Basta un poco di zucchero e la pillola va giù, la pillola va giù, la pillola va giù. Basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Tutto brillerà di più! – cantava Julie Andrews quasi cinquantacinque anni fa, in un musical che fra nonni, genitori, figli e nipoti ha affascinato almeno quattro generazioni. Soprattutto un film che chi vi scrive, andando controcorrente, non è mai riuscita ad apprezzare: allo sguardo di una bambina di sette anni, Mary-Poppins-praticamente-perfetta-sotto-ogni-aspetto risultava quanto di più insopportabile ci fosse, né trovavo un senso alle soluzioni con cui educava e responsabilizzava i piccoli Banks. A rivederlo da adulta avrei potuto ricredermi sul mio pensiero ma non ho voluto dargli seconde possibilità; è servito Il Ritorno di Mary Poppins ad aprirmi gli occhi e ammettere che forse,nell’originale c’era più di quanto mi fossi limitata a vedere.
Proprio per la naturale avversione nei confronti della pellicola del 1964, ho accolto in modo piuttosto neutro l’annuncio di un sequel: non pensavo di rifiutarlo immediatamente, perché mi sono scoperta curiosa verso la decisione di riportare all’attenzione una storia vecchia di oltre mezzo secolo e perché la scelta di Emily Blunt nel ruolo di Mary Poppins era qualcosa che non mi aspettavo. Abituata a vederla in altri ruoli – basti pensare a Sicario, Edge of Tomorrow o La Ragazza del Treno – non riuscivo a figurarmela in un ruolo tanto composto ma al contempo frizzante e irriverente come quello della magica tata Banks; la curiosità ha dunque vinto su quella che chiamerei indifferenza, anziché vero scetticismo, e un paio di giorni fa sono stata a Milano per l’anteprima.
Non ho staccato un secondo gli occhi dallo schermo, non ho guardato l’orologio nemmeno una volta, quasi non mi sono mossa sul sedile. Travolgenti, è il termine che meglio definisce le due ore e un quarto passate al cinema, di fronte a una trama disarmante nella sua semplicità ma ricca di messaggi che ora – da adulta, appunto – ho colto appieno. D’altronde l’ha dichiarato l’autrice stessa dei romanzi, le sue non sono mai state storie per bambini ma “sono grata che [i bambini] includano i miei libri nel loro scrigno dei tesori”.
Forse non tutti sanno che le avventure di Mary Poppins sono tratte da una serie di romanzi scritti dalla scrittrice inglese Pamela Lyndon Travers, una donna che Edwina Burness e Jerry Griswold – in una bellissima intervista pubblicata nel 1982 su Paris Review – hanno definito “mitica e moderna al tempo stesso”, amica di poeti del calibro di William Butler Yeats e George William Russell. Fu proprio quest’ultimo a suggerire una possibile risposta alla domanda che tutti, dal 1964 in poi, si sono posti: chi è davvero Mary Poppins? È una strega? No, ci risponderebbe Michael Banks, le streghe hanno le scope. Una supereroina dunque? Potrebbe già avere più senso ma non indossa alcuna uniforme. Non resta che pensare, forse è una divinità? Di fatto, proprio a fronte dell’interpretazione mossa da Russell, P.L. Travers ha ammesso che volendo cercare nel suo personaggio un’origine mitologica, Mary Poppins sia rappresentativa della Dea Madre – o di una sua creatura.
Travolgenti, è il termine che meglio definisce le due ore e un quarto passate al cinema
Quale sia la verità, l’autrice ha detto di aver scritto il romanzo in modo spontaneo e senza premeditazione, siamo sicuri di una cosa: Mary Poppins è un’entità benevola che, nel ruolo di tata, parla agli adulti più di quanto non faccia ai bambini che accudisce. O meglio, è ponendosi come modello positivo cui guardare che spinge i genitori ad aprire gli occhi e rivalutarsi: è successo con George Banks e si ripete identico in questo nuovo film, dove un Michael cresciuto e afflitto dalla perdita della moglie, si chiude in se stesso trascurando i figli nel paradossale tentativo di regalare loro quella felicità che meritano – cerca di risolvere un problema che può non aver soluzione se, come il film ci insegna, non s’impara a vedere le cose da un altro punto di vista.
In un periodo di remake e reinterpretazioni che non sempre colgono nel segno, l’unico modo perché questo film avesse successo – considerando il suo retaggio – era proprio mantenerne quelle caratteristiche che all’epoca lo resero tanto amato: escluderlo dunque dagli schemi entro i quali si muove il cinema odierno per restituirci un sequel che non fosse la riproposizione sterile dell’originale, bensì ne preservasse l’ottimismo e l’innocenza per raccontare una storia propria. E così è stato: Julie Andrews ed Emily Blunt sono legate da un filo rosso tessuto perfettamente da Rob Marshall con la sceneggiatura di David Magee, che rifacendosi al romanzo mette in scena un film dai tratti persino più adulti della pellicola del 1964 – vuoi per il periodo più difficile o il concetto di perdita che, seppur ammantati dalla sfavillante patina tipica del film, sono narrati con un’empatia che non si può ignorare. La Grande Depressione e le difficoltà che essa ha comportato sono qualcosa in cui un pubblico adulto può rispecchiarsi molto bene, comprendere e per questo relazionarvisi.
In questo senso la recitazione di Ben Whishaw (Michael Banks) è ottima, perché dalla sua figura traspare il dolore senza per questo scadere in un’eccessiva drammaticità. A fare da contraltare ci sono il brioso Lin-Manuel Miranda, che nel ruolo dello spazzacamino Jack raccoglie l’eredità di Dick Van Dyke (presente nel film) e fa da ponte tra la complicata realtà londinese degli anni ’30 e l’immaginario creato da Mary Poppins – meravigliosamente interpretata da Emily Blunt, che conferisce al personaggio una sfumatura dolceamara e vera, pur nella sua infallibile perfezione. Non sbaglia mai, Mary Poppins, e sa sempre cosa fare, eppure ci sono alcuni momenti, alcune espressioni, che stringono lo stomaco e sembrano raccontare qualcosa di più di lei. Più di una semplice, magica tata. Merito di un carisma particolare che rende la Blunt scelta azzeccatissima.
Il Ritorno di Mary Poppins è uno spettacolo che colpisce al cuore
Il Ritorno di Mary Poppins è il miglior tributo che si potesse offrire al film originale: una magia senza tempo che attraversa decenni e generazioni per esserci restituita con uno stile volutamente old ma non artificioso, scandito da un ritmo che non perde mai di tono e una fusione tra live action e animazione 2D bellissima come la prima volta. Menzione speciale all’adattamento delle canzoni, un compito non facile e che dopo il discutibile risultato de La Bella e la Bestia lasciava dei giusti dubbi; ma in questo caso non hanno ragione d’esistere. Il Ritorno di Mary Poppins è uno spettacolo che colpisce al cuore – rattrista e fa sorridere e dà speranza – colorato ed elegante, così intenso da farmi rivalutare una posizione critica rimasta immutata per vent’anni: per un film non esiste un merito migliore. Forse, in quelle due ore, Mary Poppins è venuta davvero a farmi visita.
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