Non troppi anni fa El Shaddai: Ascension of the Metatron fece un po’ discutere per la controversia che generò attorno a sé – fra chi ne lodava le qualità e chi invece lo relegava negli abissi della noia e della mediocrità – ma anche perché di fatto, glielo si deve riconoscere, proponeva una storia particolare che affondava a piene mani nelle religioni di tutto il mondo: cristianesimo, ebraismo (in ebraico El Shaddai è uno dei nomi di Dio, sebbene la sua origine derivi in realtà dall’influenza di un’altra religione, quella ugaritica), politeismo dell’antica Grecia e dell’impero Assiro-Babilonese. Arricchito da uno stile di gameplay che alternava 2D a scorrimento laterale durante i combattimenti e il 3D quando si trattava dell’esplorazione, assieme a un comparto grafico a metà tra il cel shading e una tecnica anime derivata dalla collaborazione del famoso Studio Ghibli, non stupisce che al tempo abbia generato discussioni.
Così come non è una sorpresa che il nuovo titolo dal creatore di El Shaddai ripercorra queste stesse tematiche e, anzi, strizzi l’occhio alla produzione precedente in un modo che solo i fan potrebbero capire e apprezzare. The Lost Child è, di nuovo, una curiosa mescolanza di religioni e iconografia associata – paradisiaca e non – ma Kadokawa Games ha puntato questa volta su un genere completamente diverso, persino di nicchia: il dungeon crawler in prima persona. Ambientato in una Tokyo moderna dove, dietro le pieghe del tempo e dello spazio, si continua a combattere una guerra senza fine tra inferno e paradiso, il gioco racconta la storia del giovane reporter dell’occulto Hayato Ibuki e del suo coinvolgimento come pedina essenziale in questa lotta al potere: affiancato da un angelo di nome Lua e scelto come possessore di una reliquia mistica chiamata Gangur, il cui potere è catturare e controllare i demoni, Hayato è il Prescelto da Dio che condurrà l’umanità alla salvezza.
Nonostante gli ovvi parallelismi con la serie Shin Megami Tensei di Atlus, The Lost Child si impegna abbastanza per differenziarsi e reggersi sui propri meriti, fornendo un dungeon crawler che non esce dai canoni classici del suo genere ma comunque coinvolgente, sebbene alcuni problemi gli impediscano di spiccare davvero. Aver giocato a El Shaddai, come scritto poco sopra, permetterà di cogliere alcuni riferimenti ma l’esperienza non è necessaria per approcciare The Lost Child. Il nostro Hayato lavora per la rivista paranormale LOST e mentre investiga su una serie di suicidi sospetti incontra una donna misteriosa (il cui nome si scoprirà poco dopo essere Balucia) che gli dà una strana valigetta prima di dileguarsi tra la folla. Tornato in ufficio, il giovane dovrà vedersela con una giovane donna vestita in maniera bizzarra che dichiara di chiamarsi Lua ed essere un angelo, sceso sulla Terra per aiutarlo nella sua missione di Prescelto; nella valigetta appena ricevuta infatti è contenuto il Gangour, l’arma mistica con cui è possibile catturare gli spiriti (Astrali) dei demoni che cercano di conquistare il mondo mortale. A intricare ancora di più le cose, si scopre che Lua è la sorella di Balucia. La quasi totalità di The Lost Child si trascorre, come il nome del genere di appartenenza suggerisce, a introdursi attraverso queste dimensioni parallele conosciute come Layers che appaiono ovunque lungo il Giappone. Hayato e Lua sono entrambi combattenti a pieno titolo ma a dare loro supporto possiamo sfruttare gli Astrali catturati con il Gangour: tre possono far parte della squadra attiva e altri sei in “panchina”, più un numero illimitato di riserva – sebbene spostare Astrali alla prima linea o nella squadra secondaria consumi parte della batteria del Gangour e vada dunque pianificato bene.
