Annunciato nel corso della sontuosa conferenza di Sony all’E3 2016, fu il primo gameplay trailer di Days Gone a lasciarci di sasso, e per più motivi: Deacon St. John, nerboruto biker uscito dritto dritto da un episodio di Sons of Anarchy a caso, è in giro con la sua moto fiammante, sporca di fango e sangue, immerso in una delle immense foreste dell’Oregon, casa del team di sviluppo (Bend Studios, uno studio interno di Sony).
Nella sua America post-apocalittica fatta di armi e cicatrici si vive alla giornata, e di conseguenza ogni accampamento abbandonato è una potenziale fonte di risorse, grazie alle quali si sopravvive un giorno in più: un vero traguardo, per chiunque debba convivere con predoni e creature mangia-carne costantemente nei paraggi. Durante un “lavoretto” dei suoi, un imprevisto di quelli che ci piacciono tanto spezza il silenzio tanto accuratamente mantenuto fino a qualche secondo prima: una fiumana di zombie insegue Deacon, come fossero formiche in astinenza da cibo da settimane al cospetto di una ricca mollica di pane, da smembrare come una piñata ad un compleanno ad alto tasso alcolico. Il nostro eroe prova a contenerla con le sue armi e la sua astuzia, sfruttando quanto più possibile l’ambiente circostante, tra ponti semi-distrutti, barili esplosivi, strutture verso cui far confluire l’onda di senza-cervello verso un unico punto in cui piazzare una bella molotov.
Ecco che i primi punti di contatto con The Last of Us, inevitabile pietra di paragone (vista anche la “scuderia” d’appartenenza), si iniziano a sfaldare, con un’impronta maggiormente action, un ritmo più elevato, meno chiacchiere e più spara-spara. Dal nostro primissimo contatto con Days Gone però, grazie ad una breve demo provata negli uffici romani di Sony, è emerso che in realtà le cose non stanno propriamente così, e questo non è necessariamente un male, tutt’altro.
Nella mezz’ora passata in compagnia dell’esclusiva PS4 abbiamo potuto assaggiare solamente una manciata di missioni e una minuscola porzione di mondo di gioco: poco, oggettivamente, ma rivelatosi sufficiente a farci ben sperare su cosa metteremo le mani (purtroppo non prima del 2019), e a fargli scrollare di dosso parte di quei sospetti sull’eccessiva somiglianza con quella pietra miliare citata qualche riga più in alto, per quanto gli ovvi punti di contatto non manchino. Il contesto post-apocalittico, la natura selvaggia e inospitale che divora i residui di umanità che prendono la forma di piccoli insediamenti, gli infetti (che qui si chiamano “Freaker”), “stupidi” ma letali e pronti a massacrarci, in solitaria o in gruppo (come abbiamo visto, anche in “orda”), da mandare al tappeto sfruttando meccaniche stealth a base di luci, rumori e distrazioni, o impugnando una spara-piombo di vario calibro, o meglio ancora, una mazza da baseball.
Persino il crafting, estremamente semplificato (almeno in questo primo contatto) è pressoché identico, con la possibilità di creare una molotov al volo semplicemente raccogliendo gli oggetti necessari, anche “on-the-go”, prima di piazzarla sulla testa di un manipolo di creature. E, sempre da questo primo assaggio, anche un rapporto di fiducia estrema con un altro individuo: in The Last of Us c’era Ellie da proteggere, mentre qui abbiamo Boozer, biker e compagno di scorribande del nostro Deacon, per ora costretto a supportarci unicamente via radio. È al sicuro su una torre di vedetta, lontano da lupi (occhio: sono fottutamente coriacei, ma la loro carne è un’ottima esca, meglio ancora se piazzata vicino ad una tagliola per orsi) e freaker, ma si è procurato una bella ferita, e lo spettro dell’infezione aleggia su di lui. Non c’è tempo per piangersi addosso: nei checkpoint della NERO, usati durante l’esplosione dell’epidemia per offrire primo soccorso e per mettere i malati in quarantena e ora completamente abbandonati, ci dovrà pur essere una qualche medicina con cui curarlo.
