26 Set 2019

Code Vein – Recensione

Code Vein lo abbiamo visto a più riprese negli ultimi anni, in una continua evoluzione che lo ha portato ad essere il gioco che troverete sugli scaffali. Il titolo Bandai Namco era infatti un po’ diverso all’inizio, e sarebbe dovuto uscire lo scorso anno. Dopo una closed beta e una demo disponibile su varie piattaforme, Code Vein è pronto ad affrontare il giudizio completo del pubblico.

I piccoli assaggi sparsi da Bandai nel corso dell’anno sono stati un ottimo banco di prova per questa particolare interpretazione del genere “soulslike“, ma è anche vero che delle impressioni parziali non possono restituire un quadro generale completo. O meglio, non possono rendergli pienamente giustizia. Le mie impressioni di Code Vein durante la closed beta non erano particolarmente entusiaste, complice anche un’instabilità tecnica un po’ precaria.

Con un codice completo della versione Playstation 4 però, le mie opinioni sono cambiate (in parte). Scopriamo insieme perché Code Vein è uno dei soulslike più interessanti dell’anno, tra limiti e compromessi di un’opera dal gusto “giapponese” più classico e riconoscibile.

Code Vein recensione

Avviata l’avventura per la prima volta, Code Vein ci lancia nel suo mondo inospitale senza tante presentazioni. Ci risvegliamo tra le braccia di una misteriosa ragazza dai capelli bianchi, con in lontananza un albero bianco latte. Ci avviciniamo, e insieme a delle strane visioni ci ritroviamo ad “annaffiarlo” con del sangue per far crescere delle strane lacrime di sangue. Ecco, non è ben chiaro quello che sta succedendo intorno a noi. Il mondo è inospitale, c’è una strana nebbia rossa che aleggia nell’aria e indossano tutti una mascherina.

Fin dai primi istanti Code Vein tradisce una narrazione che vuole essere intensa e seriosa, ma si presenta e si racconta con una personalità e uno stile tipicamente “anime”. Figlio un po’ di un sottogenere che si appropria di alcuni tratti distintivi, in primis lo stile grafico e artistico: prenderlo sul serio non è sempre facile (soprattutto le generose proporzioni di alcuni personaggi femminili), ma in qualche modo la storia che si racconta ha un suo fascino e una sua presa, e spinge a voler comprendere cosa esattamente è successo nel mondo di Vein.

Un avvenimento chiamato Grande Rovina ha infatti quasi portato all’estinzione degli esseri umani, che per affrontarla sono stati trasformati in Redivivi. Immaginateli un po’ come dei vampiri assetati di sangue perché be’, è quello che sono. I parassiti BOR impiantati negli umani li hanno di fatto resi immortali, intrappolati in un eterno ciclo di morte e rinascita, perennemente in cerca di sangue per sfamarli.

Code Vein è stuzzicante e spinge a proseguire per il suo bizzarro mondo in cerca di risposte

Quando il sangue viene a mancare per troppo tempo diventano corrotti, unendosi alle fila dei mostri senza senno che popolano il mondo di gioco. La narrazione di Code Vein è piuttosto lineare rispetto a un Dark Souls a caso, questo significa che viene raccontata in modo tradizionale, attraverso dialoghi e scene di intermezzo tra i personaggi. A renderla più complessa e frammentata è l’amnesia collettiva che affligge i Redivivi: potremo scoprire di più sul loro conto e sul loro passato ottenendo degli oggetti chiamati vestigi, che ci mostreranno con delle suggestive sequenze parte dei ricordi della persona a cui appartenevano.

Ciò che mette in scena il titolo di Bandai Namco non è particolarmente memorabile, spesso è inutilmente complicato e solo alcuni momenti hanno il giusto peso emotivo per provare a smuovere qualcosa nel giocatore. Ma allo stesso tempo è stuzzicante e spinge a proseguire per il suo bizzarro mondo in cerca di risposte. Il cast di personaggi è abbastanza scialbo, nonostante alcune delle storie legate ad essi siano effettivamente interessanti e ben raccontate. Non è detto che ciò riesca a farvi importare di loro, in breve. Ora i più attenti e appassionati avranno sicuramente notato qualche parallelismo con alcuni elementi narrativi delle opere From Software.

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Ecco, uno dei limiti più grandi di Code Vein non è una mancanza di originalità, quanto più l’insistere eccessivamente sul voler ripercorrere le orme di Dark Souls. Che siano omaggi o riferimenti non voluti poco importa, tanto di Code Vein sembra preso di peso dal capolavoro di From Software e questo non può essere premiato, perché relega il titolo di Bandai Namco a una macchietta che prende in prestito e scimmiotta alcuni dei personaggi e dei momenti più iconici dell’avventura del non morto di Lordran.