Gli Astrali sono divisi in tre tipi – Angeli, Angeli Caduti e Demoni – e cinque elementi che seguono un’efficacia circolare (quelli del fuoco sono deboli all’acqua e via discorrendo); per catturarli viene fatto uso dell’Astral Burst, un attacco speciale che combina i tre Astrali al nostro fianco sul campo in un proiettile speciale. Al di fuori di alcune battaglie legate alla progressione nella storia, i giocatori devono sconfiggere la prima volta i nemici usando questa tecnica se vogliono aggiungerli al loro bestiario. Si può collezionare un solo Astrale per “specie”, gli altri catturati in seguito verranno semplicemente sconfitti. Il potere dell’Astral Burst è determinato da una combinazione del tipo di proiettile selezionato (molti potenziano un determinato elemento oppure offrono un bonus addizionale nello scontro) con il tipo di Astrali in gioco e il riempimento della barra Burst visibile nella parte superiore dello schermo; questo particolare indicatore si riempie danneggiando i nemici, ma se raggiungesse il limite non si potrà usare nel turno successivo e si svuoterà in quello subito dopo, aggiungendo un’interessante meccanica di rischio/ricompensa.
The Lost Child è un’esperienza interessante ma limitata da alcuni difetti
Mentre Hayato e Lua ottengono esperienza in modo classico, semplicemente vincendo le battaglie, e ottenendo cinque punti abilità a ogni livello da spendere come più si preferisce, con gli Astrali la questione è diversa: bisogna spendere Karma, ottenibile per lo più in combattimento ma anche attraverso metodi alternativi, sebbene meno comuni. Si suddivide in tre tipi: buono, doppio e malvagio, che naturalmente corrispondono alla tipologia stessa degli Astrali (Angeli, Angeli Caduti e Demoni). Il karma ha lo stesso effetto dei punti esperienza ma i giocatori possono immagazzinarlo e distribuirlo a piacere a qualunque Astrale ritengano opportuno. Queste entità possono assumere tre diverse forme: iniziano da quella base e una volta raggiunto il livello massimo potrete portarli dal NPC che regola la meccanica EVIlve, niente più di un simpatico gioco di parole in inglese per definire un processo di, appunto, evoluzione. Il livello dell’Astrale sarà così azzerato ma nella sua forma evoluta avrà statistiche migliori e ovviamente un design tutto nuovo. Si possono anche “involvere” gli Astrali riportandoli alle rispettive forme primordiali, con il vantaggio che queste ultime avranno a loro volta delle statistiche di base più elevate. È tutta una questione di strategia lasciata interamente nelle vostre mani.
Un altro elemento distintivo di The Lost Child è l’approccio all’apprendimento di nuove abilità: anziché essere assegnate in automatico salendo di livello, verranno apprese in modo semi-casuale durante il combattimento grazie all’app del Ganogur “Frutto della Conoscenza”. Questo spinge il giocatore a variare spesso la propria squadra attiva, poiché solo gli Astrali attivi disporranno di un’ampia varietà di abilità, mentre quelli lasciati in disparte potranno attingere alla cerchia ristretta di quelle che possedevano quando sono stati catturati. Certo, esiste un sistema per trasferire le abilità da un Astrale all’altro ma metterli direttamente in gioco resta comunque la scelta migliore. Al di fuori di questi elementi distintivi, l’Astral Burst e le peculiarità legate agli Astrali, il sistema di combattimento di The Lost Child è piuttosto standard: ogni combattente che non sia un boss ha un’azione per turno, la cui priorità è determinata dal valore di velocità. Hayato e Lua hanno inoltre accesso a opzioni di equipaggiamento standard, rese però più intriganti dalle randomiche OOPArts che i nemici possono lasciar cadere e garantiscono alcune opzioni particolari a volte con compromessi interessanti – una volta valutati da uno specifico NPC. Ogni membro della squadra ha raffigurata inoltre l’icona di un occhio accanto al proprio ritratto che sottolinea l’ostilità, manipolabile, del nemico nei suoi confronti: più è aperto e maggiori saranno le probabilità di essere presi di mira.
Il bilanciamento della difficoltà è molto apprezzabile, così come la possibilità di cambiare da un livello all’altro dei tre disponibili. A condizione che abbiate una squadra adeguatamente allenata, a difficoltà normale la maggior parte delle battaglie regolari si può affrontare selezionando l’opzione di battaglia automatica. Ciò non toglie che saranno presenti alcuni nemici, in particolari quelli con attacchi estesi a tutto il party, che meritano un’attenzione particolare. I boss d’altro canto prevedono invece una strategia più oculata, andando a valutare ogni singola azione, l’utilizzo delle abilità, un uso ragionevole della barra Burst e l’oculatezza di tenere i guaritori sempre pronti a intervenire. Pur avendo più attacchi multipli e guadagnandone ancora a mano a mano che subiscono danni, i combattimenti contro queste creature non appaiono mai ingiusti e premiano i giocatori per aver pianificato le loro mosse – oltre naturalmente a mostrare il lato più profondo del sistema di combattimento. Ogni dungeon o quasi presenta due boss e il primo è una sorta di prova per far capire ai giocatori se sono pronti per la portata principale.
