed entrate ancora oggi) in gioco nei panni di Cutter Slade, un soldato d’élite veterano, impegnato nell’esplorazione del pianeta Adelpha in qualità di comandante responsabile delle operazioni. Una volta attraversato il portale vi risvegliate al cospetto di un Talan che chiede il vostro aiuto in cambio delle informazioni a voi care per il compimento della missione (niente paura, potete comprenderli grazie all’HUD in vostro possesso). Dai vari abitanti venite identificati come Ulukai, ovvero un salvatore proveniente da un mondo sconosciuto a cui viene richiesto di liberarli dalla tirannia di Fae Rhan, anche se per il bisbetico domato la priorità è quella di ritrovare i compagni d’avventura ed il modo per tornare a casa, così da poter finalmente sorseggiare un buon whisky di malto (troppo egoismo da parte sua?, ndr).

I vari PNG rappresentano l’anima pulsante del titolo: è possibile interagire con loro per chiedere indicazioni al compimento delle varie missioni o sottomissioni, o semplicemente per conoscere gli usi e costumi della loro civiltà. Dal canto loro ricorderanno le azioni e daranno delle risposte in base alle vostre scelte. Qualcuno potrebbe dire: “Beh, ma tante produzioni di oggi offrono questo tipo di approccio!”, giustissimo, ma, per un attimo, fate con noi un salto indietro nel tempo di 18 anni, e pensate a quanto lavoro è stato fatto a suo tempo per la realizzazione di feature così importanti che in quell’epoca diedero i natali ad un genere ancora sconosciuto.

Al livello di trama niente è lasciato al caso: il titolo offre una delle migliori storie sci-fi mai narrate in un videogioco, a partire dalle regioni di Adelpha, un pianeta caratterizzato da due soli e due lune e da antiche camere d’energia chiamate Daoka, che permettono il passaggio diretto tra i vari mondi. La durata media si attesta sulle 20 ore abbondanti, destinata a salire nel caso in cui ci si voglia dedicare a tutte le attività secondarie disponibili.

Outcast: Second Contact offre una delle migliori storie mai narrate in un videogioco

Le vostre scelte, le vostre azioni, sono determinanti per il gioco e per la reputazione personale, quindi dovrete decidere che ruolo assumere: messia o eversivo. Ovviamente un comportamento esemplare nei confronti degli abitanti (soprattutto nel compimento di quest secondarie) può regalarvi un’esperienza più completa e amichevole poiché i nativi saranno molto più accomodanti e forniranno delle informazioni preziose: quindi attenzione a non sfoderare le armi dinnanzi ai civili.

A proposito della armi, l’avventura inizia con una semplice arma da fuoco ma proseguendo nella storia si possono ottenere fino a sei armi differenti (tra cui pistola a dardi avvelenati, perforatore e lanciafiamme). Ma oltre a questo nell’inventario l’ex marine ha a disposizione svariati gadget altamente tecnologici. Ad esempio utilizzare un generatore di ologrammi potrebbe essere una scelta saggia: attivandolo si può creare una copia che si orienta verso un gruppo di nemici al fine di generare un diversivo. Ma anche il binocolo non è niente male: esaminare una zona che pullula di ribelli vi consente di studiare l’approccio migliore. Anche se di primo acchito potreste pensare di trovarvi di fronte ad un RPG moderno (limitato solo all’upgrade delle armi grazie alle missioni secondarie), Outcast: Second Contact è un sandbox, uno dei primi “prototipi” di open world, con sei grandi aree da esplorare. Un gioco che all’epoca è costato ben 4 anni di duro lavoro da parte degli sviluppatori, e ancora oggi ha un suo perché.

Ti aiuto, ma per favore cambia cappello!

Purtroppo il tempo, nonostante le dovute attenzioni e una ricostruzione esemplare di tutte le texture, si è portato dietro tutti gli acciacchi relativi al titolo del 1999. Questo problema lo si riscontra soprattutto nel gameplay, in particolar modo negli scontri a fuoco: il sistema di mira in terza persona, nonostante l’introduzione della schivata (che tra le altre cose risulta molto lenta), continua ad essere impreciso, facendovi sprecare più munizioni del dovuto per abbattere un singolo ribelle. Il tutto potrebbe risultare parecchio frustrante, soprattutto se si è abituati a giochi odierni dove il sistema di mira è molto preciso: qui anche se siete dei cecchini infallibili dovrete mettere in conto di sbagliare.

