Desert Child

Desert Child – Recensione

Fin da quando ero bambino ho sempre desiderato possedere un hoverboard: avete presente quello utilizzato da Marty nel film Ritorno al futuro II? Proprio quello!

Inutile specificare quanto questi skate volanti e macchine sospese in aria mi abbiano affascinato fin dalla tenera età.

E per alimentare questa grande passione per le robe fluttuanti mi è capitato sotto mano Desert Child, un hoverbike racing con caratteristiche RPG, reduce peraltro da una buona campagna Kickstarter.

Il gioco di Oscar Brittain mi ha ricordato molto un titolo del Commodore 64, uno di quelli che li provi una volta e poi dici: “quasi quasi lo mollo, mi sta annoiando”.

Più che altro si tratta di una produzione particolare, stilisticamente affascinante e a tratti originale, ma che non lascia un vero e proprio appagamento mentre la si gioca.

Desert Child

La vostra avventura inizia su una colonia di Marte chiamata Olympia e assumerete il ruolo di un aspirante pilota professionista che vuole partecipare e vincere il Grand Prix, la gara più importante dell’intero universo.

E per farlo occorrono soldi, tanti soldi, che potrete ottenere gareggiando, facendo consegne di pizza (lanciandole letteralmente ai vari passanti per strada) e in altri svariati lavori. Il concept del gioco è molto semplice: in sella al veicolo volante, dotato di un’arma a vostra scelta (io ho optato per la 44 magnum), dovrete tagliare il traguardo prima dell’avversario. Ma non solo, mentre cercherete di rimanere in testa potrete distruggere tutto ciò che vi si pone davanti ottenendo così nuove munizioni, denaro aggiuntivo e altri extra.

Desert Child risulta noioso e ripetitivo già dopo qualche gara

Si tratta di gare mordi e fuggi, molto semplici da portare a termine a dir la verità, in cui però sarà assai importante tenere in considerazione alcuni parametri fondamentali, come la fame e il danno del veicolo, proprio come avviene nei GdR più comuni.

Al primo avvio, sono sincero, non sono riuscito a capire verso che direzione volesse andare questa produzione, che mi ha un po’ disorientato. Dopo qualche gara tutto mi è sembrato più chiaro ma mi rimaneva ancora un quesito: questo gioco cosa dovrebbe lasciarmi? Sostanzialmente nulla.

Per capirci, quasi tutta l’esperienza consiste nel vincere le gare, accumulare denaro e girovagare per la città a piedi al fine di potenziare il veicolo e mangiare come se non ci fosse un domani. No, aspettate, c’è anche altro da fare: ad esempio si possono rubare varie componenti per l’hoverbike da altri veicoli parcheggiati, continuare ad infrangere le regole hackerando le banche oppure buttarsi a fare i cacciatori di taglie.

Desert Child

Tante caratteristiche, alcune simpatiche senza dubbio, ma che non mi hanno particolarmente entusiasmato. Soprattutto perché non si incastrano bene con il gameplay alla base, che dopo qualche gara risulta noioso e ripetitivo, nonostante tutti gli upgrade che si possono installare alla propria moto volante.

Mi è piaciuto molto camminare tra i vari vicoli della città, dove sono presenti personaggi che dispensano consigli interessanti (anche di vita) e in cui poter provare svariati cibi da strada. Nonostante tutto, però, ripercorrere sempre la stessa strada per affrontare la successiva gara si è rivelata una vera frustrazione.

Un titolo che sulla carta aveva un potenziale enorme, ma che non è stato sviluppato nel migliore dei modi

Non nascondo di amare lo stile in pixel-art, e quello di Desert Child è davvero ben realizzato. L’aspetto che però mi è piaciuto di più è il comparto audio: un funky lo-fi ben confezionato che non solo gasa da morire ma che si rivela la parte migliore della produzione.

Desert Child è un titolo che sulla carta aveva un potenziale enorme, ma che non è stato sviluppato nel migliore dei modi. Un’ambientazione che ricorda l’amatissimo anime Cowboy Bebop e una colonna sonora entusiasmante non sono però sufficienti a coprire un gameplay sviluppato in modo fin troppo approssimativo.

Conclusioni

Il life-sim racing shoot ‘em up, Desert Child, è un titolo molto particolare, che fa venire alla mente il bellissimo periodo vissuto con Cowboy Bebop, almeno nelle prime battute di gioco. Lo stile grafico retrò e una colonna sonora di alto livello non sono tuttavia sufficienti a rendere l’esperienza completamente appagante.

Se dal punto di vista dell’esplorazione Desert Child risulta piacevole, non si può dire lo stesso da quello delle gare, che sono davvero brevi e iniziano ad essere ripetitive a lungo andare.

Bisogna comunque dare merito al grande impegno dello sviluppatore australiano Oscar Brittain nel realizzare questo videogioco tutto da solo, e complimentarsi per la sua conoscenza della cultura fantascientifica e pop degli anni ’70-’80. Forse era troppo aspettarsi qualcosa in più?

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