Il problema principale con il gameplay di The Lost Child è che i dungeon si trascinano un po’ troppo: l’esplorazione, i puzzle e il layout sono in genere piacevoli da sperimentare ma quasi tutti i Layer lasciano la sensazione che avrebbero concludersi un piano prima, o avere ciascun livello più corto. L’assenza di varietà non concorre a migliorare la situazione: non c’è alcuna distinzione fra un piano e l’altro, il primo appare identico all’ultimo, ma per fortuna ci sono una funzione di spostamento automatico e la possibilità di regolare la velocità di movimento, dunque camminare avanti e indietro è meno fastidioso di quanto avrebbe potuto essere. Per contro il ritmo rapido degli scontri bilancia l’eccessiva lentezza degli spostamenti e gli incontri casuali non minacciano la lunghezza di ciascun Layer, permettendo ai giocatori di tenere sempre traccia dei propri progressi al loro interno. Allo stesso tempo tutte le meccaniche legate agli Astrali, dalla cattura all’EVILizione, e la loro discreta varietà per ogni dungeon offrono un senso di realizzazione sufficiente – se non a far scordare – almeno a passare sopra a certi difetti.
La narrazione di The Lost Child è frammentaria e poco chiara
La storia si sviluppa abbastanza bene, dando ai giocatori diversi compiti da svolgere. Hayato è però un protagonista silenzioso e sebbene a volte ci sia data la possibilità di scegliere cosa rispondere in determinate occasioni (senza modificare nulla della trama ma ottenendo dei punti Karma a seconda della risposta), è solo la caratterizzazione di Lua a coprire questa generale mancanza e permettere al duo di sembrare piuttosto affiatato. Anche nella narrazione sorge però un problema e non da poco: la spiegazione di cosa stia accadendo a livello più espanso degli avvenimenti che coinvolgono i due protagonisti è quantomeno discutibile. Ci sono un sacco di macchinazioni in gioco fra i vari pantheon e schieramenti ma non viene mai spiegato con chiarezza cosa stiano cercando di ottenere e come le loro azioni possano portare a un qualche obiettivo che non sia nebuloso. Verso la fine molte domande trovano risposta – non da ultima il perché tutti gli NPC con cui si parla si mostrino macchiati di sangue – tuttavia non è stato chiaro come esattamente si sia arrivati a quel punto. Avendo a disposizione un cast di personaggi ben sviluppato (ad eccezione di Hayato) e dei punti di svolta molto interessanti, The Lost Child fallisce nel farne l’ottimo uso che dovrebbe orchestrando una storia comprensibile.
Il doppiaggio non è onnipresente ma supporta la maggior parte delle scene importanti dando loro un certo impatto, mentre la musica non è altrettanto coinvolgente. Riguardo l’aspetto visivo ci sono ancora una volta degli sbilanciamenti: da un lato abbiamo il fantastico design dei personaggi e degli Astrali, in particolare questi ultimi si mostrano diversi da quanto ci si potrebbe aspettare per le entità rappresentate e alimentano la curiosità di sapere quale tipo di forma prenderà la loro evoluzione; dall’altro i dungeon sono assolutamente privi di ogni guizzo creativo e i singoli piani si somigliano l’un l’altro, come già sottolineato, aumentando così la sensazione di star trascinandosi. Gli effetti durante le battaglie sono semplici ma trasmettono l’azione in maniera efficace e la animano a dovere.
Chiunque abbia interesse per i dungeon crawler potrebbe trovare il giusto divertimento con The Lost Child, nonostante alcune mancanze piuttosto evidenti sia a livello di gameplay sia di trama. Alcuni potrebbero essere tentati di definirlo un capitolo mal riuscito di Shin Megami Tensei ma non sarebbe corretto, considerato comunque l’impegno delle sue meccaniche per distinguerlo dalla massa e aiutarlo e imprimere il proprio marchio sul genere cui appartiene. A dispetto della necessità di alcune rifiniture, The Lost Child potrebbe comunque attirare un buon numero di fan disposti a perdonarlo in virtù di ore e ore di gioco grazie a un’accurata gestione degli Astrali. Chiunque non abbia familiarità con l’inglese è tuttavia probabile che preferirà rivolgere altrove la sua attenzione. |
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