State of Mind – Recensione

“Il transumanesimo può essere un concetto alieno a molte persone ma per me, che lo trovo affascinante, si è rivelato il tema perfetto sul quale basare la sceneggiatura di State of Mind – ovviamente guardando a questa teoria da differenti angolazioni per cercare di spiegare cosa significhi davvero.” Con queste parole Martin Ganteföhr, sviluppatore presso Daedalic Entertainment, mi ha introdotto nel corso dell’E3 2018 di Los Angeles a un particolarissimo indie dallo stile grafico che all’apparenza potrebbe sembrare grossolano, con tutti i suoi personaggi squadrati da numerosi poligoni quasi fossero la bozza ancora in lavorazione, ma di fatto ha un senso preciso nel disegno generale.

L’evoluzione biologica avviene con il passare delle generazioni. Immaginate invece cosa succederebbe se fosse possibile accelerare questo processo teorizzato a suo tempo da Darwin al punto da renderlo una questione di esperienza individuale. Questi sono solo alcuni dei sogni che animano il transumanesimo, il cui significato nel corso del tempo ha assunto connotati diversi da persona a persona: per alcuni è un movimento culturale, per altri un insieme di credenze, oppure un ambito di studio in cui investire o ancora una pura fantasia tecnologica. Non esistono corsi di laurea per questa materia, non potete per adesso dimostrare su carta di essere esperti del transumanesimo ma niente vi vieta di approcciarla e seguirne tutti i principi. La domanda a questo punto sarebbe: da dove ha origine un simile concetto?

Dobbiamo tornare indietro di quasi trent’anni, nel 1990, perché il termine transumanesimo trovi un’inaugurazione formale da parte del CEO di Alcor Life Extension Foundation, Max More. L’idea alla base risiede nell’ottimistica convinzione che la condizione umana possa beneficiare di un miglioramento grazie alla tecnologia in ogni sua forma. Abbracciando la ragione applicata e le nuove tecnologie dunque, gli esseri umani saranno potenziati dall’ingegneria genetica e dalla tecnologia dell’informazione di oggi, così come da progressi che stanno muovendo attualmente i loro primi passi – la bioingegneria, l’intelligenza artificiale e la nanotecnologia molecolare. Il risultato auspicato è la trascendenza dell’uomo verso una forma superiore, perché il nostro corpo attuale è soltanto un passaggio transitorio, che tuttavia non perda la sua umanità: un concetto di immortalità e divinità con radici in un certo senso religiose ma totalmente affidato alla tecnologia.

Sulla base di queste idee Daedalic Entertainment ha sviluppato State of Mind, un gioco focalizzato principalmente sulla narrazione ma con qualche tocco qua e là che lo differenzia da un classico walking simulator dandogli una sfumatura d’avventura che ci consente – pur nella limitatezza delle nostre azioni – di sentirci più coinvolti nella situazione in corso. L’anno è il 2048 (a trent’anni esatti dal nostro presente, tempo teorizzato per un completo sviluppo del transumanesimo) a Berlino, in un contesto sociale frammentato e prossimo a sfociare in una vera e propria guerra a causa del continuo progredire della tecnologia: ecco che gli sviluppatori ci mettono di fronte alla prima di tante dicotomie, il luddismo – movimento che si oppone all’automatizzazione industriale – contrapposto al transumanesimo. L’escapismo digitale sembra essere l’unica fuga dagli orrori che l’uomo stesso, nella sua continua ricerca di potere attraverso le nuove tecnologie, ha concorso a creare. Richard Nolan, uno dei tanti protagonisti della vicenda ma di fatto il perno attorno al quale ruota tutta la storia, è quello che appunto chiameremmo luddista: giornalista di professione e fortemente contrario a una implementazione così pervasiva della tecnologia nella vita quotidiana, si è creato una certa fama con lo scandalo Dronegate ma si ritrova intrappolato in un limbo a causa di un incidente che ha compromessa parte della sua memoria. I ricordi stipati nell’utopico sistema Cloud sul quale si basa la società sono andati perduti, inficiando in tal modo i processi cognitivi di Richard e impedendogli di ricordare dettagli cruciali della sua vita.

Altrove, in un luogo dalle coordinate imprecisate chiamato City5, il giornalista Adam Newman vive la sua vita perfetta da marito e padre (condividendo dunque lo status di Richard) senza sapere che la sua strada finirà inevitabilmente a sovrapporsi con quella del nostro protagonista in una reazione a catena dalla quale potrebbe non esserci ritorno. La realtà di Newman è talmente in contrapposizione con quella di Berlino e del resto del mondo da far sorgere il sospetto che sia solo parte di quell’escapismo digitale menzionato in precedenza ed è proprio a questo punto che State of Mind mostra il suo potenziale andando a lavorare su più livelli: anzitutto c’è la seconda dicotomia, quella fra reale e digitale (fra distopico e utopico), al quale segue la necessità da parte di Richard di ripristinare la sua identità andando a cercare i frammenti dispersi della sua mente, infine la frammentazione del proprio stato in sé. Continuo a insistere su questo termine, frammentazione, perché è alla base di qualunque aspetto del gioco, sia narrativo sia ludico. State of Mind non è un titolo tripla A, perciò non può sperare negli stessi mezzi che rendono visivamente spettacolare un Assassin’s Creed o un Red Dead Redemption, ma questo non ha certo impedito agli sviluppatori un utilizzo molto intelligente dell’Unreal Engine 4 per riuscire a rendere il proprio videogioco uno fra i prodotti indipendenti più interessanti della fiera losangelina. Il che non è affatto semplice.