Un peccato, perché Code Vein ha dalla sua degli aspetti di gameplay piuttosto originali e unici, che lo contraddistinguono da molti altri soulslike. C’è una visione dietro, che si stacca in parte da quella formula ormai abusata di morti e esplorazione tipica di Dark Souls. Immaginiamo il genere, la filosofia dei soulslike come se fosse un quadro. La tavolozza è la stessa, e porta con sé una serie di elementi imprescindibili: la foschia sostituisce le anime, il vischio i falò e ogni morte ci riporta in vita privi di questa valuta di scambio così importante nel mondo di gioco. Ci sono diverse armi (asce, spadoni, spade, falci e baionette dalla distanza) con attacchi leggeri e pesanti da effettuare, le parate e le schivate.

La sensazione è che a Code Vein manchi qualcosa per spiccare

Si sale di livello (ma senza poter modificare le statistiche) e si investe l’esperienza ottenuta per migliorare il proprio equipaggiamento o acquistare oggetti utili alla nostra sopravvivenza. Questa tavolozza è intatta, ed è la prima cosa che si nota esplorando le varie mappe e uccidendo i primi nemici. A cambiare però è il modo in cui i colori vengono utilizzati su di essa. Code Vein è sì un soulslike, ma è anche un titolo che cambia le carte in tavola e si appropria di quella formula per darle nuova forma.

Il tutto ruota intorno al sangue (ti pareva!): ogni redivivo nel mondo di Vein ha con sé un codice sanguigno, che gli permette di utilizzare svariati poteri chiamati “doni”. Il nostro personaggio, in quanto protagonista, per qualche strana ragione può cambiare a suo piacimento codice sanguigno, cosa che gli permette di utilizzare potenzialmente qualsiasi dono e potere. Questo elemento è incredibilmente interessante nell’economia di gioco, e più della classica gestione dell’equipaggiamento e del velo (l’armatura), è il vero protagonista di Code Vein.

Cambiare codice sanguigno altera i parametri: ad esempio il codice sanguigno “Atlante” è più utile con un’armatura pesante e con delle armi con attributo forza, permettendoci di micro-gestire il nostro personaggio nei suoi aspetti più specifici. Ogni codice ha poi dei doni, sbloccabili spendendo foschia ed ereditabili attraverso l’utilizzo o degli oggetti specifici. Questo significa che, ereditando un dono, noi possiamo potenzialmente utilizzarlo con un altro codice sanguigno, rendendo il gioco ancora più personalizzabile.

Code Vein diverte ma non eccelle

Parliamo di circa 150 e più doni, che spaziano da quelli passivi come l’aumento di particolari statistiche a micidiali attacchi in mischia, assegnabili a scorciatoie di tasti utilizzando Icore, una sorta di mana sanguigno. Code Vein eccelle in questo, e rende gli scontri potenzialmente sempre differenti e con qualcosa di nuovo da provare. Nonostante tutto, l’avventura non è sempre bilanciatissima: alcuni boss sono una passeggiata di salute, altri hanno dei pattern di attacco scorretti e spesso poco leggibili.

Ma soprattutto, pad alla mano il feeling in combattimento non è sempre dei migliori. A volte appare macchinoso e poco responsivo, e alcuni elementi come l’utilizzo delle cure sono eccessivamente lenti. Questi piccoli difetti lo rendono ben lontano dalla perfezione, e anzi portano anche alla sensazione che a Code Vein, in breve, manchi proprio qualcosa.

Conclusioni

Se manchi una scintilla o un guizzo che lasci il giocatore intimorito ed estasiato davanti allo schermo, non spetta a me rispondere a questo difficile quesito. Nonostante questo Code Vein funziona, è un buon gioco con una mole di contenuti significativa (sulle 50 ore abbondanti). Ci sono dungeon secondari affrontabili per ottenere ricompense, una modalità online che permette con estrema facilità di richiedere aiuto o di aiutare i giocatori in giro per il mondo (fino a 4!). Non gli manca personalità, nonostante uno stile grafico da anime giapponese e una caratterizzazione dei personaggi piuttosto banale e scontata.

Si lascia giocare nonostante il level design delle mappe nella media, e un citazionismo decisamente troppo sfacciato delle opere “souls” di From Software. Code Vein diverte ma non eccelle, e per un titolo che si affaccia sul mercato con un nome nuovo e dopo vari anni di sviluppo, non è cosa da poco. Potrete fugare i vostri dubbi provando la demo cooperativa rilasciata nei vari store digitali, ma in breve il mio giudizio è: se cercate un’esperienza del genere con un twist anime, perché no.