Se osservando Garage: Bad Trip la memoria non dovesse portarvi ai fasti gioiosi dell’intramontabile Hotline Miami, ci sono soltanto due spiegazioni possibili: o vi siete persi due degli shooter più mesmerizzanti della passata generazione, oppure voi e gli sparatutto “dall’alto” in grafica super pixellosa andate poco d’accordo. Annunciata a sorpresa nel programma Indie di Nintendo, l’esclusiva Switch realizzata dai ragazzi di Tinybuild Games e Zombie Dynamics è finalmente disponibile al download nei meandri digitali dell’eShop. E, inutile dirlo, è pronta a portare un ragguardevole quantitativo di sangue, arti smembrati e cadaveri ambulanti in quella che, a tutti gli effetti, appare come la tanto desiderata “giovinezza horror” dell’hardware della grande N.
Dopo aver spolpato i tredici capitoli che compongono la campagna single player di Garage: Bad Trip siamo pronti a tirare le somme su questa inquietante avventura, caratterizzata da una pixel art nuda e cruda – che tanto ci piace – e, ancor più importante, da una direzione artistica ispirata in modo tutto tranne che velato alla tradizione dell’horror di fascia B, rigorosamente VHS, che ha fatto da padrone a cavallo degli anni 90. Al netto di un paio di intuizioni brillanti e di alcune scelte davvero azzeccate, tuttavia, non possiamo ignorare l’esistenza di una serie di peccati di gioventù da parte dello sviluppatore, alcuni dei quali critici al punto di minare sensibilmente l’intera esperienza di gioco. Un’esperienza che, ad ogni modo, ogni amante dell’horror viscerale e ad alto tasso di budella farebbe bene a tenere in considerazione, resa ancor più interessante da una soluzione di gioco in mobilità che, tutto sommato, si rivela goduriosa quanto basta, Il sangue che scorre a pixel, insomma, ha sempre un certo fascino.
Il telaio narrativo di Garage, senza inutili giri di parole, è un gran bel casino. Un casino a cui ci si appassiona in fretta, dopo esserci risvegliati nel bagagliaio di un automobile in un parcheggio stracolmo di sangue e pezzi sparsi di carne umana, e che capitolo dopo capitolo delinea i tratti di un qualcosa di agghiacciante e letale, contro cui finiremo – pure un po’ controvoglia, a sentire le parole del protagonista Butch – per scontrarci. Il parallelo con Hotline Miami appare evidente anche in termini di mera sceneggiatura: personaggi fuori dagli schemi che centellinano le parole senza tuttavia lesinare gli insulti, dialoghi alla Tarantino dei giorni peggiori, dettagli incomprensibili che compongono un puzzle intricatissimo e pieno zeppo di retroscena, un protagonista istrionico e dalla battuta pronta pedina di un puzzle decisamente più grande di quanto la tradizionale “Morte che cammina” lasci presagire – e che, nelle battute finali, non mancherà certo di stupire col tradizionale fuoco d’artificio. Da dove arrivano quei mostri affamati di carne umana? Che ci facciamo in quel centro commerciale? Per quale motivo il fantasma di nostro padre continua a telefonarci, riempiendoci di insulti e fregandosene quasi bellamente del delirio mostruoso che ci circonda? Queste, e molte altre, le domande che caratterizzeranno le sei ore circa di playthrough del titolo Tinybuild. E di certo le sorprese non mancheranno.
In termini di gameplay, Garage: Bad Trip è un tradizionale shooter con telecamera aerea, in grado di combinare esplorazione, qualche indovinello all’acqua di rose (del tipo trova la chiave nascosta, per intenderci) e un paio di sequenze arcade-racing ad un contesto declinabile al tradizionale “spara a qualsiasi cosa si muova”. La connotazione, inutile dirlo, è quella del dual stick shooter, con la leva sinistra “muove” Butch e quella destra demandata alla gestione del mirino. A nostra disposizione, in questa asfissiante caccia ai mostri, un inventario che più tradizionale non si può (ascia, pistola, fucile a pompa, uzi e granate a volontà), che si affianca all’intramontabile calcione di sfondamento – ideale, almeno nelle battute iniziali, per abbattere i nemici più teneri o quantomeno guadagnare un paio di metri dal relativo attacco. Nulla da dire sul level design, ispiratissimo nello stile e, come Dennaton ci ha insegnato, articolato in corridoi labirintici e stanzini pieni zeppi di minacce affamante – il tutto, ovviamente, impreziosito da una lunga serie di effetti VHS abilissimi nel veicolare quel feeling di grain tipico delle produzioni dei tempi. Eviteremo di spoilerarvi alcune delle location più interessanti di Garage, ma sappiate che a sequenze di oscurità quasi più assoluta verranno alternati spezzoni lisergici (dove il Bad Trip sembra essere causato da acidi pesanti) ed altri, dove la tecnologia più assurda fa da padrona. Diciamo che di cose da vedere, tutto sommato, ce ne saranno a sufficienza.