State of Mind è uno sguardo lucido a un possibile futuro

Tutto, in particolare gli abitanti, in State of Mind sembra prossimo a cadere lentamente a pezzi, degradandosi assieme al loro ruolo nella società e allo stato mentale. Una vita fragile, prossima al collasso, nella quale il clima di guerra, tensione e persino paura – cosa rimarrà di me, se verrò sostituito da una macchina? – che abbiamo già visto nel bellissimo Detroit: Become Human ma che in questo caso sembra incunearsi sotto la pelle dei personaggi, creando crepe impossibili da sanare e rendendoli delicati come vetro. Se, come dicevo, a un primo sguardo può non convincere, a mano a mano che si prosegue nella storia si realizza come la scelta degli sviluppatori non avrebbe potuto essere più azzeccata per raffigurare un tale conflitto interiore. Oltre a questo, l’avveniristica e distopica Berlino del 2048 appare splendida, completa di monumenti classici come la torre della televisione e la Porta di Brandeburgo, e c’è un’atmosfera cupa in puro stile neo noir grazie agli edifici torreggianti e minacciosi e alle luci malinconiche. Per contro, la realtà di Adam Newman bilancia perfettamente con colori vivaci e un bellissimo paesaggio urbano fantascientifico. Sono due mondi allo specchio, simili e al contempo diversi, complementari eppure ciascuno (cor)rotto in una propria, insondabile profondità.

Sebbene il protagonista principale della vicenda sia Richard Nolan, State of Mind ci permette di controllare più personaggi e quando necessario ai fini della progressione, persino di passare dall’uno all’altro nella stessa sequenza. La maggior parte delle volte occorrerà scambiarsi fra Richard e Adam, il cui sistema di controllo ricorda Jodie in Beyond: Two Souls sebbene in alcuni casi un po’ più goffo, specie quando si deve cambiare direzione. In ogni caso siamo di fronte a un videogioco che fa della narrazione il suo aspetto principale e come ci si potrebbe aspettare c’è molto da esplorare e altrettanti dialoghi da sostenere (che, per la cronaca, possono essere velocizzati): questo non esclude alcune sequenze più animate che danno a State of Mind quella sfumatura da titolo d’avventura sufficiente per distinguerlo dai walking simulator ma non abbastanza da portarlo al livello di uno dei tanti titoli Telltale – che al di là della natura episodica offrono momenti più concitati pur non variando il loro gameplay. Il gioco di Daedalic si impegna per offrire, nel loro piccolo, diversi stili di gioco, ma sono giusto accennati: da un lato sono sufficienti a non rendere le conversazioni e l’esplorazione noiose o stantie (grazie anche al supporto di un mondo davvero ben realizzato) dall’altro sarebbe stato più coinvolgente avere sezioni nelle quali le nostre abilità di giocatori vengono davvero messe alla prova anche con l’inclusione di game over in caso di fallimento.

La decisione da parte degli sviluppatori di non creare una vera e propria storia plasmata dalle nostre scelte, quanto piuttosto una narrazione semi-lineare nella quale il giocatore deve compiere alcune scelte ha senso nell’ottica secondo cui si vuole raccontare al giocatore una vicenda precisa, nella quale si è più spettatori che registi. Al contempo però, lo scarso impatto che hanno determinate decisioni soprattutto verso la fine grava un po’ sulla qualità della narrazione, che si conclude con un finale piuttosto frettoloso e pieno di domande sul futuro di alcuni personaggi, e una caratterizzazione che dopo essersi mantenuta su buoni livelli fino a quel momento viene meno, spezzando proprio sul più bello l’immersione. Possiamo ottenere due finali diametralmente opposti, eppure risultano entrambi molto sottotono.

Conclusioni

State of Mind è un gioco molto interessante che pur non trattando una tematica originale riesce a creare il giusto senso di immersione grazie a un comparto artistico astratto ed estremamente convincente. La frammentarietà è la chiave dell’intera esperienza e sotto questo aspetto gli sviluppatori hanno fatto un lavoro davvero apprezzabile, realizzando un gioco che si sviluppa in più livelli presentando diverse dicotomie.

I vari stili di gioco implementati concorrono a vivacizzare il gioco e allontanarlo dal rischio di ripetitività in cui potrebbe incappare un titolo narrativo come questo ma al tempo stesso sono troppo poco approfonditi per dare ritmo all’avventura, che il più delle volte ha uno sviluppo piuttosto lento. Nel complesso non toglie valore al gioco, che piuttosto scade in un finale troppo frettoloso, ma un passo più coraggioso avrebbe sicuramente reso State of Mind un prodotto ancora migliore.

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