La difficoltà incide moltissimo sul gameplay macchinoso: il gioco di base è settato per ricevere un ingente quantità di danno e senza la rigenerazione della salute (che può essere ripristinata da un kit di pronto soccorso o dai guaritori), quindi per i nuovi adepti il primo avvio potrebbe non essere dei più incoraggianti. Niente paura: si possono cambiare queste impostazioni in qualsiasi momento dal menù di pausa.

Il mondo di gioco, ricostruito molto bene, regala momenti indimenticabili ma non riesce ad essere goduto appieno nelle fasi di esplorazione a causa di vari glitch e bug. Non sarà strano vedere PNG che entrano in collisione con lo scenario o ritrovarsi in punti specifici dove è impossibile proseguire poiché il personaggio rimane bloccato da qualche elemento non realmente visibile. La totale mancanza di una lista comandi e un tutorial piuttosto scarno sono un’altra nota amara del titolo: sta al giocatore imparare nel migliore dei modi tutti i movimenti di Cutter Slade, le abilità e il sistema di combattimento. I vari Talan sono più o meno tutti simili, con quasi sempre le stesse voci e risultano poco caratterizzati. La ricostruzione estetica dei personaggi è molto buona ma non possiamo dire lo stesso delle espressioni facciali e della fisicità. Ma è doveroso fare una precisazione: quella da noi analizzata è una versione HD che, anche se apporta una grafica completamente rinnovata, non va ad intaccare in nessun modo evidente il gameplay originale, a parte miglioramenti dell’intelligenza artificiale e l’introduzione della schivata: tutto questo si traduce in un problema non di poco conto.

Outcast: Second Contact si porta dietro la maggior parte dei problemi del titolo originale

Nonostante tutto, dove raggiunge dei picchi di eccellenza è proprio nel comparto audio: le varie tracce, composte da Lennie Moore e l’orchestra sinfonica di Mosca, oltre ad accompagnare egregiamente il viaggio del protagonista, ricordano molto da vicino lo stile di Alan Silvestri ascoltato in molti blockbuster americani. Ma non possiamo dire lo stesso per quanto riguarda l’ottimizzazione audio dei dialoghi, che risultano molto ovattati e poco ottimizzati. Discorso simile per i sottotitoli nella nostra lingua, piuttosto approssimativi e con piccole sviste, come la totale assenza degli apostrofi.

Dobbiamo ragionare in modo obiettivo: Outcast è una pietra miliare del genere, frutto di un lavoro immenso che ogni appassionato conosce perfettamente. Purtroppo non si possono ignorare i tanti difetti di questa nuova versione, ereditati dal tempo trascorso, che potrebbero scoraggiare tutti coloro che si avvicinano per la prima volta a questa produzione, in molti frangenti goffa e palesemente datata.

Conclusioni

Outcast: Second Contact è esattamente come lo ricordavamo molti anni fa: profondo nella sceneggiatura ma allo stesso tempo con molti problemi dettati dal tempo. L’operazione confezionata da Appeal e BigBen Interactive è ammirevole grazie a nuove texture e una grafica completamente rimasterizzata, ma purtroppo questo viaggio nei ricordi non è riuscito nel migliore dei modi, dato che si porta dietro un bagaglio ricco di problemi dell’epoca: dal gunplay incerto e poco preciso a fasi esplorative macchinose e a volte scoordinate.

Questo “Secondo Contatto” è indirizzato ai fan storici, che dovranno comunque scendere a compromessi con un gameplay datato, mentre tutti gli altri potrebbero scoraggiarsi molto presto. Non è possibile soprassedere a tutti questi problemi di natura tecnica, soprattutto perché la nostra valutazione è avvenuta nel 2017, ma apprezziamo l’impegno mostrato in fase di sviluppo.

Narrativamente parlando è eccelso come un tempo, con una colonna sonora impressionante e una fortissima componente esplorativa. Ci auguriamo che questo tipo di operazione possa fare comunque da apripista ad un sequel, magari proprio a quell’Outcast II: The Lost Paradise che non venne mai completato nei primi anni 2000, adattato alle console e PC di nuova generazione. Dopotutto come si dice: sperare non costa nulla!


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