Di titoli appartenenti al sottogenere “soulslike” negli anni ne abbiamo visti e giocati parecchi. Tutti sembravano trovare nel gameplay e in alcune scelte stilistiche della popolare serie From Software un terreno fertile, una base solida su di cui poggiare la loro esperienza ludica. Code Vein fa parte di questa schiera di titoli ed è ironico che anche quest’ultimo sia pubblicato proprio da Bandai Namco.
Nonostante le similitudini, Code Vein riesce fin da subito a trasmettere emozioni differenti, a trovare un suo linguaggio unico. Ho avuto modo di provarlo su Playstation 4, grazie alla closed beta che si è tenuta durante l’arco di un weekend e che mi ha permesso di giocare il prologo e di esplorare qualche dungeon.
La mia prova con Code Vein ha pericolosamente viaggiato tra due stati d’animo piuttosto contrastanti: la voglia di continuare a giocare e quella di spegnere tutto. Sono due emozioni ben distinte e ognuna porta con sé un certo bagaglio emotivo: ma esattamente, perché?
Code Vein è ambientato in una realtà post-apocalittica: il mondo è distrutto e sulle sue rovine si ergono i grattaceli della civiltà che fu; ora gli esseri umani sono diventati una sorta di razza vampira, i Redidivi, posseduti da un parassita (chiamato BOR) e privi di ricordi, si muovono senza sosta per saziare la loro sete di sangue ed evitare di diventare dei demoni privi di senno chiamati Perduti.
La lore e narrazione di Code Vein sono pregne di dettagli e di spiegoni significativi: c’è della politica, del fantasy piuttosto spinto e un mood che si respira tipicamente nei prodotti animati giapponesi (insieme ad una donzella in pericolo); se il prologo è indicativo di ciò che verrà raccontato nel prodotto finale, sarà un bel da fare ricordare nomi e sigle dei vari attori che bazzicano per queste terre desolate. Nonostante una generale confusione e una complessità a mio avviso inutile e ridondante, Code Vein stuzzica e sarà tutto da scoprire quando potremo giocare la versione completa questo settembre.
Per ora, è bene analizzare in maniera più specifica il gameplay e i suoi elementi di contorno. All’avvio è possibile dare sesso e aspetto al proprio Redidivo con un editor piuttosto ricco, sempre che tolleriate l’aspetto cartoonesco e anime dell’intera produzione. Creato il mio personaggio, con una capigliatura che terrebbe anche contro la Bora, mi sono lanciato nel prologo: qui affronteremo un dungeon sotterraneo piuttosto lungo in compagnia di vari NPC secondari contro i Perduti e i mostri che incontreremo nel cammino.
L’idea di fondo di Code Vein è l’utilizzo dei Codici Sanguigni: funzionano un po’ come delle classi, permettendovi di utilizzare un’arma specifica e un set di abilità (Doni) specializzato; la peculiarità sta che questi codici sanguigni possono essere equipaggiati, permettendo di fatto di cambiare approccio e gameplay a seconda del caso e delle preferenze del giocatore senza essere vincolati a nulla.
Ad esempio il codice del Combattente (ma intuisco ce ne siano tantissimi altri) aumenta la resistenza nel combattimento in mischia e le abilità basate su forza e destrezza, perfetto per chi ama gettarsi nella mischia e tirare botte come un forsennato. Spade, asce, fucili e lance dallo stile e gusto post-apocalittico sono solo un’alternativa stilistica per costruire un impianto di gioco, un combat system, che ricalca alcune delle regole viste in Dark Souls. Schivate e parate (e conseguenti contrattacchi) sono alla base della buona riuscita di uno scontro, laddove attacchi leggeri e pesanti si alternano alle ben più complesse e variegata abilità: queste ultime consumano sangue, che potrà però essere succhiato dai nemici per riequilibrare il loro utilizzo.
Il problema di Code Vein non è la varietà, che anzi sembra essere uno degli elementi più ricchi dell’intera produzione: sia in termini di opzioni che di contenuti c’è tanto da sperimentare e scoprire, ma il titolo Bandai Namco soffre di animazioni rigide e di un gameplay “pesante” che mal si sposa con tutto ciò che gli è stato costruito intorno.
Code Vein ha tante frecce nel suo arco, ma allo stato attuale, non è molto divertente da giocare
Le animazioni degli attacchi non sono responsive e cancellarle non è immediato, questo rende anche una semplice schivata un macigno da calcolare con un tempismo fin troppo preciso per rendere l’esperienza appagante. I controlli non sono responsivi, sembra di avere per le mani un Tir che a velocità moderata risponde alla nostra sterzata non immediatamente, ma dopo qualche secondo. Se tale aspetto può risultare accettabile con i nemici minori, lo stesso non lo si può dire per i boss, che richiedono strategia e precisione per essere sconfitti.
Code Vein ha tante frecce nel suo arco: un mondo di gioco florido e un focus molto forte sulla narrazione, che appare ancora fumosa e confusa; tantissimi contenuti, con un hub di gioco che permette di conoscere personaggi non giocanti, scegliere un partner da portare in missione e affrontare i tantissimi dungeon secondari disponibili.
Il problema è che allo stato attuale, per quanto ricco di opzioni e variegato possa apparire, Code Vein non è molto divertente da giocare. Lento e legnoso, non riesce a porsi come un soulslike degno di nota, ma solo come un’esperienza dalle basi traballanti che scimmiotta qualcosa di più grande di lui.