Ed è così che ha avuto inizio la nostra demo, di notte (ci sarà anche un ciclo giorno/notte dinamico che influenzerà il comportamento dell’IA), più precisamente nel campo di Copeland, uno degli avamposti umani rimasti in piedi, uno di quelli che prova a resistere agli attacchi degli zombie di cui pullula il paese, e provare a mantenere un pizzico di civiltà e regole ai superstiti, o ciò che ne resta. Oltre a fungere da punto di riferimento per il “viaggio veloce” e per il respawn, è qui che potremo scambiare quattro chiacchiere con gli NPC per saperne di più su cosa è accaduto al nostro mondo, grazie a dialoghi che denotano da subito una grande cura anche dal punto di vista narrativo e della caratterizzazione, a tutto vantaggio dell’atmosfera pregna di disperazione e decadenza. Ed è qui che potremo barattare le risorse e le orecchie dei freaker, utilizzate come moneta di scambio negli avamposti, e personalizzare al massimo il nostro bolide con tutta una serie di modifiche ad un gran numero di elementi, estetici e non (marmitta, sospensioni e così via).
Inutile però soffermarsi su questi dettagli: i freaker saranno anche lenti, nel loro peregrinare senza meta, ma l’infezione è veloce, e serve una cura. Non ci resta che salire sulla moto di Deacon, uno dei primi elementi distintivi di Days Gone, oltre alla sua struttura a mondo aperto, su cui è impossibile sbilanciarsi dopo una sola mezz’ora, limitandosi a constatare la grande cura riposta nel rappresentare la completa decadenza e l’essenza selvaggia di una natura lasciata a briglie sciolte da un’umanità troppo impegnata a non sparire definitivamente, tra auto abbandonate (nelle quali è possibile trovare munizioni e ciarpame vario), laghetti e ferraglia varia divorata dall’erba. Con la nostra moto potremo andare un po’ ovunque, ma questo non è Grand Theft Auto: prendere una rampa (naturale o meno) ad alta velocità non farà altro che danneggiare il veicolo (fortunatamente è possibile ripararlo con la pressione di un tasto in qualsiasi momento) e consumare benzina, bene preziosissimo che scenderà con estrema semplicità, e che va quindi sacrificata con parsimonia e intelligenza, un discorso applicabile un po’ a tutto ciò che concerne la “quotidianità” di un mondo post-apocalittico.
Days Gone vuole essere più appagante e impegnativo degli accomodanti AAA
Ed è proprio questa costante precarietà legata ad ogni piccolo gesto, anche e soprattutto nei combattimenti, assolutamente frequenti e impegnativi, oltre al talento di Bend nel creare la giusta atmosfera, tra la decadenza circostante e i versi terrificanti dei freaker che ci segnaleranno la loro presenza nei paraggi, uno degli elementi che più ci ha intrigato di Days Gone, quell’essenza ai limiti del survival che, pur discostandosi da esperienze più hardcore (DayZ, per citarne una sempre a base di zombie) e dal loro realismo estremo ed estenuante, punta indubbiamente ad un approccio più impegnativo ed appagante rispetto alla confortante sicurezza su binari di tanti AAA.
La scarsità di munizioni e la necessità di sopravvivere al contatto con i freaker costringerà il giocatore ad ingegnarsi, per non rischiare di restare a secco troppo presto, e ne abbiamo avuto un esempio lampante proprio una volta raggiunto il checkpoint NERO della missione provata: consapevoli di ciò che sarebbe potuto succedere da lì a poco, abbiamo eliminato tre-quattro creature solitarie all’interno dell’avamposto con una mazza da baseball (constatandone subito la brutale efficacia, ma anche la scarsa resistenza – tranquilli, si potranno usare anche i pugni, e dei Q.T.E. ci salveranno la pellaccia dai freaker più forti), salvo poi ritrovarci all’esterno della struttura completamente blindata e senza possibilità di entrare, a causa della mancanza di elettricità.
