Colonia – GRIS è stato probabilmente il gioco rivelazione della gamescom, grazie alla sua semplicità che è solo apparente: dietro al nuovo titolo progettato da Nomada Studio si nasconde un paesaggio di pura fantasia ricco di montagne cremisi, alberi quadrati, caverne e rovine, realizzato imitando il modo in cui gli acquerelli si depositano sulla carta – con macchie di colore che spesso superano i tratteggi della protagonista o dell’ambientazione stessa. Non c’è alcun pericolo né morte in questo mondo dettagliato, quanto piuttosto l’opportunità di un’esplorazione meditativa nei panni di una giovane donna che rimasta vittima di un’esperienza incredibilmente dolorosa deve trovare la forza di andare avanti. Al bellissimo stile dell’autore Conrad Roset si accosta una partitura originale che valorizza quanto già di bello GRIS ha da offrire.
“Nel gioco lo scenario è molto importante” ci è stato spiegato durante il nostro breve (troppo, a voler essere egoisti) incontro in fiera “e non è raro che prenda il sopravvento persino sulla protagonista, rubandole i riflettori”. GRIS segna l’ingresso nel mondo videoludico del piccolo studio spagnolo e arriverà sul mercato questo dicembre per Nintendo Switch e PC. Lo abbiamo provato durante la kermesse e non c’è stato nulla da fare: grazie a un comparto artistico stellare, una colonna sonora affascinante e una storia malinconica che prende vita in un vero e proprio dipinto in movimento, abbiamo capito perché GRIS ha le carte in regola per essere il prossimo importante pilastro dell’avventura narrativa. Siamo stati letteralmente catturati dalla sua bellezza.
“È un platform 2D che usa il videogioco come forma d’arte e, al contempo, sfrutta l’arte per dare vita a un’esperienza priva di frustrazioni che sia accessibile a chiunque” ci è stato spiegato, aggiungendo inoltre che per l’art director Roset è la prima volta nel panorama videoludico come sviluppatore.
La bellezza e la profondità di GRIS sono chiare fin dall’inizio, guardando l’opening del gioco: una donna sta cantando ma improvvisamente perde la voce a causa di forze misteriose e viene mandata in un mondo onirico, fatto di nuvole vorticose, edifici fatiscenti e numerose piattaforme. Per tornare da dove viene, la donna accumula abilità che si fondono nel suo vestito fatto di “dolore” e le permettono di proseguire il suo viaggio. A essere notevole è la fluida transizione che ci porta da quel filmato (così simile a film animati basati direttamente su illustrazioni o dipinti) al gioco vero e proprio. È un passaggio senza soluzione di continuità in un platform giocabile, e dà il via a tutto con una forma espressiva ispirata e unica. “Per noi non ci sono così tante differenze tra film e arte. Come il cinema va a coprire ogni ambito e tematica, lo stesso dovrebbero fare i videogiochi”.
E nel caso specifico si può tranquillamente dire che GRIS prende ispirazione a tutto tondo: dai giochi ai film, fino all’arte astratta. Possiamo paragonare il gameplay a quello di altri titoli unici come Ori and the Bind Forest o l’intramontabile Journey, fonte di ispirazione per moltissimi titoli che sono seguiti. La maggior parte del team di sviluppo è composto da artisti, non da programmatori tradizionali, e ci è stato detto che oltre alla pittura è stata presa in considerazione anche la scultura come mezzo espressivo. Ma soprattutto, questo spiega perché GRIS si percepisca come un gioco estremamente intimo, personale, in grado di cambiare il suo impatto a seconda di chi decide di avventurarvisi.
Badate bene, questo non lo rende facile perché stiamo pur sempre parlando di un videogioco e di un platform, per quanto aperto a tutti: usando una sola delle tante abilità presenti nell’esperienza completa, abbiamo potuto mutare la protagonista in un blocco granitico per resistere a forti folate di vento o dare la giusta pressione ad alcuni pulsanti – elementi che aggiungono un certo livello di complessità a un gameplay che altrimenti rasenterebbe il filo dei walking simulator più noiosi. Tuttavia, se anche così fosse stato, il comparto artistico di GRIS è così affascinante che non avrebbe potuto annoiare in nessun caso.
Come tutti i videogiochi così ispirati e al contempo realizzati da studi nascenti, GRIS è un’esperienza breve, assestata attorno alle tre ore che hanno rappresentato la vera sfida per Nomada: raccontare una storia complessa e scritta attorno a un percorso emotivo non è facile in così poco tempo, eppure GRIS sembra già su un’ottima strada. Nonostante tutto, però, le intenzioni del team sono far sì che i giocatori si concentrino sui colori in continuo mutamento dello strano mondo dove saranno catapultati – così come il sound design, l’architettura e le combinazioni fra diversi stili. Si inizia il percorso praticamente in uno spazio vuoto, o comunque molto minimale, e a mano a mano che la protagonista avanza diventa sempre più consapevole di ciò che la circonda, cresce e impara ad affrontarlo – una metafora nemmeno troppo velata di un percorso interiore che sta evidentemente intraprendendo.
GRIS è una splendida opera d’arte che sfrutta il videogioco come mezzo per esprimersi al meglio e dare un valore aggiunto a una categoria ancora poco apprezzata per veicolare determinate esperienza. Siamo di fronte a un dipinto in movimento, melancolico e bellissimo, che ci cattura con la potenza del suo comparto artistico e ci colpisce con forza al petto, creando un grumo di emozioni contrastanti che solo portando a termine il viaggio della protagonista potremo scogliere. Il suo percorso si fa nostro e ne viviamo il dolore come se l’avessimo sperimentato in prima persona: quando ci si trova davanti a queste piccole gemme, anche tre mesi di attesa sembrano semplicemente troppo lunghi.