Ora, purtroppo, i nodi vengono al pettine. Che Garage sia un gioco dannatamente difficile, con un numero di trapassi destinato a raggiungere le tre cifre in tempi anche ragionevoli – e anche nei primissimi livelli – è una di quelle informazioni che, tutto sommato, stupisce sino ad un certo punto. Decisamente più fastidiosa, tuttavia, è la calibrazione ai limiti del causale del bilanciamento della difficoltà: che, lo ammettiamo, è qualcosa di imprevedibile e allo stesso tempo fuori controllo al punto da diventare quasi fastidioso. Giusto per farvi capire, avrete a che fare con topi (avete capito bene, dei fottutissimi topi) in grado di mandarvi al creatore con due morsi ai piedi e, pochi metri dopo, con zombie grandi come Butch che necessiteranno di più tempo per abbattervi. La curva della difficoltà, per intenderci, è quanto di più simile ad un elettrocardiogramma abbiamo mai visto in un videogioco: anche superato il giro di boa, quando ci aspetteremmo un assestamento della difficoltà generale, avremo un’alternanza abbastanza evidente di sezioni di picnic all’aria aperta e di passaggi in cui, se Dio vorrà, riuscirete a non morire per un massimo di 3 secondi. Il trial&error diviene insomma la norma, obbligando a ripetere sequenze per un numero elevatissimo di tentativi – nella speranza di non incrociare, nel nostro cammino, anche un solo topolino di laboratorio…
Il sangue che scorre a pixel ha sempre un certo fascino
Che poi è un peccato davvero, visto che tanto il character design nemico quanto le boss fight qualche sano applauso te lo riescono a levare senza troppa fatica. Diciamo che, alla lunga, trovarsi a mangiar la polvere per un evidente problema di bilanciamento dopo una run estenuante a cui siamo sopravvissuti per il rotto della cuffia, magari per colpa di un mostriciattolo qualunque, qualche imprecazione poco gentile te la fa anche levare. Se questa cosa si ripete sistematicamente, beh, avete già capito cosa può succedere. A questo si aggiungono un paio di bug particolarmente fastidiosi, riscontrati sia in modalità docked che in portatile, che fanno letteralmente scomparire i nemici che ci vengono incontro ogni qualvolta essi si “appoggino” ad una porta aperta. Stesso discorso quando, ad esempio, ci allontaniamo di qualche metro da un nemico momentaneamente fermo. Inutile dire che, specie nel primo caso, siamo di fronte ad una situazione abbastanza critica, che rischia di tradursi sovente in un game over tutto tranne che meritato e che, alla lunga, induce non poca frustrazione anche al giocatore più paziente. Auspichiamo una veloce risoluzione di questi problemi, capaci davvero di inficiare le dinamiche di gioco di Garage, con una patch tempestiva rilasciata dallo sviluppatore: patch che risolleverebbe almeno il parte la nostra votazione complessiva su questa comunque interessante esperienza horror e che, senza ombra di dubbio, allontanerebbe la nostra condanna definitiva al girone degli eretici.
Con Garage: Bad Trip, Tinybuild Games e Zombie Dynamics hanno sicuramente dimostrato un paio di cose: che lo shooter verticale a twin stick e l’horror cruento vanno d’amore e d’accordo che metà basta, che non serve inventare meccaniche arzigogolate per mettere in piedi un’esperienza divertente e, in modalità portatile, peraltro davvero accattivante, che il sangue pixelloso piace sempre come se fosse la prima volta. E, inutile dirlo, che i B-Movies horror degli anni 90, quelli in perfetto stile Troma, sono una figata senza tempo da promuovere a patrimonio dell’umanità. In questa esclusiva Switch è dunque impossibile non scorgere passione, voglia di divertire e intrattenere ma, allo stesso tempo, obbligare chi gioca ad uno sforzo sensibile quando la difficoltà si impenna. Mettiamoci una direzione artistica che, perdonateci il sentimentalismo, ci manda fuori di testa et voilà, avremmo la ricetta perfetta dell’esclusiva indie di Switch da non perdere. Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo quando andiamo ad analizzare i limiti di questa produzione indipendente: un bilanciamento della difficoltà soltanto approssimativo e, a ben vedere, troppo scostante, unito ad una serie di glitch dannatamente fastidiosi e rei di innumerevoli game over immotivati, ridimensionano il nostro giudizio finale per questo Garage. Che sì, proprio come quegli horror a cui si ispira merita assolutamente di essere provato: ma da qui a diventare un culto, ahinoi, la strada è ancora lunga. |
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