Per ripristinare la corrente ed aprire le porte di questi checkpoint bisognerà risolvere dei “puzzle” ambientali: in questo caso è stato sufficiente trovare una tanica di benzina (ottima anche per “dissetare” la moto e per creare dei falò on-the-go sparandole), trovata con più semplicità grazie alla “survival vision” di Deacon (che mette in risalto i punti di interesse nei paraggi) e riattivare il generatore, non senza delle immediate e disastrose conseguenze: i freaker sono terrorizzati dalla luce (un po’ come in Alan Wake, illuminandoli con la torcia di Deacon li renderete molto più lenti e vulnerabili ai vostri proiettili), ma attratti dai rumori, e in particolare dagli altoparlanti della struttura. Nel giro di qualche secondo, c’erano circa 10-15 zombie impazziti, pronti a cercarci e a sbranarci, impossibili da massacrare uno ad uno, sia perché ci avrebbero sopraffatto in un attimo, sia perché le munizioni non crescono sugli alberi, nonostante questa sia la post-apocalisse. La soluzione? Attirarli sfruttando rumori e luci verso un unico punto e piazzare sul gruppetto una bella molotov, per auto-invitarsi ad un fantastico barbecue (ma l’odore non deve essere stato dei migliori, ndr), e investire con la moto i restanti, così da non sprecare nemmeno un colpo.
All’intero della struttura, oltre all’obiettivo della nostra missione e a qualche prezioso oggetto, siamo anche entrati in contatto con uno dei modi che ha Deacon per diventare più forte: oltre ad un classico sistema a base di punti esperienza (ottenuti dopo ogni kill o al completamento di una missione), con tanto di skill-tree e abilità da sbloccare (un po’ pochette da quanto visto, sperando fossero provvisorie), il protagonista troverà della tecnologia NERO, con cui potenziare una tra salute, resistenza e mira, motivo per cui sarà cruciale ripulire quanti più checkpoint possibili, anche quelli slegati dalla main quest, oltre al fatto di trasformarli in spawn e fast-travel point, sempre utili per non perdere strada fatta e tempo. Da lì ci siamo spostati verso il rifugio di Boozer, sempre a bordo della nostra moto, testando nel mentre il sistema di guida, che pur non puntando al realismo estremo, vedrà la manovrabilità influenzata dal terreno, con il fango che contribuirà alla perdita del controllo e a sgommate più lunghe, e ci è parso credibile il giusto, senza spezzare troppo la sensazione di pericolo costante, a cui Days Gone deve parte del suo decadente fascino.
Anche il comparto grafico non scherza, in tal senso, anche se è meno impattante rispetto al primo gameplay trailer mostrato: se la realizzazione di nemici e umani, a partire dallo stesso Deacon, o singoli elementi come il fango, sfoderano tutta la potenza di PS4, abbiamo notato qualche texture meno definita negli elementi ambientali, oltre ad un frame-rate affaticato e a qualche sporadica compenetrazione dei nemici. Nel complesso però Days Gone è sicuramente impressionante, tenendo anche conto del mondo aperto e nella mole di nemici che sarà in grado di reggere su schermo, e del fatto che il team ha ancora un anno o giù di lì per ultimare i lavori e smussarne gli spigoli, inclusa una certa legnosità da parte di Deacon, non tanto nei movimenti o nel combattimento, con cui è semplice e fluido passare dalla lotta con armi bianche a con pistole e fucili, quanto più nell’interazione con il mondo circostante, ma nulla di così drastico da compromettere l’esperienza, o irrisolvibile.
Nel complesso, Days Gone è sicuramente impressionante
Prima ancora del combat system, asciutto ma soddisfacente (complice anche il gunplay), del comparto grafico, incredibile al primo impatto, o della componente narrativa, che sicuramente sarà fondamentale nell’economia del gioco, è l’atmosfera uno degli assi nella manica di Days Gone, tra il terrore di essere costantemente braccati, la necessità di fare economia con armi, oggetti e spostamenti, e il ringhio di un freaker che si trascina affamato verso di noi a rimbombarci nelle cuffie, a spezzare la tranquillità con cui il silenzio di un attimo prima ci aveva allietato, fino ad un imprevedibile e improvviso morso. Il gioco di Sony e Bend ha ancora tantissimo da dimostrare, a partire dalla sua capacità di offrire qualcosa di originale nonostante il suo debito con le opere da cui trae ispirazione (da The Last of Us a The Walking Dead, passando per Sons of Anarchy) o la sua struttura a mondo aperto, grazie alla quale è sin troppo semplice incappare in una ripetitività che stanca e che diluisce troppo anche la storia meglio scritta. Quanto visto finora, però, ci ha piacevolmente colpito, lasciandoci affamati di una nuova prova e un nuovo contatto con le avventure di Deacon St. John, neanche fossimo dei freaker desiderosi di carne umana ancora fresca e pulsante.